sabato 26 dicembre 2015

San Maurizio nell’Annunziata di Carinola: un dilemma storico

A.G.P. di Carinola - San Maurizio
Come si sa, gli affreschi sono testimonianze storiche molto importanti per gli studiosi; in essi è possibile trovare una quantità rilevante di informazioni che aiutano a ricostruire determinati periodi storici. Questo vale anche per l’Annunziata di Carinola dove gli affreschi, a saperli leggere, danno moltissime informazioni. Un affresco in particolare suscita, in chi lo guarda, curiosità e, in chi lo studia, una buona dose di perplessità che fa nascere tante domande. 
Si tratta di un affresco raffigurante un soldato con la spada sguainata verso l’alto e due teste umane nella mano sinistra.
La mia sensazione, la prima volta che vidi l’affresco, fu proprio di perplessità: non riuscivo a capire chi potesse essere quel personaggio strano, con due teste in mano. Un santo sicuramente, ma chi? Avendo la spada tra le mani ne dedussi che poteva essere un santo soldato. Fu il prof. Silvio Ricciardone, che mi accompagnava, a dare l’input, dicendo che forse poteva essere San Maurizio, ma era una rappresentazione del santo fuori dai canoni iconografici comunemente usati.
Due furono le domande che mi assillarono per un bel po’ di tempo:
1) Che ci faceva San Maurizio a Carinola? Non è infatti un santo venerato dalle nostre parti, ma nelle aree di lingua francese, dove subì il martirio o anche in alcune zone del nord Italia.
2) Chi erano i due personaggi le cui teste  teneva nella mano sinistra?
Tranne le due teste mozzate che possono rappresentare Essuperio e Candido, ufficiali della Legione Tebea decapitati con Maurizio, qualsiasi illazione poteva essere sbagliata. L’unico modo per venire a conoscenza delle cose era una seria ricerca documentaria. E così spulciando testi su testi, antichi e più moderni, navigando nei siti degli archivi di stato, qualcosa ho trovato. Ma quello che mi ha permesso di poter fare una ricostruzione storica abbastanza corretta è senza dubbio la ricca documentazione che sono riuscita ad avere dall’Archivio di Stato di Torino.

 ******
Dalle Rationes Decimarun degli anni 1308-1310 sappiamo che a Carinola esisteva un lebbrosario intitolato a S. Maria Mater Domini, che esso dava una rendita di 20 oncia d’oro e ne pagava due di decime. 
Il lebbrosario fu forse istituito dai sovrani svevi e affidato ai frati dell’Ordine Militare Ospedaliero di San Lazzaro di Gerusalemme, il cui Priorato generale italiano si trovava nella Casa dei Lebbrosi e Ospedale di Capua. Ai frati ospedalieri i reali francesi concessero protezione e cospicue donazioni, mentre i pontefici romani concessero loro molti privilegi, soprattutto nel XIII secolo,  per cui l’ordine divenne molto ricco. 
Tra i più importanti privilegi ricordiamo quelli concessi da Papa Gregorio IX (1227-1241) che, con la Bolla del 4 Agosto 1227, esentò i beni dell’ordine da ogni tassa e con un’altra Bolla del 26 Novembre dello stesso anno concesse 20 giorni di indulgenza a chiunque facesse elemosina all’ordine. Papa Alessandro IV (1254-1261), oltre a confermare i privilegi dei pontefici suoi predecessori, confermò ai Cavalieri di San Lazzaro la Regola di Sant’Agostino che gli stessi già seguivano spontaneamente.

Papa Clemente IV (1265-1268) concesse diversi privilegi tramite tre Bolle Pontificie, due del 1265 e una 1266. Egli stabilì che:



  1. I Cavalieri di San Lazzaro venissero sepolti gratuitamente
  2. Nei cimiteri dell’Ordine potevano essere sepolti tutti, eccetto usurai e scomunicati.
  3. I Cavalieri di San Lazzaro avessero la facoltà di raccogliere, una volta all’anno, la colletta in tutte le Chiese, senza che i parroci potessero impedirlo.
  4. I beni, gli alimenti e gli animali dei Cavalieri fossero esenti dalle decime.
  5. Inoltre, la Bolla Pontificia di Papa Bonifacio VIII del 22 Novembre 1297, stabilì che i Cavalieri che versavano all’Ordine un’elemosina di 200 marchi d’argento erano esonerati dai voti, tranne l’obbligo di recarsi a Gerusalemme. 
Tra i tanti privilegi, i papi concessero che le proprietà appartenute ai lebbrosi, dentro e fuori gli ospedali, a morte di questi passassero agli stessi ospedali che li avevano ospitati. 
Il 20 Aprile del 1311, re Roberto d’Angiò inviò una lettera a tutti gli ufficiali del Regno di Napoli avvisandoli che i frati dell’Ordine ospedaliero di San Lazzaro avevano l’autorità, concessa loro dai pontefici, di costringere le persone infette dalla lebbra a isolarsi negli ospedali, prendendole anche con la forza, per allontanarle dalle persone sane. E poiché molti infetti si rifiutavano di andare negli ospedali per non far perdere alla famiglia i loro beni alla loro morte, re Roberto ordinò ai suoi ufficiali di prestare ogni possibile aiuto ai frati affinché questi potessero adempiere al loro dovere. 
Nei secoli seguenti, per recuperare i beni dei lebbrosi morti, spesso si usavano maniere poco ortodosse  per cui i frati di San Lazzaro persero molta stima tra il popolo. A questa perdita di stima va aggiunta anche la difficile situazione del Priorato di Capua, in cui molti baroni e signorotti, attratti dalle ricchezze dell’Ordine, si contendevano il titolo di Maestro e precettore della Milizia di San Lazzaro, senza esserne cavalieri. Nonostante la protezione di re e pontefici, l' Ordine italiano perse la sua antica dignità e non riceveva più molte donazioni.

I Papi del XV e XVI secolo cercarono di far sì che l’Ordine recuperasse l’antico splendore. Papa Pio IV nominò Gran Maestro dell’Ordine suo nipote Giannotto Castiglioni con la speranza che riuscisse a risollevare le sorti dell’Ordine, ma il Castiglioni si rese ben presto conto, per una serie di situazioni economiche, che l’Ordine non era in grado di reggersi autonomamente e nel 1571 si dimise in favore del Duca Emanuele Filiberto di Savoia, già Maestro dell'ordine mauriziano sabaudo.
Il Pontefice Gregorio XIII (1572-1585) prese la palla al balzo e con Bolla del 13 Novembre 1572 decretò l’unione canonica dell’Ordine di San Lazzaro con quello sabaudo di San Maurizio e Emanuele Filiberto di Savoia fu confermato Gran Maestro dell’Ordine per sé e per i suoi successori reali.
Tutte le proprietà dell’ Ordine di San Lazzaro furono unificate a quelle di San Maurizio e date in commenda ai Cavalieri dell’Ordine stesso.

Non conosciamo ancora quali furono i primi commendatari della commenda militare S. Maria Mater Domini di Carinola del nuovo unificato Ordine dei SS Maurizio e Lazzaro; bisogna arrivare al 1733 per avere notizie certe. In tale anno, la commenda di Carinola fu affidata all’abate di Santena (Torino) canonico Giovanni Amedeo Benzo, dei conti di Santena e cavaliere dell’Ordine, che la detenne per 20 anni.  In quel periodo la commenda di Carinola produceva circa 60 scudi di reddito. Ma a causa della lontananza, il conte non poteva  controllare le sue proprietà carinolesi e gli affittuari ne approfittarono per usurparne le terre ed impossessarsene.

Nel 1750, il cavaliere cosentino Gaetano Spadafora fu informato dal Vescovo di Carinola, probabilmente mons. Francesco del Plato,  che alla commenda di Carinola erano state usurpate parecchie terre, circa 13 moggia. Lo Spadafora allora fece domanda al Gran Maestro generale per ottenere la commenda, impegnandosi nel recupero dei terreni usurpati e passando al legittimo commendatario, l’abate Benzo, i 60 scudi annui di rendita. La proposta fu accordata e lo Spadafora iniziò il recupero dei terreni, venendo personalmente a Carinola e cercando negli archivi i presunti affittuari dei terreni che si erano appropriati delle proprietà. Il primo affittuario costretto a lasciare i terreni fu un Domenico Pergameno, a cui seguirono tutti gli altri. Per il 1753, grazie allo Spadafora,  la commenda di Carinola rientrò in possesso di tutti i terreni usurpati che erano i seguenti:

1.Terra campestre detta Mater Domini confinante ai due lati con la strada pubblica, da un lato con i beni di Lucrezia Marchesa Di Lorenzo, di moggia 15, passi 5, passatelli 112 e mezzo.
2.Due territori detti la Nocella e Alberone in  tutto di moggia 5, passi 127, passatelli 127 e    8/3.
3.Terra campestre detta alli Crispi di moggia 55,  passi 128, passatelli 123.
4.Due territori detti a Capotignano e e l’Arboscello di moggia 4, passi 6,  passatelli 13.
5.Terra campestre detta Viallunghi di moggia 5, passi 120, passatelli 3 e mezzo.
6.Terra con cerque e castagne detta Viallunghi di moggia 6, passi 15, passatelli.
7.Terra campestre detta la Starza, confinante con il lago di Carinola, di moggia 127, passi 4, passatelli 127.




Nel frattempo che lo Spadafora recuperava tutti i terreni, morì il legittimo commendatario, il canonico Benzo, e lo Spadafora poté diventare legittimo commendatario della commenda di Carinola. 
Essendo egli nativo del Regno di Sicilia, anche se residente a Roma, non ebbe difficoltà ad ottenere dal re di Napoli l’exequatur, ossia il beneplacito reale per prendere possesso dei beni siti nel Regno. 
Nel 1753 il cavalier Spadafora prese possesso della commenda militare di Carinola facendo l’atto di prassi dovuto: camminando su ciascun  terreno insieme a due testimoni, estirpando qualche erbaccia e se nessuno dei lavoranti aveva nulla da dire, egli veniva riconosciuto ufficialmente come legittimo proprietario del terreno. A questo simbolico atto di possesso doveva seguire la registrazione della collazione alla Real Camera di S. Chiara e di tutti i nominativi dei lavoranti delle terre, specificando le prestazioni dovute.
Grazie al recupero dei terreni e ai miglioramenti che operò lo Spadafora, la commenda militare di Carinola raggiunse la rendita di 300 scudi annui.
Lo Spadafora detenne la commenda fino al 1780, anno della sua morte, che poi passò al piemontese cavalier Ortensio Ceva Bussi, marchese.

Il cavalier Bussi ebbe invece dei grossi problemi ad entrare in possesso della commenda. Prima perché non era originario o residente nel Regno di Napoli e Sicilia, e poi per via di alcune infelici espressioni usate nella Bolla di conferimento della commenda, che diedero molto fastidio ai reali di Napoli. Il Bussi dovette ricorrere prima alla Real Camera di Santa Chiara e poi, in appello, alla Gran Corte della Vicaria. Solo nel 1783, dopo 3 lunghi anni di beghe legali, riuscì ad entrare in possesso della commenda militare di Carinola.

Fin qui le informazioni, poi si perdono le tracce della commenda di Carinola, ma le ricerche sono chiaramente ancora aperte.
c.d.l.


Alcuni testi consultati

Amato Brodella: Storia della Diocesi di Carinola – Marina di Minturno, 2005
Archivio di Stato di Torino – Documenti relativi alla Commenda militare di Carinola, S. Maria Mater Domini,  anni 1753 e 1783 - mazzo 3 e mazzo 5.
Cadetti delle truppe pontificie: Atti del martirio di S. Maurizio e compagni – Ravenna, 1845
Giovanni Maria Chiericato: Le spighe raccolte – Venezia, 1716
La civiltà Cattolica: Un superstite della legione Tebea – Vol. 9; vol. 15; Roma, 1894
Sianda Giovanni: Breviario Istorico – Lugano, 1765
Trevor  Ravencroft: La lancia del destino – Roma 1972 





domenica 13 dicembre 2015

Annunziata di Carinola: la memoria ritrovata

Ave Gratia Plena di Carinola - monaco francescano

E’ quella per la Chiesa dell’Annunziata di Carinola che era andata perduta per colpa dell’incuria. Una Chiesa poco conosciuta di cui molti ignorano addirittura l’esistenza, poco studiata anche dagli esperti. Eppure una Chiesa bellissima, importante per la storia dell’arte, suggestiva ed affascinante  per  l’intreccio tra fede e storia che la caratterizza.
Premettiamo che la breve ricostruzione storica che segue, è frutto di nostre personali ricerche, di acquisizioni di evidenze dalle principali fonti aragonesi e francescane nonché di logiche deduzioni storiche perché la conoscenza dei  beni artistici non può prescindere da esse.
Mettiamo subito  un punto fermo sulla fondazione della Chiesa che è certa. Essa fu fatta costruire dalla dinastia Angioina fra il 1315 e il 1340 per volere della regina Sancia di Maiorca e del re Roberto I d’Angiò detto il Saggio.
Sancia di Maiorca è fondamentale per la bella Chiesa dell’Annunziata di Carinola come bella è la sua storia personale. Sancia era stata formata dai francescani, era fortemente devota a S. Francesco e a  S. Chiara, aveva una sola aspirazione, quella di entrare in convento nell’ordine delle Clarisse. Non le  fu possibile, dovette infatti anche su pressioni  del Papa, sposare nel 1304 il re Roberto I d’Angio’ e adattarsi a fare la  regina di Napoli. Sancia non diede alcun erede a Roberto d’Angio’ probabilmente per un voto di castità che aveva fatto prima di sposarlo. La devozione a S. Francesco  e a S. Chiara era tale  per cui Sancia convinse il re Roberto a  realizzare tante chiese e tanti monasteri da affidare ai Frati Minori e alla Clarisse. A Napoli, fra i tanti edifici di culto, diedero vita al famoso monastero di S. Chiara.
Sancia e Roberto d’ Angio’ erano  persuasi che la fede senza le opere concrete servisse a poco, per cui a fianco delle chiese, facevano costruire strutture con finalità sociali che potevano  essere un brefotrofio come avvenne per l’Annunziata di Napoli o molto spesso un ospedale. In tale contesto storico, furono quindi edificate nella prima metà del trecento in tutto il Regno di Napoli  per  volontà di Sancia e Roberto molte Chiese dell’Annunziata o dell’Ave Gratia Plena.
Nel mese di giugno del 1313 Roberto d’Angiò fa delle donazioni alla pia moglie Sancia tra cui anche il nostro territorio.
A Carinola Sancia  resta affascinata dal Convento di S. Francesco di Casanova per cui vuole che la erigenda Chiesa dell’Annunziata sia quanto più possibile simile a quella del Convento di Casanova e questo spiega perché le due Chiese sono molto simili stilisticamente  ed architettonicamente. La Chiesa dell’Annunziata di Carinola nasce dunque come una chiesa francescana, perché devoti all’ordine francescano erano i suoi committenti.
Rispetto ad altre chiese dell’Ave Gratia Plena che in quel periodo vengono erette nel Regno, quella di Carinola, assume la dimensione di una vera e propria  cittadella monastica che ingloba il vicino  ospizio- convento della Maddalena dov’erano destinate le giovani donne che avevano avuto dei problemi molte delle quali poi si ravvedevano e prendevano i voti. Poco distante, separate dal ruscello, la Chiesa e l’Ospedale, di cui rimangono solo  le antiche mura diroccate, e l’ingresso posto alla base del campanile, dov’è ancora visibile l’affresco, che secondo Luca Menna  ritrarrebbe San Bernardino da Siena che assieme a San Giacomo della Marca si ferma più volte qui a Carinola nella Chiesa dell’ Annunziata nel periodo in cui entrambi fondarono il Santuario della Madonna dei Lattani a Roccamonfina. La presenza di questi due Santi Francescani conferma la natura spirituale prettamente francescana della Chiesa attestata anche dal“cingolo francescano” dipinto al fianco dei vari soggetti degli affreschi in particolare nella Madonne con Bambino.
La presenza poi dell’Ospedale spiega anche  la nascita della nostra Confraternita, che è tra le più antiche della Diocesi in quanto costituita tra la fine del 1300 inizio 1400 con la finalità di prestare, in uno spirito di cristiana carità,  assistenza agli ammalati.
La Chiesa dell’Annunziata di Carinola assume rilievo nella storia dell’arte, perché era stata fatta completamente affrescare lungo tutte le pareti e nelle 4 cappelle laterali chiuse. Gli Angioini privilegiavano l’elemento pittorico rispetto a quello architettonico per cui fecero confluire a Napoli i migliori pittori dell’epoca,  fra i quali Pietro Cavallini,Simone Martini e soprattutto Giotto che crearono delle botteghe e fecero scuola. E la bellezza dei frammenti e degli affreschi ancora esistenti nell’Annunziata di Carinola, dimostra che a Carinola operarono le migliori maestranze pittoriche dell’epoca.
Siamo convinti  che al di là del significato delle iscrizioni e delle epigrafi  che rimandano al mistero dell’Annunciazione, in due degli affreschi ancora esistenti  celati nella parte concava della cappella della Annunciazione, siano probabilmente raffigurati proprio i committenti della Chiesa vale a dire Sancia di Maiorca e Roberto I d’Angiò. Dopo la morte di Roberto d’Angiò  Sancia di Maiorca prende i voti e con il nome di Suor Chiara della Croce entra nel Convento della Clarisse di S. Croce a Napoli dove muore. Sarà successivamente tumulata nel famoso monastero di S. Chiara.Nella nostra ricostruzione storica della Chiesa,  dobbiamo ora fare un passo in avanti di un secolo. Dopo gli Angioini arrivano gli Aragonesi e con essi Carinola, nella seconda metà del 1400 conosce il suo massimo splendore e la sua massima importanza compresa la nostra Chiesa dell’Annunziata teatro di un evento straordinario. A Carinola Alfonso I il Magnanimo fa costruire il palazzo per la sua amata figlia Eleonora  d’Aragona che il 3 maggio del 1444 sposa Marino Marzano. A Carinola il re Alfonso passa quindi molto del suo tempo per l’affetto che nutriva per la figlia. Ad Alfonso il Magnanimo nella guida del Regno subentra il figlio Ferrante d’Aragona. Ferrante è legato da un rapporto di odio amore per la sorellastra Eleonora, deve tenere a bada il cognato Marino Marzano che congiura contro di lui, deve rapportarsi con il suo segretario tesoriere Antonello Petrucci per cui pure Ferrante è spesso a Carinola nel Castello di cui purtroppo oggi  rimangono solo  i resti.  E a  Carinola Ferrante d’Aragona si trova  appunto verso la metà del mese di novembre del 1475. Nel corso di una battuta di caccia contrae un’infezione che gli procura una febbre violenta che nel giro di pochi giorni lo debilita progressivamente. A nulla valgono le erbe medicamentose del suo medico personale. La situazione si aggrava giorno dopo  giorno. Il re Ferrante d’ Aragona, l’uomo più potente del Regno e forse d’ Italia versa in fin di vita qui a Carinola nel suo castello. Vengono  allertati tutti i dignitari di Corte e l’erede al trono Alfonso I che si precipitano qui a Carinola. La situazione è talmente grave che si  decide di chiamare San Giacomo della Marca che in carrozzella da Napoli  viene portato a Carinola dove alcuni anni prima era già stato  con San Bernardino. Il re Ferrante è morente nel Castello di Carinola e i dignitari di Corte implorano San Giacomo della Marca di ottenerne la guarigione.
San Giacomo della Marca «come arriva in città i passi subito porta al tempio vicino ed innalza le sue preghiere in favore del  re».
E’ proprio questo ultimo passaggio che, in base alle nostre ricerche, ci consente oggi di chiarire il miracolo storico compiuto qui a Carinola da San Giacomo della MarcaEgli dunque si porta tempestivo nel “tempio vicino” al Palazzo del re e poiché il palazzo del Re dove si trovava tutta la Corte non può che essere  il Castello di Carinola, ne consegue che  il tempio vicino non può che essere la nostra  Chiesa della Annunziata dove San Giacomo della Marca con San Bernardino aveva del resto più volte sostato e pregato.
E’ dunque nella Chiesa dell’ Annunziata come attestato da Giovanni Battista Petrucci, che San Giacomo della Marca  verso la fine del mese di  novembre del 1475 inizia a pregare per salvare il re  Ferrante.
La situazione di Ferrante volge inesorabilmente al peggio, il re è quasi morto, i dignitari di Corte  ritornano da San Giacomo della Marca immerso nelle sue preghiere e con le lacrime al volto lo supplicano di strappare Ferrante d’Aragona alla morte. San Giacomo della Marca sorride ed esorta ad  avere fede,  consegna ai dignitari di Corte  il suo rosario di “pietruzze” invitandoli ad appoggiarlo sul corpo del re Ferrante. Detto fatto e a questo punto Ferrante d’Aragona si alza improvvisamente e chiede di mangiare. Il miracolo è compiuto e tutte le campane di Carinola suonano a festa in segno di giubilo per l’ottenuta  salvezza del re Ferrante d’ Aragona. Subito dopo San Giacomo ha un colloquio nel Castello di Carinola con il re Ferrante nel corso del quale, conoscendo il suo animo bellicoso, lo esorta alla pace.
Dopo alcuni giorni, verso la metà del mese di dicembre del  1475 rimesso e rinfrancato Ferrante lascia Carinola per tornare a Napoli. Il periodo degli eventi descritti – novembre metà dicembre – lascia  ipotizzare che San Giacomo della Marca abbia ottenuto il miracolo nella nostra Chiesa dell’Annunziata proprio nel periodo in cui alcuni secoli dopo verrà istituita la S. Novena alla Immacolata.
A distanza di un anno dal suo  miracolo, il 28 novembre del 1476 S. Giacomo della Marca morirà a Napoli.
Ferrante avendo già dimenticato l’esortazione alla pace di San Giacomo affila invece le sue armi e si appresta a massacrare i suoi baroni coinvolti nella famosa “congiura dei baroni” tra i quali Antonello Petrucci e i suoi figli, tranne Giovanni Battista Petrucci che è un religioso devoto di San Giacomo e grazie al quale abbiamo potuto ricostruire il miracolo di cui abbiamo parlato.
La Chiesa dell’Annunziata pur perdendo nel corso dei secoli Università e l’Ospedale, conserverà una potestà laica fino ai giorni nostri ed il Rettore con ben 6 sacerdoti che si alternano nelle messe quotidiane fino alla prima metà del secolo scorso. Uno degli ultimi Rettori è stato un bravo sacerdote di Falciano del Massico don Michele Santoro, morto nel 1935 all’età di soli 25 anni lasciando un ricordo indelebile nella memoria dei nostri nonni.
Questa  per il momento la ricostruzione storica  di questa straordinaria Chiesa dove da secoli i Carinolesi onorano  la loro Regina Celeste, l’Immacolata Concezione, con una Novena impregnata di misticismo, la Messa dell’aurora dell’8 dicembre seguita dalla processione della bellissima statua dell’Immacolata, sicuramente fatta costruire nei secoli scorsi dai migliori artigiani di Napoli, adornata dell’“oro della Madonna” vale a dire dei  preziosi ex voto offerti alla Madonna nel corso dei secoli per le tante grazie ricevute che da quest’ anno sarà possibile rivedere.
Antonio CorriboloVice Priore Confraternita dell’Immacolata