martedì 24 dicembre 2013

Natale 2013

Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di
Ii IImmagine di Marisa Galiani
Natale. Guardo il presepe scolpi
Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l'asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v'è pace nel cuore dell'uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?
 (Salvatore Quasimodo)

BUON NATALE DI PACE E GIUSTIZIA

giovedì 14 novembre 2013

Un carinolese pellegrino in Terra Santa




Copertina del volume di Padre Michele Piccirillo

Ho incontrato il Notaio Nicola – scrive Padre Michele Piccirillo – leggendo i documenti riguardanti la storia della missione dei Francescani in Terra Santa, iniziata nel 1217 con l'arrivo in Oriente dei primi frati, seguiti nel 1219 dal fondatore dell'Ordine, Francesco d'Assisi. 
Nel volume V della Biblioteca Bio-Bibliografica della Terra Santa, dedicato agli anni 1346-1400, lo storico francescano Padre Girolamo Golubovich riporta tutti i passi del diario del Martoni nei quali il Notaio ricorda le Case e le Chiese dei Frati Minori incontrate durante il suo pellegrinaggio: a Gerusalemme nella Basilica del Santo Sepolcro sul Monte Sion, a Betlemme nella Basilica della Natività, nei porti di Beirut, di Rodi, di Famagosta, a Nicosia, a Negroponte, a Patrasso. L'itinerario del Martoni – scrive Padre Girolamo -  è senza dubbio uno dei più preziosi documenti del XIV secolo; e per la storia dell'Oriente francescano contiene non pochi dati interessanti.”

Conoscendo Padre Michele, posso immaginare la sua emozione nel trovarsi di fronte ad un suo concittadino del Medioevo pellegrino in Terra Santa, ma posso anche immaginare la sua arguta, nonché brillante ironia.

Padre Michele, non perse tempo e si mise alla ricerca del diario del Martoni. Grazie ai riferimenti dello studioso Lèon Le Grande, trovò una copia del diario nella Biblioteca Nazionale di Parigi, dove era custodita.

E così accanto ai più famosi diari di pellegrinaggio medioevale lasciatici dal Pellegrino di Burdigala (Bordeaux) nel 333 d.C., dalla Pellegrina Egeria, nel 381-384 o 400 d.C., e da Pietro l’Ibero, 477 d. C., possiamo aggiungere anche il diario (1394-1395) del nostro concittadino, il notaio Nicola De Martoni, il quale fornisce agli storici e agli studiosi tantissime informazioni.


Ma chi era questo nostro concittadino del medioevo? Lo dice lui stesso nel suo diario. Era un notaio di Carinola della famiglia de’ Martoni. Aveva una moglie, Costanza, da cui aveva avuto dei figli,  prematuramente scomparsi. Suo fratello era arcidiacono della Cattedrale di Carinola in cui  i de’ Martoni avevano una cappella dedicata a S. Caterina d’Alessandria, patrona della famiglia, e la tomba di famiglia. Il notaio aveva voluto fare questo pellegrinaggio per pregare sul Santo Sepolcro e visitare i luoghi in cui si era svolta la vita di S. Caterina.


Il diario del notaio Martoni, oltre ad essere un brillante esempio del passaggio della lingua latina al volgare, è un documento storico interessantissimo anche per noi carinolesi perché  confronta i luoghi che visita con luoghi del carinolese, ancora esistenti e non più esistenti, lasciandoci delle testimonianze molto precise.


Quando visita la chiesa della Santa Croce a Gerusalemme, la paragona alla cattedrale di Carinola, dicendo: “Quella chiesa è larga e lunga quasi come quella di Carinola”. A Betlemme i mosaici dell’abside della Basilica della Natività, raffigurante  “la Vergine con il suo  Figlio diletto il quale si trova al centro”, gli ricordano quelli della Chiesa di San Bernardo a Carinola, la cui abside era evidentemente mosaicata. A Rodi, invece, descrive la Chiesa di Sant’Antonio  e vede “lungo il perimetro, 51 sepolture ad arco con cupole come quelle di San Matteo di Carinola”. Oggi la chiesa di San Matteo a Carinola non esiste più, ma grazie a questa descrizione, sappiamo che fungeva anche da luogo di sepoltura ed in essa probabilmente le famiglie più in vista avevano le loro tombe.


Paragona più volte le montagne che vede nel suo viaggio al Monte Massico. Nei pressi di Trapani scrive: “io Notaio Nicola osservai bene perché si vedeva una grande montagna, come il Monte Massico della città di Carinola”. Anche in Turchia i monti che vede dal mare gli ricordano il Massico per cui scrive "monti alti come il monte Massico”. Nei pressi di Corfù invece, vedendo una torre sulla montagna, scrive “come se fosse tre volte la torre del castello di Carinola”. A Cos, che è “grande, stimo, come Carinola o quasi”  la laguna che vede è “grande forse un terzo del lago di Carinola”. Ad Alessandria  d’Egitto invece scrive: ci sono due monti eretti artificialmente con letame e immondizia delle strade e delle case, monti che distano due miglia l’uno dall’altro. Su uno di essi, che è più alto della collina di S. Arcangelo di Carinola, c’è sulla sommità una torre, e siccome il monte cresce in altezza per il letame e i rifiuti, così cresce la torre che viene progressivamente ricostruita. E ciò si fa di proposito, così che i naviganti possano individuare e riconoscere la città da lontano, perché essa sta in un luogo basso e piano”

Il nostro concittadino del medioevo risulta essere un tipo abbastanza simpatico, pieno di ironia e  vivacità. Le sue descrizioni degli avvenimenti risultano molto divertenti, anche quando le circostanze sono abbastanza drammatiche. Egli non cita solo i luoghi del carinolese, ma anche Sessa, Teano, Rocchetta, Capua e, come dice padre Michele, intraprende questo pellegrinaggio con il cuore rivolto a casa. E la sorte vuole che, dopo un anno di viaggio, Nicola non trovi più sua moglie ad aspettarlo, perché morta circa un mese prima. 
Ci fa un po’ tenerezza quest’uomo che per fede intraprende questo pellegrinaggio e, ritornando, trova la casa vuota degli affetti familiari. Ma noi carinolesi del terzo millennio non possiamo che essergli grati per la testimonianza che ci ha lasciato.
cdl








 Dal libro di p. Michele Piccirillo - Io notaio Nicola De Martoni - Custodia di Terra Santa, 2003


mercoledì 13 novembre 2013

I pellegrinaggi medievali e la sosta di Foro Claudio







Il pellegrinaggio cristiano conobbe il suo periodo d’oro nel Medioevo, periodo in cui si avvertiva fortemente il rapporto con il soprannaturale ed il mondo terreno era considerato il riflesso di quello spirituale. Intraprendere un pellegrinaggio rappresentava un modo per avvicinarsi alla divinità, caricando di senso spirituale la propria esistenza per raggiungere la salvezza dello spirito.

La storia del pellegrinaggio cristiano vede tre mete fondamentali: Gerusalemme, meta sacra per eccellenza, dove Gesù Cristo aveva compiuto la sua missione di salvezza dell’uomo; Roma, città del martirio degli apostoli Pietro e Paolo; Santiago di Compostela, che ospita la tomba dell’apostolo San Giacomo il Maggiore. Qualcuno aggiunge anche una quarta meta, Costantinopoli, dove erano custoditi i segni della Passione e morte di Cristo, ma erano le prime tre ad avere la supremazia su tutte le altre. 
Gerusalemme e Roma conobbero epoche di sviluppo a partire dal IV secolo d.C. mentre Santiago di Compostela si sviluppò solo verso il X secolo.


I pellegrinaggi verso la terra di Gesù iniziarono molto presto, probabilmente subito dopo l’editto costantiniano del 313. I primi documenti a nostra disposizione, interessanti diari di viaggio di due pellegrini, risalgono l'uno al 333 d.C., il diario del Pellegrino di Bordeaux, e l'altro al  384 circa, il diario della Pellegrina Egeria. Conobbero poi un certo rallentamento tra il VII e il X secolo a causa delle incursioni barbariche che interessarono l’intera Europa, ma neanche allora si fermarono del tutto.  

Inizialmente, il cammino verso Gerusalemme era affrontato da uomini di grande spiritualità, animati da fervore religioso e forte sentimento ascetico. Solo persone di tale caratura, infatti,  potevano affrontare un viaggio difficilissimo, per fatica e pericolosità, attraverso luoghi non ancora addomesticati dall’uomo. Essi lasciavano la vita familiare e i loro beni per andare in Palestina e seguire la via indicata dal Cristo,  unendosi a comunità cenobitiche che si erano formate già dal III secolo. Più tardi, uomini di ogni classe sociale cominciarono a dirigersi verso Gerusalemme, per voto, per chiedere una grazia o semplicemente per un proprio bisogno spirituale. 
Dopo aver ricevuto solennemente dal sacerdote la benedizione, il bastone, la bisaccia e le insegne del pellegrinaggio (conchiglia, croce e palma, segni di penitenza), si incamminavano verso la loro meta, che raggiungevano via terra o  via mare. In Italia, Brindisi era il porto da cui molti pellegrini si imbarcavano per la Terra Santa, dopo la tappa di Monte S. Angelo. Non mancavano le donne. 
Esse ebbero un ruolo fondamentale durante i pellegrinaggi  medioevali verso la Terra Santa, a cominciare dalla madre dell’imperatore Costantino, Elena, la quale recuperò molte reliquie cristiane e ricostruì  un itinerario religioso per chi avesse voluto ripercorrere i luoghi della nascita, morte, sepoltura, resurrezione e ascensione di Gesù Cristo


La storia dei pellegrinaggi è strettamente collegata al popolamento di zone in cui passavano le strade battute dai pellegrini e, come scrive la studiosa Gabriella Piccinni, “ogni centro di culto e preghiera, a sua volta, diventava sede di un mercato o di una fiera, di locande e taverne. Nacquero in questo modo interi villaggi”. La verità di questa affermazione l’abbiamo sotto i nostri occhi, a Ventaroli, o per meglio dire Valledoro, l'antica Forum Claudii, luogo in cui sorge la Basilica di Santa Maria De Episcopio
La Basilica fu costruita proprio nelle vicinanze di una strada medievale percorsa da pellegrini, che si dirigevano verso Brindisi per imbarcarsi, e la scelta di costruirla in quel luogo non fu sicuramente casuale. Probabilmente fu costruita proprio per essere inserita in un sistema di soste da offrirsi ai pellegrini lungo l’itinerario dei pellegrinaggi. Forum Claudii divenne quindi tappa di sosta per moltissimi pellegrini i quali, oltre a rinfrancare lo spirito nella basilica, potevano usufruire di un mercato giornaliero per le loro spese e di un hospitalium che si trovava a Carinola, presso l’Annunziata, a circa due miglia. Il nome stesso di “Forum” non è altro che la latinizzazione del nome volgare "mercatu", e nei documenti medievali il luogo viene indicato come “ad illu mercatu”
Quello che oggi noi carinolesi consideriamo come importanti testimonianze storiche, senza tuttavia avere una corretta visione d’insieme della funzione del loro ruolo, erano invece parte di un sistema economico e sociale che aveva la sua origine nei pellegrinaggi medievali. 
Prima ancora che Carinola fosse fondata e divenisse una contea, Forum Claudii era inserita egregiamente nel sistema socio-economico del tempo.
 cdl



Testi consulti
AA. VV – Il Pellegrinaggio – Milano, 1997
Cardini Franco – Il Pellegrinaggio- Vecchiarelli, 1996
De Rosa Gabriele – Età Medioevale - Bergamo, 1994
Oursel Raymond – Pellegrini del Medioevo. Gli uomini, le strade, i santuari – Milano, 1978
Piccini Gabriella – I mille anni del medioevo – Milano, 1999
Piccirillo Michele – Alliata Eugenio - Mount Nebo - Jerusalem, 1998

venerdì 2 agosto 2013

L' Episcopio Segreto



L' Archeoclub di Carinola inizia la sua attività di tutela e salvaguardia del patrimonio storico-artistico carinolese con questa bellissima iniziativa a cui non si può assolutamente mancare. 
Invito tutti i cittadini, i giovani e gli amici interessati a godersi, senza fretta, questa speciale serata che ci permetterà di riscoprire le bellezze del nostro territorio, delle quali siamo chiamati ad essere i custodi.
                                                                                          c.d.l.

sabato 27 luglio 2013

I Vespri Siciliani: rivolta o congiura ?


I Vespri Siciliani - quadro di Juan Mario Miano

La storia è nota: era la sera del lunedì in Albis del 1282 quando a Palermo, un soldato francese, nel controllare che il popolo non detenesse armi illecitamente, frugò sotto gli abiti di una donna che usciva dalla chiesa dello Spirito Santo dopo la funzione del Vespro: "...indiscretamente cercarono non solamente li uomini, ma ancor le donne, delle quali molte vanno coperte al modo saracinesco, perchè il popolo di Palermo acceso di sdegno di questa indegnità  sollevossi e cominciò a gridare: 'sian morti, sian morti li tartaglioni', che così chiamavan li francesi per dispregio, sì che quanti allor ne furono incontrati e trovati furono crudelmente morti." scrive Saba Malaspina, cronista del tempo. E continua ancora: “I vendicatori spietati gridavan che spegnerebber tutta la semenza francese in Sicilia; e la promessa orrendamente scioglieano scannando i lattanti sui petti alle madri e le madri da poi, né risparmiaron le incinte; se non che alle siciliane gravide di francesi con atroce supplizio squarciarono il corpo e scerparonne e sfracellaron miseramente ai sassi il frutto di quel mescolamento di sangue d'oppressi e d'oppressori”.  Le sue atroci parole visualizzano agli occhi del lettore inorridito una cruda scena di furore xenofobo. Fu davvero così? Come conciliare l'immagine della sollevazione di un popolo generoso, che non voleva stranieri sulla propria terra, con questo agghiacciante racconto del Malaspina?


Gli storici sanno bene che l' interpretazione del Vespro come spontanea rivolta contro gli Angioini fu una costruzione romantica dell'ottocento a sostegno degli ideali risorgimentali che, in quel periodo, infiammavano gli animi contro il potere austro-ungarico. Rivisitata con gli stessi sentimenti, essa diventò leggenda e simbolo di libertà di un popolo oppresso. In realtà la rivolta del Vespro fu una vera e propria congiura contro gli Angioini, ordita in ambiente politico siciliano da cui non era comunque escluso il potere politico internazionale di allora.

Facciamo il punto della situazione. Saba Malaspina, un cronista veneziano, fa la cronaca dell'avvenimento. Come l'aveva saputo e da chi? Era sul posto quando l'avvenimento si verificò? Non lo sapremo mai, ma questo e altri indizi fanno pensare che lu rebellamentu fosse stato preparato e sollecitato fuori del Regno. 

La rivolta si risolse subito in caccia allo straniero e a chiunque avesse avuto a che fare con loro: ... nei conventi dei Minori e dei Predicatori irruppero: tutti i frati che conobbero francesi trucidarono, scrive Bartolomeo da Neocastro nella sua Historia Sicula. Sembra quindi certo che la rivolta sia stata alimentata da varie parti: dai ghibellini d' Italia, dall'imperatore bizantino che temeva un attacco contro Costantinopoli da parte degli angioini, da alcuni baroni del Regno guidati da Giovanni da Procida e dall'ammiraglio Ruggero di Lauria, fedelissimi agli Svevi e che dopo la morte di Corradino si erano rifugiati nella parte continentale della penisola. Furono proprio questi ultimi due personaggi a chiamare in Italia il re d'Aragona Pietro III il quale, come marito di una figlia di Manfredi, poteva rivendicare la successione al trono di Sicilia. La rivolta del Vespro si trasformò dunque in una guerra internazionale a causa degli interessi politici di alcune parti: dei ghibellini italiani che  cercavano la loro rivincita sui guelfi; dei baroni del Mezzogiorno che volevano sottrarre al re parte del suo potere politico, delle monarchie europee che celavano un forte desiderio espansionistico.


Pietro d'Aragona non deluse i suoi simpatizzanti e sbarcò a Trapani, ma fu incoronato re a Palermo. La sua incoronazione provocò lo sfascio del potere centrale del Regno e diede avvio alla guerra che si concluse poi nel 1302 con la pace di Caltabellotta. Il Regno si divise in due parti: Regno di Napoli, in mano agli Angioini, e il Regno di Sicilia, la sola isola, in mano agli Aragonesi. La separazione del Regno durò fino al 1442, quando gli Aragonesi riuscirono ad imporsi in tutto il Regno. Prima di allora, inutilmente il re di Napoli Roberto il Saggio (1309-1343), considerato capo indiscusso del partito Guelfo, e sua nipote la regina Giovanna (1343-1382) cercarono di riconquistare la Sicilia. 
Tuttavia, nonostante questa divisione e nonostante l'impopolarità di Carlo I d'Angiò, la dominazione angioina segnò l'avvio di un intenso sviluppo edilizio ed urbanistico che ancora oggi arricchisce le città del meridione d'Italia.



cdl



Alcuni testi cosultati
Abulalfia D. - le due Italie - Napoli 1991
Da Neocastro Batolomeo- Historia Sicula – parte prima- Venezia, 1604
De Rosa Gabriele: Età medievale – Bergamo, 1990
Malaspina Saba: Storia delle cose di Sicilia
Mollat M- I poveri del Medioevo - Roma-Bari, 1987
Piccinni Gabriella -I mille anni del Medioevo - Milano 1999
Tramontana S. - Gli anni del Vespro. L'immaginario, la cronaca, la storia - Bari, 1989


domenica 30 giugno 2013

Carinola angioina

Cattedrale di Carinola: lacerto di affresco del periodo angioino sul sacello paleocristiano


Tra le condizioni dell' investitura pontificia a re di Sicilia, Carlo d'Angiò aveva giurato di ridare agli ecclesiastici tutti i privilegi negati loro dagli Svevi; di restituire alle chiese e ai prelati esiliati i beni occupati dagli Svevi; di cessare gli abusi e di ricondurre il Regno al periodo di pace e giustizia di Guglielmo il Buono. Ma non mantenne neanche uno dei suoi propositi. Anzi, approfittando delle ribellioni popolari per la morte di Corradino, si adoperò per sciogliere se stesso e i suoi da ogni vincolo nei confronti del Papa. D'altra parte era venuto in Italia per conquistare e si comportò da vero conquistatore, sfruttando ogni minima cosa a favore suo e dei suoi baroni. 
Le collette generali, che fin dai pempi di Federico Barbarossa erano limitate a soli quattro casi feudali (invasione del Regno o grave ribellione; prigionia del re; armamento generale al seguito del re; nozze della figlia o della sorella del re), furono rese, con la violenza, molto più frequenti e per motivi molto diversi da quelli soliti. Ora i giustizieri delle province raccoglievano collette anche per gli stipendi dei soldati mercenari, per l'armamento delle galee, per il loro mantenimento e quello dei marinai, per la festa alla nomina di cavaliere del figlio del re ecc. La somma di queste collette era esorbitante: nel 1276 si arrivò ad imporre ai residenti regnicoli la somma di 60.170 once d'oro, divise per provincia e non si capisce su quali basi. 
La provincia di Terra di Lavoro e Contado Molise doveva versare la somma più alta: 8089 once d'oro. Furono moltiplicate le gabelle sulle derrate alimentari e di alcuni alimenti il re si riservò lo spaccio per avere più entrate regie. 

L' azione più rapida intrapresa da Carlo d'Angiò subito dopo la conquista del Regno di Sicilia fu la sostituzione del vecchio baronaggio svevo, a lui nemico, con un baronaggio provenzale, per lo più fatto dai baroni che lo avevano aiutato nella conquista. 
Non fu sicuramente una sostituzione indolore perchè le insolenze e le ingiustizie dei nuovi arrivati, ma soprattutto la loro rapacità, indisponeva sia il popolo che i vecchi baroni. Si intuisce facilmente che tutte queste situazioni, soprattutto l'oppressione fiscale, furono la vera causa della Guerra del Vespro del 1282.

Come dice il Greco nella sua Storia di Mondragone parlando di Carlo d'Angiò: “è lunghissimo l'elenco dei premi; è lunghissimo l'elenco delle vendette. Fu splendido oltremisura nel donare; fu spietato, più che belva, nel punire...”. 

La gran parte delle donazioni risale all'incerca al 1269, subito dopo la Battaglia di Benevento del 1266 ed è raccolta in un Quaternus de Principatibus, Comitatibus, Honoribus, Baroniis Feudis ed Burgensaticis.

Cosa avvenne della Contea di Carinola il cui ultimo signore svevo, Corradello, era stato incarcerato insieme alla nonna Siffridina perchè non avevano voluto fare giuramento di fedeltà a Carlo?

La Contea di Carinola e la Rocca Montis Dragonis furono concesse come dono di nozze all' unica figlia di Carlo, Beatrice, la quale sposò Filippo di Courtenay, Re di Tessaglia e figlio ed erede dell'imperatore di Costantinopoli Baldovino

Carinola era una Contea abbastanza ricca oltre che strategicamente importante; infatti, lo scopo di questa donazione fu proprio quello di offrire agli sposi dei proventi degni del loro ruolo, oltre ad affidare a stretti consanguinei il controllo del territorio, come da tradizione.
La ricchezza della Contea derivava sicuramente dalla produzione di prodotti agricoli che veniva esportati a Napoli e poi anche a Firenze, mediante l'esistenza di un porto, collegato alla Rocca di Montis Dragonis, come si può dedurre da un documento del 1270 tratto dal Registro angioino. Carinola era uno dei fornitori agricoli del Regno e, sempre nel 1269, in seguito ad una carestia che si verificò in Terra di Lavoro, il re nominò un calmiere dei prezzi per evitare speculazioni ai danni della popolazione. Il calmiere stabilì i prezzi per Carinola, Mondragone e Sessa e veniamo così a sapere che con un'oncia d'oro si potevano vendere 19 tomole di grano oppure 40 tomole di orzo o 40 di miglio, mentre in altri luoghi e nella stessa Napoli i prezzi erano più elevati. Sempre per un'oncia d'oro a Napoli si potevano vendere 15 tomole di grano o 30 tomole di orzo o miglio. Questo ci dice che i prodotti agricoli provenienti dalla nostra contea erano molto richiesti e portavano ricchezza.
 
A causa della sua ricchezza di rendite, la Contea di Carinola fu usata, per tutto il periodo angioino, come donativo per premiare i baroni dei speciali servigi che rendevano al re.

Dopo Filippo de Courtenay, la Contea di Carinola e la Rocca di Mondragone furono date a Guglielmo d'Alneto, figlio di Gualtiero, Gran Siniscalco del re e viceré della Provenza e dopo ancora fu Francesco Del Balzo ad essere signore di Carinola e Teano. 
Nel 1282 esse andarono invece al milite e nobiluomo Goffredo di Janvilla che, in cambio, restituì alla Corona Castellammare di Stabia, meno fruttuosa. In seguito, esse furono date a Sergio Siginolfo, signore di nobilissima famiglia napoletana.


Per tutto il periodo angioino, Carinola non trovò stabilità sotto il comando e la protezione di un' unico signore. Bisogna aspettare il periodo aragonese e l'arrivo dei Marzano perché la Contea ritrovi stabilità amministrativa e magnificenza.
cdl



Alcuni testi consultati

Amari Michele – La guerra del Vespro Siciliano – Firenze, 1861
Broccoli Angelo – Archivio Storico Campano, vol 2, parte 3 – Caserta, 1893-1894
Clifford R. Backam - The decline and fall of medieval Sicily - Cambridge,1995
Crimaco L. - Sogliani F. (a cura di) - Dieci anni di ricerche archeologiche a Mondragone e nel suo territorio – (1997-2007) - Sparanise (CE), 2007
Favilli Paolo - Riformismo alla prova ieri e oggi. La grande riforma tributaria - Milano, 1990-2009
Greco Biagio – Storia di Mondragone – Napoli, 1927
Malaspina Saba –  Rerum Sicularum Historia (1250-1285), in G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani, II, Cronisti e scrittori sincroni della dominazione normanna nel Regno di Puglia e di Sicilia, Napoli 1868
Sanudo Torsello Marino – Storia di Carlo d'Angiò e della guerra del Vespro Siciliano - Napoli, 1862
Tramontana Salvatore – Gli anni del Vespro – Bari, 1989