domenica 29 gennaio 2012

L' arrivo dei Normanni: i fratelli Altavilla

Palermo - Chiesa della Martorana - Ruggero II incoronato re dal Cristo
 


Soddisfatto dei risultati ottenuti in Italia, Rainulfo commise l’imprudenza di mandare ambascerie in Normandia per celebrare le sue vittorie e il possesso della Contea di Aversa, ma ebbe ben presto modo di pentirsene, perchè la sua Casata venne oscurata dai nuovi arrivati. 
La notizia della fortuna di Rainulfo fu, per i compatrioti, un invito a nozze: essi, golosi di terre e di gloria, cominciarono a calare in Italia e un nuovo “clan” di sei fratelli si riversò nella Penisola: gli Altavilla (in francese Hauteville), figli di Tancredi.

Non vennero tutti insieme, ma in due gruppi di tre, con rispettivi armati al seguito e iniziarono la loro ascesa al servizio del compaesano Rainulfo. La Contea di Aversa divenne così la piattaforma che li lanciò verso la conquista dell’Italia meridionale. 
Da qui si inserirono nelle varie guerre tra signorotti e ciascuno di loro riuscì ad impadronirsi di qualche territorio. Gugliemo detto Braccio di Ferro, combattendo contro i residui stanziamenti bizantini, diventò signore di alcune zone del Cilento. Drogone sposò una figlia del principe di Salerno Guaimario V e divenne capo dei Normanni di Puglia. Dopo la sua morte, avvenuta per assassinio nel 1051, fu sostituito in Puglia dal fratello Umfredo. Roberto, invece, stanziava in Calabria e la conquistò tutta anche grazie all’aiuto del nobile Gerardo di Buonalbergo che gli fece sposare sua zia Aberarda.

Papa Leone IX osservava con preoccupazione le conquiste normanne, soprattutto quelle di Roberto il quale avanzava pericolosamente, e temendo che prima o poi avrebbe toccato anche i territori pontifici, si mosse in anticipo e chiese l’aiuto degli Svevi
Con le truppe inviate nel 1053 dall’imperatore del Sacro Romano Impero, Enrico III, figlio di Corrado II e di Gisella di Svevia, organizzò una spedizione contro Roberto per fermare la sua avanzata. Ma nella battaglia di Civitate, a cui parteciparono in forza anche il fratello Umfredo e Riccardo I Drengot, conte di Aversa,  Roberto sconfisse le truppe imperiali e fece prigioniero il papa.
Non a caso Roberto veniva chiamato il Guiscardo, ossia l’astuto: i piani che gli frullarono per la testa erano degni del personaggio. 
Tenne prigioniero il papa per circa nove mesi, trattandolo con  tutti gli onori del caso, e da nemico se ne fece un amico. E forse il papa stesso, più santo che guerriero, pensò che simili “briganti” era meglio tenerseli  amici che nemici. 
Roberto rilasciò il papa a patto che questi riconoscesse le sue conquiste, ma, poco dopo il suo rilascio, il papa morì a Roma  e nuovo papa fu eletto Niccolò II.

Niccolò II, per assicurarsi la posizione, continuò la politica di alleanza con i Normanni iniziata dal suo predecessore. Gli accordi furono sottoscritti a Melfi con tre importantissimi documenti: il Trattato di  Melfi, del 24 giugno del 1059, in cui il papa nominò Riccardo I Drengot principe di Capua e Roberto il Guiscardo duca di Puglia di Calabria e di Sicilia; il Concilio di Melfi,  che si tenne dal 3 al 25 agosto 1059  ed in cui ci fu il riconoscimento ufficiale delle casate Drengot ed Altavilla; il Concordato di Melfi, tramite il quale si sottoscrisse che al pontefice rimaneva la città di Benevento e i territori intorno ad essa entro dieci miglia, mentre alla Casata Altavilla andava il resto del Principato. Inoltre, il papa investì Vassalli della Chiesa Roberto e Umfredo, i quali s’impegnarono a proteggerla e a recuperare tutte le Regalia Sancti Petri perse in Puglia e Basilicata.

Gli Accordi di Melfi, come sono chiamati in storia i tre documenti,  furono determinanti per la conquista normanna del Sud, perché sancirono un saldo rapporto di vassallaggio tra la Chiesa e i futuri sovrani normanni. Da questi rapporti di vassallaggio con la Chiesa nacque e  crebbe il  Regno di Sicilia.
Le basi del Regno le gettò l’ultimo dei fratelli Altavilla, Ruggiero, che aveva vissuto e combattuto all’ombra del fratello Roberto, stabilendo la sua residenza a Mileto. Ruggiero approfittò dell’occasione che gli porgeva l’emiro di Catania, in lotta con quello di Girgenti, per sbarcare in Sicilia e tentare la conquista dell’isola. Ci mise trent’anni per liberarla tutta, città dopo città, dai Saraceni e dalle ultime postazioni bizantine, e questo gli valse dal papa il titolo di Gran Conte di Sicilia e di Calabria, anche se non restituì mai alla Chiesa il patrimonio siciliano sottratto dai bizantini.  

Con lungimiranza, non ruppe né con i bizantini né con i saraceni, ma seppe sfruttare la loro esperienza amministrativa, impiegandoli come funzionari. Il suo sogno di unificazione del meridione non riuscì a realizzarlo; morì nel 1101, senza averlo potuto neanche tentare.  Aveva ormai settant' anni.
Ci pensò  suo figlio Ruggiero II, avuto dalla terza moglie Adelasia (o Adelaide), a portare avanti l’opera iniziata da lui. Ruggiero II riuscì ad unificare sotto il suo dominio tutti i feudi del meridione, compresi i Principati di Capua e di Benevento, conquistando così la corona di re di Sicilia che gli fu solennemente posta sul capo a Palermo dall' antipapa Anacleto II, il 25 dicembre del 1130. La prima corona normanna. 
Le basi che suo padre aveva gettato erano servite alla fondazione di un regno solido e moderno, che sarebbe durato più di ottocento anni.
                                                                                                           c.d.l       




Alcuni Testi Consultati

Bacco Enrico – Il regno di Napoli - Napoli 1620
Cardini Franco – Il Medioevo – Firenze, 2000
Cardini Franco – L’Italia Medievale – TCI – Milano, 2004
Cawley Charles - Foundation for medieval genealogy on line
De Rosa Gabriele – Età Medievale – Bergamo, 1992
Di Biasi Giovanni E. – Storia del Regno di Sicilia – Vol. 1 – Palermo, 1844
Erasmo Gattola - Historia monasterii casinensis – parte I
Leone Ostiense -  libro 2, cap.59-61
Licinio R. e Violante F.  (a cura di) – I caratteri originari della conquista Normanna – Università di Bari – Centro stusi Normanno-Svevi-  Bari, 2006
Negrelli Giorgio – L’ esperienza storica – Firenze, 1997
Pandolfo Collenuccio – Compendio delle historie del Regno di Napoli –

sabato 21 gennaio 2012

L'arrivo dei Normanni: i fratelli Drengot Quarrel

Cavalieri Normanni . Arazzo di Bayeax

I Normanni, uomini del Nord, avevano la stessa origine dei Longobardi: anche loro provenivano dalla Scandinavia, forse un' altra parte del popolo dei Winili. Avevano però avuto un' evoluzione leggermente diversa da quella dei Longobardi, certamente dovuta alle diverse popolazioni con cui erano venuti in contatto. 
Dopo un periodo di vagabondaggio, si erano stanziati nella regione nord-ovest della Francia, presso la foce della Senna, che da loro fu chiamata poi Normandia.
Come napoletani medievali, i Normanni erano un popolo pieno di iniziativa e intraprendenza. La loro legge ereditaria basata sul maggiorascato, ossia la trasmissione dell' eredità paterna di primogenito in primogenito, aveva stimolato in loro l'arte di arrangiarsi, perché i figli non primogeniti comunque c'erano  e dovevano pur vivere. A causa di questa legge, felice o infelice che fosse, i Normanni avevano saputo riciclarsi in vari modi e l' arte di arrangiarsi si era radicata così profondamente nel loro DNA, dando loro arguzia, vivace intelligenza, prontezza e capacità guerriera, che aveva fatto di loro un popolo veramente moderno, molto avanti coi tempi. 
Se li guardiamo con gli occhi di oggi, possiamo affermare, senza timore di sbagliare, che furono i primi ad inventare la scorta a pagamento.  Scortavano, infatti, i pellegrini per difenderli dagli assalti di pericolosi predoni, nei loro pellegrinaggi verso Gerusalemme e verso i Santuari europei più famosi, tra cui quello di San Michele Arcangelo al Gargano. Proprio in questo loro andare e venire, i Normanni si resero conto che l' Italia era un ottimo campo di lavoro. Le infinite guerricciole che movimentavano la penisola e i continui attacchi dei Saraceni alle città costiere offrivano loro la possibilità di arruolarsi come mercenari al servizio di molti signorotti.
I primi a sfruttare l'occasione furono i cinque fratelli Drengot de Quarrel, figli cadetti di un nobile normanno di Carreaux: Giselberto, Rainulfo, Asclettino, Osmondo e Rodolfo che, avendo un grande senso della famiglia, arrivarono tutti insieme, nel 1016,  accompagnati da altri 250 fuoriusciti che, come loro, cercavano un futuro, il che voleva dire soprattutto: terre
Grazie alle loro capacità guerriere o grazie anche alla particolare situazione di frammentazione in cui si trovava l’Italia, i fratelli Drengot il futuro se lo assicurarono molto presto, creandosi fama di ottimi guerrieri che li rendeva richiestissimi come mercenari. 
La parte continentale della penisola era infatti frammentata in quattro; c’era un’Italia longobarda; un’Italia bizantina, un’Italia pontificia e un’Italia ottoniana, discendenti dei carolingi. Se poi teniamo anche conto della dominazione musulmana in Sicilia, iniziata nel IX secolo, aggiungiamo un altro pezzo al mosaico all' Italia dell’anno 1000. Tutte queste realtà politiche si scontravano continuamente tra di loro, l’una cercando di scacciare l’altra, creando vantaggiose occasioni  per dei guerrieri mercenari in cerca di fortuna.
I fratelli Drengot offrirono i loro servigi ai signori del Principato di Benevento e di Salerno e specificamente a Guaimario III di Salerno, Pandolfo IV di Capua e al condottiero longobardo Melo di Bari, che guidava un’ insurrezione antibizantina in Puglia. In quest’ ultimo impegno, dopo alcune vittorie iniziali, i normanni furono sconfitti a Canne nel 1018 dal basilio Boioanne (o Bogiano) mandato dagli imperatori bizantini. 
Nella battaglia, il “clan” Drengot  subì una botta notevole, perché morirono Giselberto, loro capo,  e Osmondo, ma il clan non fu annientato. Anzi andò avanti molto bene sotto la guida di Rainulfo.

La carriera più ragguardevole fu proprio quella di Rainulfo,  a cui il duca di Napoli Sergio IV chiese aiuto per riconquistare il suo ducato caduto nelle mani di Pandolfo IV di Capua. Rainulfo fece così bene  il suo lavoro, scacciando Pandolfo da Napoli, che Sergio saldò il debito con lui  dandogli in moglie sua sorella e affidandogli, nel 1030, la poverissima Contea di Aversa, che divenne così il primo possedimento normanno della regione. 
Mai avrebbe pensato Sergio che, donando quel povero e abbandonato territorio aversano a Rainulfo, avrebbe contribuito alla nascita di un Regno durato quasi mille anni. Più tardi, nel 1038, la contea normanna di Aversa fu riconosciuta anche dall’imperatore ottoniano del Sacro Romano Impero, Corrado II
Rainulfo continuò a guardarsi intorno per conquistare altri territori da affidare ai suoi, ma ben presto dovette scontrarsi con un nuovo “clan” di suoi compatrioti molto agguerriti che calarono in Italia anche loro dalla Normandia: gli Altavilla.
c.d.l.
Alcuni testi consultati
Alfano Francesco Maria – Istorica descrizione del regno di Napoli – Napoli, 1798
Cawley Charles - Foundation for medieval genealogy on line
Cuozzo Errico e altri  - Catalogus baronum – Istituto storico italiano per il Medio Evo -1972
De Rosa Gabriele – L’età Medioevale – Minerva Italica- Bergamo, 1990  
Del Re Giuseppe – Cronisti e scrittori sincroni della dominazione normanna – Napoli, 1845
Giannone Pietro – Istoria civile del Regno di Napoli – Napoli, 1821
Granata Francesco – Storia civile della fedelissima città di Capua-
Piccinni Gabriella - I mille anni del Medioevo – ed. Mondatori – Milano, 1999
Sigonio Carlo - Dei re d’Italia – Milano, 1838
Tria Giovanni Andrea – Memorie storiche, civili ed ecclesiastiche della città  e                                          Diocesi di Larino – Roma, 1744
Troyli Placido – Istoria generale del Reame di Napoli – vol. III – Napoli 1748
  

martedì 17 gennaio 2012

I Conti di Carinola

Episcopio di Ventaroli - La Vergine Imperatrice

* Aggiornato il 6 febbraio 2015
Non è stato per niente facile portare a termine questa ricerca sui conti di Carinola, e neanche credo di averla esaurita. Manca all’appello un Pietro conte di Carinola, di cui si conosce solo il nominativo e di cui non si sono trovate tracce nei documenti finora consultati. 
I documenti a cui gli studiosi di storia fanno riferimento non sempre sono chiari; c’è spesso, tra queste varie fonti primarie, un accavallamento di nomi e di anni che possono portare fuori strada e rallentare di molto la ricerca.  
A parte i vari problemi inerenti alla ricerca in se stessa, quello che  se ne guadagna da uno studio simile è la consapevolezza dell’importanza che ebbe Carinola nel medioevo, a causa della sua ubicazione sulle principali vie di comunicazioni verso Napoli e verso Roma. Oggi tendiamo a sottovalutare questo piccolo Comune che sembra sorto casualmente dal nulla, ma per i Longobardi la fondazione di Carinola  (o rifondazione, se vogliamo), in questo determinato luogo, fu una scelta strategica. Non solo era un fondamentale punto di controllo sulle vie di comunicazione, ma anche un' ottima base di cui gli eserciti potevano servirsi per i loro spostamenti.
Per la sua importanza strategica,  Carinola fu sempre affidata ai consanguinei più stretti dei Principi di Capua, i figli, e non ad altri.

Come abbiamo visto, il primo conte della neo contea longobarda di Carinola fu Landone, nipote del vescovo-conte di Capua  Landulfo,  alla cui morte la vasta contea capuana fu divisa tra i suoi nipoti. Si presume che tutti i successivi conti di Carinola fossero i diretti discendenti di Landone, visto che oramai i Longobardi avevano prediletto il passaggio dei feudi da padre in figlio. Grazie alle registrazione nelle fonti documentarie primarie, è possibile tracciare una cronologia dei conti di Carinola, anche se non esauriente. E' comunque opportuno precisare che, in molte fonti, nelle registrazioni del periodo normanno, Carinola è chiamata
spesso Caleno.

1. Landone, primo conte di Carinola dall’anno 879. Si suppone che egli fosse figlio di Landenulfo perché viene nominato dopo l’altro Landone nella lista, il che fa presumere una posizione di subordinazione nella famiglia. Il suo nome è seguito da quello di Atenolfo che potrebbe essere suo fratello. Nella Cronica de Monasteri Santissimi Benedicti è registrato che egli fu padre di Landulfo, vescovo di Capua, e che fu egli stesso conte  di Capua per 2 anni e 10 mesi.


2. Dopo Landone,  è probabile che dall’887 al 910,  anno della sua morte, fosse conte di Carinola ATENOLFO III, “Landulph Rufus, filius Landulph Antipatru, principiavit cum eo et germanu suo Athenulpf de Calinulu anni 21.


3. Landenulfo II, figlio di Pandolfo Capodiferro, principe di Capua, morì assassinato a Pasqua del 993. Nel Chronicon monasterii casinensis troviamo registrato: Landenulfus qui fuerat comes Caleni donò al Monastero cassinese de alveo flumine Gariliani… (Petri Diaconi CMC III.41- pag 733). Secondo il Catalogus  principum Capuae: Landenulfus …filius Capiteferrei fu ucciso da cittadini ingiusti per mala volontà di Laidolfo, suo fratello minore: "per malam voluntatem Laydulfi eius fratris minori. Successe al padre come principe di Capua e dopo quattro mesi fu ucciso. Nel Chronicon Vulturnese troviamo invece registrato che "Landenolfus princeps" fu ucciso "a Langobardis intus civitate Capua", dopo che "Hugo Marchio" aveva assediato Capua; inserito in un testo dopo la registrazione di una carta datata 995.   

3. Agenolfo o Atenolfo, il suo nome e titolo di "comes Calinulo" lo troviamo in un documeno del 1091 conservato nel Monistero di San Biagio in Aversa.


4. Jonathan (-1094) con Jonathan inizia la dinastia normanna a Carinola. Non era figlio di Giordano come hanno ritenuto diversi storici del XIX secolo, ma ne era fratello. Era infatti  figlio di Riccardo, conte di Aversa e poi Principe di Capua col nome di Riccardo I, che a sua volta era figlio di Asclettino Drengot.
Riccardo d'Aversa, figlio di Asclettino, conquistò, infatti, Capua dopo la morte di Pandolfo V e ne divenne principe. Si sposò due volte. La prima volta con Fredesenda, figlia di Tancredi de Hauteville; la seconda volta con Fressenda. Dalla prima moglie, Riccardo ebbe sei figli: tre donne e tre maschi: Maria, Marsia, Giordano, che divenne poi principe di Capua, Jonathan, che divenne conte di Carinola, Bartolomeo, anche lui conte di Carinola dopo il fratello, e infine Limpiasa, ultima delle donne.
Le notizie su Jonathan, primo conte normanno di Carinola, sono quelle che riguardano la costruzione della cattedrale da parte di San Bernardo e che verranno trattate a parte. Morì senza eredi.


5. Bartolomeo, anch’egli figlio di Riccardo I principe di Capua e fratello di Jonathan. Alla morte del fratello Jonathan, morto senza figli, la contea di Carinola passò a lui. Il Codex Diplomaticus Cajetanus riporta: "…Domno Iordani Capuano principi…Ionathæ et Bartholomei germanorum eius…Pandulphi de Presumzanu" testimoniò al documento datato 7 Dec. 1089 che registra  un giudizio in favore del monastero di Santo Stefano di Fossanova.


6. Riccardo II, figlio di Bartolomeo. Molti storici del passato hanno fatto non poca confusione tra questo conte, figlio di Bartolomeo, e Riccardo di Aquila, ritenendoli la stessa persona e accavallando le azioni dell' uno con quelle dell'altro.  La causa di un simile errore va ricercata in una registrazione di Pietro Diacono nel Chronicon Monasterii Casinensis, in cui Riccardo di Aquila viene registrato come figlio di Bartolomeo de Caleno. In realtà, Riccardo di Aquila era figlio di un altro Riccardo, che potrebbe identificarsi con Riccardo I Duca di Gaeta e fratello di Goffredo, conte di Fondi, Itri e Sessa Aurunca.  Bisogna però sottolineare una cosa: poiché i personaggi chiamati Riccardo di Aquila sono più di uno, tutti discendenti l' uno dall' altro, non è sempre facile, per gli storici, districarsi tra le varie fonti primarie.


7. Alessandro?  Non abbiamo altre informazioni su questo personaggio, probabile conte di Carinola, se non quelle desunte da registrazioni della cronaca cassinese. Da queste ultime sappiamo che alla morte di Riccardo di Aquila, Duca di Gaeta, sua moglie Rangarda sposò Alessandro di Carinola prima del 1115. Ora, ragionando secondo i canoni del tempo, la vedova di un duca non sposava una persona qualsiasi, ma qualcuno che avesse un titolo e un ruolo importante, sia per non abbassare il suo rango, sia per quella politica di alleanze che ha caratterizzato tutto il medioevo (e fino ai nostri giorni).  La Chronica Monasterii Casinensis registra che, dopo la morte di "Richardi de Aquila", il castello di Suio (precedentemente donato a Montecassino) fu erroneamente tenuto da "Alexandro" che aveva sposato "uxorem eiusdem Richardi", ma che  fu catturato dall’abate di Montecassino. Dopo la cattura dell'uomo, "Rangarda…uxor præphati Richardi" prese la "turrem quæ ad mare dicitur".


8. Jonathan (dal 1134 al 1161 circa) figlio di Riccardo, fu investito Conte di Carinola, di Civitate e di Conza da re Ruggero II di Sicilia. Il Catalogus Baronum, datato alla prima parte del periodo [1166/89], registra "comes Jonathas"  che tiene "de principatu Capuæ Calenum…et Ayrola…et Sanctum Martinum", con  "feuda militum XXIII et augmentum eius…milites XXVII…inter proprium feudum et augmentum milites L". Gionata sposò Stefania, di cui non si conosce la paternità, ed ebbero due figli: Riccardo e Goffredo.

9.    Riccardo (dal 1162 fino al 1168?) figlio di Gionata e conte di Carinola e di Conza fino al 1168.



10. Riccardo figlio di Riccardo. La Ryccardus de Sancti Germano Chronica registra che "Riccardus Caleni comes", che appoggiava  Re Tancredi, distrusse "Sanctum Germanum cum Rogerio de Foresta castellano Atini" in 1192.  La stessa Chronica registra che "Guilielmo Caserte comes" appoggiava l’Imperatore Enrico VI contro Re Tancredi quando catturò "Riccardum Caleni comitem" a Capua e  lo portò prigioniero alla "roccam Arcis", in 1192.

Dopo la sua cattura, di Riccardo si perdono le tracce. Nel 1194 morì anche Tancredi a causa di una non meglio precisata malattia ed Enrico VI ebbe piena libertà d'azione. Quello stesso anno riuscì a impadronirsi della Sicilia grazie ad un duro intervento armato e a proclamarsi re.
Le contee vennero ridistribuite ai vassalli del nuovo re, che spazzò via la dinastia capuana  e affidò Carinola ai signori di Caserta, i Di Lauro-Sanseverino di cui parleremo più avanti.





c.d.l.


Testi consultati

Camera Matteo – Annali delle due Sicilie – Vol. I – Napoli, 1841
Catalogus Baronum Neapolitano in regno versantium ("Catalogus Baronum") in Del Re G. (ed.) (1845) Cronisti e scrittori sincroni Napoletani, Vol. 1 (Napoli), p. 594.
Catalogus Principum Capuæ, MGH SS III, p. 210.
Cawley Charles - Foundation for medieval genealogy on line
Chronicon Vulturnense, Liber IV, RIS I.2, p. 484.
Codex Diplomaticus Cajetanus (Monte Cassino 1887), Vol. 2, 262, p. 142.
Cronica de monasteri santissimi Benedicti -comites Capuae SS III, pag 206.
Cronica Fossa Novae
Di Meo Alessandro  - Annali critico diplomatici del Regno di  Napoli della 
                                  Mezzana Età – vol. VIII - Napoli, 1803
Esperti Crescenzio -Historiae urbium et regionum Italie rariores -vol.145 -Napoli, 1773
Petri diaconi – Chronica Monasterii Casinense IV.54, -
Petri diaconi - CMC - III .41 pag. 733
Petri diaconi - CMC – IV.54 MGH SS  VII,  pag. 788
Ryccardus de Sancti Germano Chronica 1192, MGH SS XIX, p. 327
Takayama Hiroshi – The administration of norman kingdom of Sicily -  Netherlands, 1993
Tosti Luigi – Storia della Badia di Montecassino divisa in nove libri – Na, 1842

domenica 8 gennaio 2012

La Contea di Carinola

Ventaroli - Episcopio - Parte dell'affresco dell'abside


* Aggiornato il 13 agosto 2016



 
*****
La mancanza di documenti rende il periodo di fondazione della città di Carinola molto incerto. Le notizie ci vengono fornite dagli storici ed eruditi del passato che, tuttavia, non si sa quanto possano essere attendibili. Molti di loro concordano sul fatto che essa sia stata fondata dai Longobardi, ma l’anno di fondazione e le modalità non sempre coincidono. Solo per citarne un paio:
Luca Menna, notaio carinolese del XIX secolo, opta per una Carinola fondata dai Romani con il nome di Caleno, perpetuando l’antica diatriba sul nome Caleno attribuito sia a Calvi che a Carinola. Secondo il Menna, distrutta la romana Carinola “dalle naturali calamità”, essa fu riedificata dai Goti. Quando poi i Longobardi arrivarono in zona, ampliarono e restaurarono quello che già c’era. Secondo il Menna, il primo conte di Carinola fu Siconolfo, il principe longobardo che si impadronì di Salerno, semplicemente perché Carinola era territorio di Capua e Capua divenne contea di Salerno.
Giovanni Battista Rampoldi, altro storico del XIX secolo, riferisce invece di una città fondata dai Longobardi nel 1058 sui resti della sannitica Carini, chiamata poi Carinola.
In realtà, non si hanno notizie certe e tutto è lasciato alla speculazione personale.
L’attendibilità documentaria su Carinola è possibile trovarla solo intorno all’879, quando la Contea di Capua, di cui il nostro territorio faceva parte, fu divisa tra gli eredi del vescovo-conte Landulfo.  A dire il vero, la morte di Landulfo non fu una buona cosa per la contea, perché l’applicazione dell’usanza ereditaria longobarda ne determinò lo spezzettamento e quindi l’indebolimento.
L’ antica usanza longobarda voleva, infatti, che non fosse favorito solo il primogenito nella successione dei feudi, ma che essi fossero divisi tra tutti gli eredi. Così accadde. E si verificò quello che da sempre viene sottolineato dalla nostra sapienza popolare con un proverbio ad hoc: sparti palazzu e diventa cantone.
Landulfo aveva diversi nipoti maschi, figli dei suoi fratelli, e la Contea di Capua fu divisa tra loro, perché ognuno ne reclamava, giustamente, una parte. 
Il nipote Pandonulfo (o anche Pandolfo) figlio di Pandone, riuscì ad imporsi su tutti gli altri e divenne erede della Contea di Capua; a lui toccarono anche  Teano col suo territorio, i Gastaldati di Aquino e di Venafro e la città di Casamirta  (Casam Hirta, ossia Caserta). 
Al nipote Landone toccò Sessa e Berolassi; quest' ultimo termine sta ad indicare tutti i paesi attorno all’antica Capua. 
All’altro nipote, anch’egli Landone, toccò Carinola e Cajazza
Il nipote  minorenne, Landulfo come suo zio, fu fatto vescovo di Capua, ma fu scacciato quello stesso anno dal conte Pandonulfo, che lo rimpiazzò col proprio fratello Landonulfo, aprendo così le ostilità tra loro cugini. 
Di queste ostilità ne approfittarono molti nemici, tra cui i Saraceni, che non persero occasione per attaccare continuamente il contado capuano, già indebolito dalle ostilità tra le diverse fazioni familiari.

La divisione della contea capuana fu registrata da Erchemperto nella sua Historia Langobardorum Beneventanorum, da cui è possibile trarre le prime notizie attendibili sulla creazione della contea carinolese. Ma esistono anche altre fonti eccellenti: l’Historia Langobardorum di Paolo Diacono; il Catalogus Baronum, redatto dall’ufficio regio preposto agli affari feudali, creato da Ruggero II il normanno nella seconda metà del XII secolo, con sede a Salerno; le registrazioni delle donazioni delle cronache monasteriali quali il Chronicon monasterii casenese, di cui Pietro Diacono fu un redattore; il Chronicon Vulturnense redatto dal monaco Giovanni; l’importantissimo Chronicon Salernitanum di anonimo, che raccoglie tutte le informazioni sui Principati della Langobardia Minor.

Iniziano, quindi, dal 879 in poi le vicende della contea longobarda  e poi normanna di Carinola che sono strettamente legate a quella di Capua da cui dipendeva, sia per l’amministrazione politica che ecclesiastica. 
Grazie alla sua ubicazione strategica presso la principale via di comunicazione che portava  a Roma e a Napoli,  e grazie alla fertilità del suo suolo, l'antico Ager Falernus,  Carinola  godette di una continua ascesa che si protrasse fino a tutto il periodo aragonese. 
Per la sua posizione e la sua fertilità, il contado carinolese fu anche causa di aspre contese tra i diversi baroni, che volevano impadronirsene.
c.d.l.
BIBLIOGRAFIA 

Accademia Pontiana – Atti della Società Pontiana di Napoli – vol I – Napoli, 1825
Alfano Francesco Maria – Istorica descrizione del regno di Napoli – Napoli, 1798
Caweey Charles – Foundation for medieval genealogy on line
Chronicon salernitanum – Collana Salerno – 1988
Cuozzo Errico e altri  - Catalogus baronum – commentario - Istituto storico italiano per il Medio Evo -1972
Del Re Giuseppe – Cronisti e scrittori sincroni della dominazione normanna – Napoli, 1845
Erchemperto – Historia Langobardorum Beneventanorum google books

Giannone Pietro – Storia civile del Regno di Napoli – vol I - Milano, 1844
Gloria Andrea – Compendio delle lezioni teorico pratiche di paleografia e diplomatica – Verona e Padova, 1870
Menna Luca – Saggio Istorica della città di Carinola – a cura di Adele Marini Ceraldi - 1992
Orlandi Cesare – Delle città d’Italia e sue isole adiacenti – Perugia, 1778
Rampolli G. Battista – Corografia dell’Italia – Vol I – Milano, 1832
Rinaldo Ottavio – Memorie istoriche della fedelissima città di Capua - Napoli, 1753




Il Ducato di Benevento nella Langobardia Minor

Benevento - Chiesa di S. Sofia: Annuncio a Zaccaria (particolare)

Nonostante i Longobardi avessero un' organizzazione sociale molto elementare se rapportata a quella romana,  essi furono in grado di dare vita ad un regno che abbracciò quasi tutta l’Italia e che durò fino al 774, quando Carlo Magno sconfisse Desiderio, ultimo re longobardo.
La cellula base della società longobarda era costituita dalla famiglia. Più famiglie costituivano una fara, quello che Tacito chiama gens. Più farae costituivano invece un Gau, ossia un ducato, e, infine, più Gau costituivano un popolo. Man mano che i territori venivano occupati, ci si stabilivano più farae e si formava un Gau, un ducato, affidato ad un duca il quale dipendeva direttamente dal re. 

A differenza dell’Italia settentrionale che fu assoggettata mediante il graduale insediamento della popolazione longobarda nei territori occupati, la conquista dell’Italia meridionale fu una vera e propria operazione militare.
Non c’è molta concordanza tra gli storici sull’anno di fondazione del potentissimo Ducato di Benevento: Pietro Giannone lo fa risalire al 571, altri al 576 e Leone Ostiense (o Marsicano) al 585. Se vogliamo attribuire la sua conquista a re Autari, è necessario propendere per dopo il 584 perché solo allora Autari fu fatto re e la sua discesa verso il sud avvenne intorno al 590; altrimenti è opportuno attribuire la sua fondazione a un gruppo di guerrieri longobardi, già presenti sul territorio, e ufficializzata poi dal re. Quello che è certo è che il primo duca fu Zotone (o Zottone), un guerriero che scorrazzava lungo la Campania alla testa di un’orda di selvaggi come lui e che Autari sottomise alla sua autorità. Con la nomina del primo duca di Benevento venne  ufficialmente costituito il Ducato di Benevento che, insieme a quello di Spoleto, formava la Langobardia Minor.
Di questo primo duca beneventano non se ne dice un gran bene; sembra che fosse un uomo crudele e lontano dalla religione; tanto amante delle ricchezze che il suo passatempo preferito erano le razzie e i saccheggi, ai quali non scampò neppure il Monastero di Montecassino. Governò per venti anni, facendo scappare via la popolazione e alla sua morte, avvenuta  nel 591, re Gisulfo mandò  a Benevento Arechi I, probabilmente nipote dello stesso Zotone. Per fortuna, Arechi non era come lo zio. Con lui, il Ducato di Benevento raggiunse un notevole periodo di splendore e un buon grado di tranquillità tra longobardi e bizantini; questo favorì la crescita del Ducato che, col tempo, divenne tanto potente da superare persino il potere dei re.
L’amministrazione della Langobardia Minor, essendo di natura più militare, era basata non sulle farae, ma sul comitatus,  ossia sul legame di fedeltà che univa il soldato al suo capo ed in cui era già presente il seme del feudalesimo. I due Ducati della Langobardia Minor vennero quindi divisi in contee (o gastaldati), amministrate da un conte (o comes), che rispondeva direttamente al duca. Inizialmente queste due funzioni, di duca e di conte, erano temporanee, ma già con Arechi I divennero ereditarie e passarono di padre i figlio.  

Per una migliore amministrazione e anche per retribuire in qualche modo i guerrieri che più si erano distinti nelle varie guerricciole contro i Franchi e i Bizantini, il Ducato fu diviso, man mano, in 34 contee e ciascuna venne affidata ad un conte. Esse furono le contee di: Acerenza, Albi, Alife, Aquino, Boiano, Cajazzo, Calvi, Capua, Celano, Chieti, Consa, Carinola, Fondi, Isernia, Larino, Lesina, Marsi, Mignano, Molise, Morone, Penne, Pietrabbondante, Pontecorvo, Presenzano, Sangro, Sant’Agata, Sesto, Sora, Telese, Termoli, Tiano, Trajetto, Valve e Venafro.
Le due realtà amministrative longobarde, la Langobardia Maior e la Langobardia Minor, erano separate dal corridoio bizantino, un vasto territorio alleato con Roma o con Ravenna che creava non pochi problemi ai Longobardi, soprattutto perché Roma mirava sempre ad espandersi per accrescere il cosiddetto Patrimonio di San Pietro
Questa particolare ubicazione geografica fece in modo che il Ducato di Benevento fosse da subito abbastanza indipendente dall’autorità regia. Anche quando il regno longobardo fu soppresso nel 774 da Carlo Magno, il Ducato continuò ad essere amministrato per altri tre secoli dai Longobardi perché Carlo non riuscì mai a conquistarlo e sottometterlo, come invece riuscì a fare con quello di Spoleto. Sempre nel 774, prima della soppressione del regno longobardo, re Desiderio concesse ad Arechi II, che aveva ambizioni regali, l' avanzamento a Principato.
Il Ducato di Benevento durò circa cinque secoli, fino al 1077 quando, alla morte di Landolfo VI, esso passò sotto il dominio pontificio e, tra alti e bassi, vi rimase otto secoli.
c.d.l.


Alcuni testi consultati

Abbate Francesco- Storia dell’arte nell’Italia meridionale: dai Longobardi agli Svevi - gbooks
Baronio Cesare – Annali Ecclesiastici Volgari – Roma, 1656
Erchemperto – Historia Langobardorum beneventanorum – gbooks
Giannone Pietro – Istoria civile del Regno di Napoli – Napoli, 1821
Granata Francesco – Storia civile della fedelissima città di Capua -Napoli, 1752
Muratori Ludovico Antonio – Annali d’Italia – Milano. 1744
Nugnes Massimo – Storia del regno di Napoli – Napoli.1840
Pellegrino Camillo – Apparato delle antichità di Capua – Napoli, 1771
Sigonio Carlo - Dei re d’Italia – Milano, 1838
Zigarelli Daniello Maria – Storia di Benevento – Napoli, 1860

martedì 3 gennaio 2012

La lunga marcia del popolo Longobardo - parte seconda

Charles Landseer - Assassinio di Alboino



Sebbene l’Italia avesse già subìto le invasioni gotiche e vandaliche, i Longobardi furono la prima vera dominazione straniera della penisola perché furono i primi a non mantenere l’amministrazione romana, ma ad istituirne una propria. Il loro regno durò in Italia  fino al 774, quando furono sconfitti e rimpiazzati dai Franchi di Carlo Magno. Durante i due e più secoli che rimasero alla guida della Nazione, i Longobardi estesero il proprio dominio in quasi tutta Italia, eccetto per pochi territori che rimasero bizantini. Nonostante le difficoltà iniziali causate dall’incontro-scontro di due culture essenzialmente diverse, in questo periodo abbastanza lungo si verificò un lento, ma solido processo di fusione sociale e culturale che fece dei vincitori e vinti un unico popolo. L’elemento che maggiormente aiutò questa fusione fu la religione cristiana.

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La storia del popolo longobardo risale al III-IV secolo, quando ancora si chiamavano Winili. Lo storico longobardo Paolo Diacono, nella sua Historia Langobardorum, scrive che furono costretti a lasciare la Scandinavia, loro paese d'origine, perché non c'era spazio e sostentamento per tutta la popolazione che era diventata troppo grande per una terra così ridotta e fredda. 
Dopo la divisione della popolazione  in tre parti, una parte di essa partì in cerca di nuove terre e si stanziò inizialmente alle  foci del fiume Elba, nell’attuale  Germania, e poi più a sud-est, in Pannonia, all’incirca l’attuale Ungheria. Nel corso dei secoli i Winili persero il loro nome d’origine per acquisire quello di Longobardi, dato loro dalle popolazioni con cui vennero in contatto, forse a causa delle lunghe barbe che non tagliavano mai o delle lunghe aste a corredo dell’equipaggiamento guerriero, chiamate da noi alabarde.
Chiamati in Italia dagli stessi bizantini, con cui erano già stati alleati nel 546 per difendere i confini dell’impero bizantino dai Gepidi, potente tribù germanica,  ora avevano il compito di combattere e cacciare via i Goti (Ostrogoti). Tra il 568 e il 569 arrivarono quindi nel nostro paese, guidati dal loro re Alboino, un guerriero che Paolo Diacono definisce uomo forte e valoroso in tutto, e che in Pannonia aveva combattuto strenuamente contro i Gepidi, uccidendone il re Cunimondo e sposandone la figlia Rosmunda.
Chi pensa che l’arrivo dei Longobardi fu un’invasione di feroci guerrieri barbari, sbaglia di grosso: fu un vero esodo di popolo, la migrazione di intere famiglie, con donne, vecchi e bambini al seguito. Erano circa 300 mila persone ed arrivarono in Italia con tutte le loro masserizie sui carri, ben determinati a stanziarsi definitivamente nella nostra terra. Si stabilirono a Cividale del Friuli e poi, man mano, conquista dopo conquista, occuparono gran parte del nord Italia, creando la cosiddetta Langobardia Maior di cui Pavia fu la capitale e in cui risiedeva il re e i suoi notabili.
Dal canto loro, i bizantini, pressati dal fatto di non poter più impiegare gli eserciti in tante parti difficili dell’impero, dovettero pagare lo scotto di aver chiamato in Italia degli invasori per cacciare altri invasori. Persero man mano tutti i loro  possedimenti e, in un ultimo tentativo di salvezza, intorno al 584, costituirono l’Esarcato d’Italia con capitale Ravenna, composto da tutte le province bizantine che erano: Ravenna e la Romagna, le coste venete, la Pentapoli nelle Marche, la Puglia e la Calabria, la Sicilia e la Sardegna, i territori di Napoli e di Roma, la Liguria. Ma, ormai, Oriente ed Occidente si allontanavano sempre più, anche a causa dei conflitti tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli, la quale rivendicava pari dignità con quella di Roma, ma che non le fu mai riconosciuta.
E cosa ne pensava la Chiesa di Roma dei nuovi invasori? Quando i Longobardi giunsero in Italia erano già cristiani, ma nella forma eretica dell’arianesimo condannata dal Concilio di Nicea (anno 325). Tuttavia, grazie alla regina Teodolinda, moglie di Autari prima e di Agilulfo poi, e al papa Gregorio Magno, i Longobardi si convertirono in massa al cattolicesimo. Sotto i Longobardi, dopo il 569, si ebbe una divisione netta dei poteri tra Bizantini, Longobardi e Papato, ma solo quest’ultimo sarebbe durato a lungo in Occidente.

Quando ci si avvicina ai Longobardi, è opportuno sfatare dei luoghi comuni che li hanno avvolti in un alone negativamente fantastico. I Longobardi non erano i più feroci e più crudeli invasori che l’Italia abbia avuto, come è stato spesso sostenuto: erano, né più e né meno, come gli altri popoli germanici, con la loro cultura, le loro credenze e le loro usanze popolari. L’episodio più famoso, quello di re Alboino che pretese di far bere sua moglie Rosmunda nel cranio del padre Cunimondo, va inquadrato nell’ambito di una cultura guerriera comune a molte civiltà indoeuropee di tradizione nomade.
Come ci fa notare la storica Gabriella Piccinni, tagliare la testa al nemico e bere dal suo cranio era in realtà un atto di “omaggio” verso il vinto, del quale si “beveva” la forza, il coraggio e le virtù. L’offerta fatta a Rosmunda, figlia dell’ucciso e sposa del vincitore, era un’offerta di riconciliazione tra vincitori e vinti. Il rifiuto di Rosmunda fu rifiuto alla riconciliazione e la portò a far assassinare Alboino, suo sposo.
Va sfatata anche la  storiografia romantica che vuole il popolo italico oppresso dal tallone germanico, con Manzoni in testa; in realtà i Longobardi si disinteressarono delle capacità giuridiche dei vinti, purché versassero ai vincitori il tributo dovuto. Il popolo italico non fu mai “servo” dei Longobardi, anzi si assiste a vari tentativi di conciliazione delle due culture da parte dei suoi re, con Autari, Rotari e Liutprando in testa, che contribuirono a dare a  due popoli e due culture una sola identità.
 

c.d.l.
Alcuni testi consultati

De Rosa Gabriele – L’età Medioevale – Minerva Italica- Bergamo, 1990  
Eco Umberto -  Il Medioevo: barbari, cristiani, musulmani -  Milano, 2010
Granata Francesco – Storia civile della fedelissima città di Capua- Napoli, 1752
Muratori Ludovico A – Annali d’Italia -  vol. III - Milano 1744
Muratori Ludovico A.- Dissertazione sopra le antichità italiane – Milano, 1751
Piccinni Gabriella- I mille anni del Medioevo – ed. Mondatori – Milano, 1999
Rinaldo Ottavio – Memorie istoriche della fedelissima città di Capua – Napoli, 1753
Troya Carlo – Della condizione de’ romani vinti da’ Longobardi – Milano, 1844
Zanetti Bernardino – Del regno dei Longobardi in Italia – Venezia 1753