sabato 28 maggio 2016

Francesco del Balzo, signore di Carinola, beffato dalla badessa di Teano




Anche la famiglia De Baux, italianizzata Del Balzo, arrivò in Italia con Carlo I d’Angiò per la conquista del Regno di Sicilia. A seguire Carlo fu Bertrando De Beaux,  nobilissimo signore di Berre, in Provenza, insieme ai suoi due figli Ugone e Bertrando II, da cui ebbe inizio il ramo più importante della casata. A Bertrando De Beaux,  Carlo concesse, senza titolo di conte: Avellino, Calvi, Riardo, Torre di Francolisi (sic) e Padulo in Principato Citra
Tutti i rami della famiglia del Balzo ebbero molto successo e molto onore, occupando i ruoli più importanti nell’ambito del Regno di Sicilia, ma il ramo più famoso fu senz’altro quello di Andria.

Bertrando III, figlio di Bertrando II,  sposò in prime nozze la figlia di re Carlo II, Beatrice D’Angiò, già vedeva del marchese di Ferrara, che gli portò in dote il feudo reale  di Andria, e da Beatrice ebbe la figlia Maria. Morta Beatrice, in seconde nozze sposò invece Margherita D’Aulney (d’Alneto) da cui ebbe cinque figli: Francesco, Guglielmo, Isabella, Caterina e Sveva.
La contea di Andria spettava per successione materna a Maria, la quale era stata data in sposa da suo zio re Roberto a Umberto, Delfino di Vienna, ma lei e il marito, non potendo occuparsene a causa della lontananza,  la vendettero per tremila fiorini al Conte Bertrando loro padre e suocero.
Ad ingrandire ulteriormente il ramo d’Andria fu Francesco, primogenito di Bertrando e Margherita d’Alneto, che con un'abile politica matrimoniale seppe accrescere il suo potere e l'onore della famiglia.

Gli storici del tempo raccontano che Francesco fosse uno degli uomini più belli e piacenti, tanto da far innamorare di sé molte donne, tra cui la regina Giovanna I e la cognata di costei, Margherita, sorella di re Luigi di Taranto, la cui madre era quella Caterina II de Courtenay che deteneva il titolo di imperatrice titolare di Costantinopoli lasciatole in eredità dalla madre Caterina I de Courtenay,  a sua volta figlia di Filippo de Courtenay di Tessaglia.

Sapendo di poter scegliere, Francesco, molto oculatamente, nel 1337 s’imparentò con la potente casata dei Sanseverino, la prima delle sette casate più importanti del Regno di Napoli,  sposando in prime nozze Luisa Sanseverino, figlia di Tommaso III di Sanseverino conte del Marsico, da cui non ebbe figli. Morta la prima moglie, Francesco fece un ulteriore balzo in avanti, sposando nel 1347, in seconde nozze, proprio Margherita, sorella di re Luigi di Taranto, che gli portò in dote anche le signorie di Carinola e Teano.
Questo secondo matrimonio però non piacque né a re Luigi, a causa del grande potere raggiunto da Francesco del Balzo, né alla gelosa regina Giovanna, la quale per dissimulare il suo malcontento e dare invece segno di soddisfazione, concesse all’acquisito parente il titolo di Duca di Andria. Francesco Del Balzo fu così il primo di sangue non reale ad ottenere il titolo di Duca, un titolo che veniva concesso solo a persone di sangue reale. 

Molte storie sono legate alla persona di Francesco Del Balzo, ma quella più divertente  è avvenuta a proprio a Teano.

Matteo Villani ci racconta che, nel 1352, molti ambasciatori del Comune di Firenze presenziarono all’incoronazione  a re di Luigi di Taranto. 
Dopo l’incoronazione, gli ambasciatori fiorentini chiesero al re e alla regina se  potevano avere una reliquia del Corpo di Santa Reparata, che si custodiva nel monastero femminile di Teano, per poterla onorare nella loro Chiesa Cattedrale del Comune di Firenze dedicata proprio a S. Reparata. La loro richiesta fu accolta dai reali, ma essendo Teano signoria di Francesco del Balzo, la richiesta dei fiorentini fu girata a lui. 

A motivo della grande amicizia che suo padre  aveva  con i fiorentini, Francesco liberamente concesse agli ambasciatori il braccio di Santa Reparata
Non potendosi ribellare alla volontà del re, della regina e di Francesco, signore di Teano, la badessa del monastero e le altre monache iniziarono un pianto disperato per il dolore di doversi separare dall’amata reliquia. Chiesero solo di tenerla ancora qualche giorno per poterla venerare in maniera consona prima del distacco definitivo. Dopo qualche giorno, la badessa e le monache consegnarono, con grande pianto e sofferenza, la santa reliquia agli ambasciatori fiorentini.  Il braccio di Santa Reparata  fu dunque portato a Firenze e, con molta venerazione e molta pompa, collocato nella Chiesa Cattedrale di Santa Reparata il 22 giugno di quello stesso anno e custodito con grande venerazione dai fiorentini. 
Dopo quattro anni, volendo il Comune ornare il braccio della Santa con oro e argento, si scoprì che il braccio custodito a Firenze era di gesso! L’astuzia della badessa di Teano aveva conservato ai teanesi la vera reliquia e aveva fatto in modo che i fiorentini per quattro anni venerassero un pezzo di gesso! I fiorentini rimasero delusi e smaccati, non tanto per la reliquia stessa rivelatasi un falso, quanto perché a menarli per il naso era stata un' astuta donna! 
Francesco del Balzo non ebbe il tempo di arrabbiarsi con la badessa di Teano perché in quello stesso 1352, la regina Giovanna lo fece imprigionare.

Le ragioni di quest’azione della regina verso Francesco del Balzo non sono chiare: alcuni storici pensano che Giovanna non riuscisse più a contenere lo sdegno per il matrimonio di Francesco con Margherita, altri, come Lorenzo Bonincontro, che fu una vendetta della regina contro il padre di Francesco, Bertrando, che rivestendo il ruolo di Gran Giustiziere,  fece giustiziare Sancia Cabani[1] e tutti quelli ritenuti  i complici dell’assassinio di re Andrea d'Ungheria, primo marito di Giovanna. 
Francesco rimase prigioniero della regina per 18 anni. I pettegolezzi del tempo dicevano che Giovanna l’aveva fatto imprigionare per averlo a disposizione ogni volta che lo desiderava; che le sue visite al castello dove Francesco era tenuto prigioniero erano molto frequenti; che prima di concedergli la libertà, Giovanna gli concesse più volte se stessa. 

Sebbene i pettegolezzi  e i dettagli piccanti possano rendere la storia più accattivante, non fu l’amore frustrato della regina il motivo dell’incarcerazione di Francesco del Balzo. Il vero motivo va ricercato in tutt’altra direzione: nel sempre maggiore potere che Francesco del Balzo andava acquisendo nel Regno e che i reali vollero frenare. 

Francesco del Balzo aveva generato con la moglie Margherita due figli, Jacopo e Antonia, la quale divenne poi regina di Sicilia sposando Federico d’Aragona. Per la morte senza eredi di Filippo di Taranto, altro suo cognato, Francesco pretese per suo figlio Jacopo, minore,  sia le terre del Principato di Taranto, sia le terre greche e il titolo di imperatore di Costantinopoli.  Ma la regina Giovanna, ritenendo invece opportuno diminuire la forza della famiglia Del Balzo, decise di esercitare il dominio diretto sui possedimenti greci e spogliare Francesco di molte delle sue terre regnicole. Francesco si ribellò alle decisioni della regina e questo provocò una guerra intestina tra la Corona e la famiglia Del Balzo. 
Lo scontro e il dissidio con la regina fu aspro e lungo e costò a Francesco la condanna regia di lesa maestà. Nel 1373, assediato dentro Teano, suo possedimento, Francesco riuscì a fuggire ad Avignone da Papa Gregorio XI, suo parente, e con l’ aiuto del papa e i proventi delle sue terre mise insieme un esercito di 15.000 soldati per far guerra al Regno di Napoli. Riuscì a riprendersi Teano e a conquistare Capua ed Aversa, ma suo cugino Raimondo del Balzo, Gran Camerlengo del Regno, lo convinse a fermarsi nella sua assurda impresa e a non avanzare verso Napoli. 

Nel 1380 morì sua moglie Margherita, ancora in stato di prigioniera nelle mani della regina che, intanto, fu dichiarata eretica dal papa Urbano VI e deposta dal trono di Napoli perché appoggiava l’antipapa Clemente VII.  Francesco rimase ad Avignone fino al 1381, quando Napoli fu conquistata da Carlo di Durazzo, cugino di Giovanna, che nel 1382 salì sul trono col nome di Carlo III.

Francesco del Balzo sicuramente non fu estraneo alla conquista di Napoli da parte di Carlo; dopo, riebbe buona parte delle sue terre ed ebbe il tempo di sposarsi una terza volta con Sveva Orsini, da cui ebbe altri tre figli. Poi si perdono le tracce di quest’uomo avido e battagliero, che probabilmente morì da qualche parte, in tarda età.

 cdl


Testi consultati
Matteo Villani: Storie di Giovanni, Matteo e Filippo Villani, vol. II - pg 171-2
Ferrante della Marra: Discorsi delle famiglie estinte – Napoli, 1641
Lorenzo Bonincontri: De ortu regum Neapolitanorum
http://roderic.uv.es/browse?value=Buonincontro,%20Lorenzo,%201410-1500&type=au



1. Sancia Cabani, intima di Giovanna I, figlia di Carlo Cabani, fu fatta tanagliare, morire e poi bruciata, insieme a suoi parenti, da Bertrando del Balzo Gran Giustiziere del Regno, perché creduta colpevole nell’omicidio di  re Andrea d’Ungheria, primo marito di Giovanna I.



martedì 3 maggio 2016

Guglielmo D’Alneto (D’Aulnay)

Stemma della Famiglia D'Alneto
Come abbiamo visto, alla conquista del Regno di Sicilia, insieme a Carlo I d’ Angiò, arrivarono molti nobili francesi che poi Carlo ricompensò largamente, dando loro incarichi importanti, titoli e feudi, dove poterono vivere con le loro famiglie. Una volta in Italia, i loro cognomi vennero italianizzati e dell’originale francese ne conservavano tuttavia una buona traccia. Tra i tanti nobili venuti in Italia insieme a Carlo erano i quattro fratelli D’Aulnay, il cui cognome divenne poi l'italianizzato D’Alneto:
Gualtiero, Germondo, Nicolò e Giovanni
La storia di questi quattro nobili fratelli la raccontano diversi  storici del XVI-XVII secolo tra cui: Carlo De Lellis e Ferrante Della Marra.
Il De Lellis è molto largo di particolari, ma meno attendibile. Come succede a tanti storici del passato, egli traspone in italiano il termine “caleno”, confondendo Calvi con Carinola. L’errore del De Lellis è palese per ben tre motivi:
1. Caleno non può riferirsi a Calvi poiché. essendo un termine del periodo normanno-svevo applicato a Carinola, da cui Carlo I lo estrae, esso si riferisce ovviamente a Carinola.
2. Nei diplomi di Carlo I d’Angiò, la città di Calvi è sempre appellata usando la radice Calv- e non Calen-
3. La Rocca di Mondragone era allora sotto la giurisdizione di Carinola. Al signore che si concedeva la Rocca di Mondragone, si concedeva anche la città di Carinola, eccetto in qualche rara eccezione. 

Tuttavia, bisogna precisare che, sotto Carlo I d’Angiò, le donazioni si alternarono e si accavallarono continuamente, sia per premiare i molti cavalieri francesi che lo avevano accompagnato, sia per la morte dei beneficiati.  La Rocca di Mondragone, da sola, fu soggetta a frequenti donazioni. Nel 1283, essa risulta nelle mani del milite Goffredo di Janville (Gianvilla), poi in quelle del milite Sergio Siginulfo e nel 1298-99 fu concessa alla famiglia del  Grande Ammiraglio Ruggiero di Lauria (o D’Auria), passato al servizio di Carlo II d’Angiò a causa di conflitti con gli Aragonesi.

Fatte queste dovute precisazioni storiche, riprendiamo la narrazione rifacendoci al più attendibile Della Marra. 
I quattro fratelli D’Alneto vennero ricompensati largamente da Carlo d'Angiò, ma ebbero tutti la sfortuna di morire presto e senza eredi maschi.
Gualtiero, che più ci interessa seguire,  era già Gran Siniscalco e vicerè della Provenza quando giunse in Italia. Carlo lo ricompensò dei suoi servigi facendolo Signore di Teano, ma non detenne a lungo quella signoria perché poco dopo morì. Nel 1275 gli successe suo figlio Gugliemo che, nel 1291 troviamo anche come signore di Carinola e della Rocca di Mondragone,  come attesta il seguente documento:
Landulfus miseracione dominica Sancti Angeli Diaconus Cardinalis Apostilice Sedis Legatus discreto viro Guillelmo de Subiaco vicario Guillelmo de Alnetodomine de Caleno in civitate Calinense et Rocca Montis Dragoni salutem in domin. Cum venerabilis in Christo pater Robertus Episcopus Calinensis discretos viros Lucam deGuerraymo et Iacobum dicto pisanum clericos calinenses procuratores seu administratores constituerit generales discrecionem vestram actente requrimus  et rogamus quatimus eisdem  procuratori bus pro divina reverencia vestrique intuitu efficacis defensionis presidia assistente eis cun ad ipsis requisiti fueritis consilium auxilium vel favorem procuracione seu administracione huiusmodi impendatis. Ita quod practer humane laudis preconium retribucionis divine premium exiude possitis acquitrere dignisque a nobis in domino laudi bus commendari. Datum Neapoli.
IIII Idus Iulii.Pontificatus domini Bonifacii pape VIII anno primo (1291).[1]

Il Della Marra ci narra la sfortuna di questa nobile famiglia che, a causa della mancanza di eredi maschi, si estinse nel 1360 con la morte dell'ultima erede Caterina d'Aulnay

Guglielmo aveva in Francia altri due fratelli, figli di Gualtiero, Filippone e Gualtierone, i quali erano considerati i più belli di Francia. Purtroppo commisero l’imprudenza di far innamorare di sé due donne della famiglia reale. Filippone divenne l’amante della Regina, moglie di re Ludovico; Gualtierone divenne invece amante della cognata del re, moglie di suo fratello Carlo. Furono colti in flagranza di adulterio con le loro amanti e perciò imprigionati. Ad entrambi furono tagliati i genitali, poi scorticati vivi ed infine impiccati, per dimostrare che non si offende impunemente la Corona di Francia.

Guglielmo ebbe un figlio, Roberto, il quale morì anch'egli giovane, nel 1320, subito dopo aver sposato la nobildonna Isabella Stendarda, vedova di Giacomo di Lagonessa  (De La Gonesse, poi Della Leonessa),  da cui ebbe una figlia, Margerita.  
Margherita sposerà in seguito, in seconde nozze, Bertrando del Balzo  a cui porterà in dote Teano e Carinola che, a quel tempo, fruttava 130 once in oro. Da Margherita e Bertrando nascerà nel 1332 Francesco del Balzo, Duca d’Andria, il quale si ribellò alla Regina Giovanna I e con lei ebbe un lungo conflitto. 
Ma questa è un’altra pagina.
cdl


Testi consultati
Berardo Candida Gonzaga - Memorie delle famiglie nobili – vol. II - Na, 1873
Biagio Greco – Storia di Mondragone – Napoli, 1927
Carlo De Lellis – Discorsi sulle famiglie nobili del Regno di Napoli – Napoli, 1654
Ferrante Della Marra - Discorsi delle famiglie estinte – Napoli, 1641
Matteo Camera - Annali delle Due Sicilie – vol. II, Napoli, 1860





[1] Pergamene di Montevergine, vol. 80, pergamena n. 13, in Biagio Greco – Storia di Mondragone – Napoli, 1927, pag. 123

Traduzione: Landolfo Diacono di S. Angelo Cardinale Legato della Sede Apostolica all’egregio uomo Guglielmo di Subiaco Vicario di Guglielmo di Alneto, signore di Carinola e della Rocca di Mondragone, salute.
Avendo il venerabile padre Roberto vescovo di Carinola nominato procuratori e amministratori Luca de Guerraimo e Giacomo detto Pisano, chierici carino lesi, noi domandiamo alla vostra discrezione e attenzione e vi preghiamo che qualora dagli stessi sarete richiesti del vostro aiuto e e assistenza, vogliate loro prestare ogni vostro aiuto e consiglio nell’esercizio loro di procuratori e amministratori nostri. Di guisa che, oltre al premio che vi sarà accordato da Dio, possiate ottenere anche le nostre lodi.
Dato a Napoli, 11 luglio – Anno primo del pontificato di Papa bonifacio VIII (1291).







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