Giovanna II d'Angiò
Giovanna II è conosciuta più per
la sua vita licenziosa che per i suoi meriti di sovrana. Di lei si è scritto di
tutto e di più: che era una mangiatrice di uomini insaziabile, una ninfomane
che mandava a cercare i più bei ragazzi nelle strade per poi ucciderli dopo
l’uso, facendoli precipitare da una botola della sua stanza. Non possiamo
veramente sapere dove finisce la storia e dove inizia la voce popolare, ma
sicuramente di amanti Giovanna ne ebbe
tanti.
Quando Ladislao morì
improvvisamente, Giovanna aveva i suoi 41 anni, essendo nata il 1373 (qualche
storico dice 1371), ed era già vedeva del duca Guglielmo d’Austria. Ladislao
non aveva avuto figli legittimi dalle sue tre mogli ed allora la corona di Napoli le cadde
letteralmente sulla testa, trovandola alquanto impreparata. Era vissuta, sì,
all’ombra del fratello a corte, ma senza mai interessarsi di politica; sembra
fosse solo interessata a soddisfare, in quell’ambiente vizioso, i suoi appetiti
sessuali che le diedero fama di donna lussuriosa e libertina, tramandata fino
ai nostri giorni.
Il Regno di Napoli era un grande
regno e faceva gola a molti nemici. In quel mondo di prepotenza maschilista
Giovanna non era certo avvantaggiata, anzi ebbe il suo bel da fare a difendersi
dagli attacchi che le venivano da ogni parte. Ladislao aveva lasciato in
sospeso diverse situazioni che ora andavano risolte: la guerra con i vari Luigi
D’Angiò (l’uno moriva e il figlio lo sostituiva), il contrasto con il papa e
quello con Sigismondo d’Ungheria, per non parlare dei continui scontri con i
baroni del Regno. Non avendo l’abilità politica del fratello né le sue doti di
grande condottiero di eserciti, Giovanna si senti fin da subito non all’altezza
della situazione e cambiò quindi politica, cercando di fare la pace con tutti.
Ma gli altri, consci della sua debolezza politica, non vollero fare la pace con
lei e così perse i domini napoletani che Ladislao aveva conquistato nell’Umbria
e nello Stato della Chiesa. Inoltre sulla regina avevano troppa influenza le persone
sbagliate: amanti, famigli e baroni interessati solo ad acquistare sempre
maggior potere, e questo non le era certo di aiuto.
Lo capì subito Muzio Attendolo
Sforza, famoso condottiero e capitano di ventura già al soldo di Ladislao, il
quale ritornò a Napoli chiamato anche da Giovanna, che lo elevò alla carica di
Gran Connestabile. Lo Sforza non ci mise molto a cadere in rotta con
Pandolfello Alopo, amante di vecchia data della regina, perché costui aveva
troppa influenza su di lei. Praticamente, non era lei a regnare, ma il suo
amante venuto dal nulla. Quanto fosse potente Pandolfello presso la regina lo
dimostrò il fatto che questi arrivò al punto da far imprigionare lo Sforza con
false accuse. I baroni si risentirono e per limitare i poteri dell’Alopo fecero
pressione sulla regina affinché si trovasse un marito.
Dopo varie considerazioni
e ponderazioni, la scelta cadde su Giacomo di Borbone, giovane e ambizioso francese,
principe della Marca. Con il matrimonio, celebrato nell’agosto del 1415, Giacomo
non ottenne il titolo di re, come aveva sperato, ma solo quello di Duca di
Calabria, Principe di Taranto e Vicario Generale del regno. Con questa carica,
Giacomo ebbe la possibilità di fare arrestare Pandolfello nella stessa camera
della regina e farlo giustiziare. Giovanna era atterrita dalla crudeltà e
dall’ambizione di quel suo marito francese, il quale non si era accontentato dei
titoli concessigli, ma si era assicurato
il governo del Regno, mettendo nei posti chiave uomini di sua fiducia. Fattosi
associare al trono con la forza dalla spaventata Giovanna, la relegò poi a Castelnuovo e la tenne prigioniera a lungo.
Furono di nuovo i baroni a salvare la regina, portandola al sicuro
nell’Arcivescovato durante una cerimonia a cui ella presenziò e assediando il principe
in Castelnuovo. Giovanna riebbe il suo
trono e Giacomo fu allontanato da corte finché, nel 1419, se ne tornò in
Francia. Dopo varie vicissitudini, Giacomo si pentì dei suoi peccati e si fece
frate.
Il nuovo amante della regina fu
Giovanni Caracciolo, meglio conosciuto come Sergianni, che ella nominò
Gran Siniscalco. Ma anche con Sergianni si ripeté quello che era accaduto con
Pandolfello. Sergianni cominciò ad avere troppa influenza sulla debole regina e
il suo potere cresceva sempre più. L’ inevitabile rivalità tra Sergianni e lo
Sforza si tradusse in un aperto conflitto tra le milizie di quest’ultimo e
quelle regie. La regina, dalla parte di Sergianni, privò Attendolo Sforza dalla
carica di Gran Connestabile e lo dichiarò fuorilegge, privandosi così dell’unico
uomo che davvero poteva aiutarla.
Ci pensarono i Venti a rimettere a posto le
cose. I Venti era una deputazione di nobili e popolani, equamente distribuita
in 10 e 10, con il compito di sostenere il potere reale. Essi riuscirono a sanare
il dissidio tra i due, ottenendo la reintegrazione della carica di Gran
Connestabile per lo Sforza e l’allontanamento di Sergianni, che riparò a Roma per
circa sei mesi, dove non rimase con le mani in mano, ma negoziò l’incoronazione
di Giovanna con il nuovo e finalmente unico papa Martino V.
Ma dopo un mese
dall’incoronazione, che avvenne nell’agosto del 1419, Martino scomunicò
Giovanna perché la regina, in difficoltà
finanziarie, non aveva pagato il censo alla Chiesa e si era
rifiutata di dare altri possedimenti al fratello del papa che già aveva
avuto il Ducato di Amalfi, il Ducato di Venosa e il Principato di Salerno. Lo
scontro tra il papa e Giovanna fu inevitabile e Martino decretò che erede
della corona fosse Luigi III d’Angiò
oppure, in caso di morte prematura di
costui, il fratello minore Renato, sostenuti anche dallo Sforza.
Il papa aveva dalla sua anche un
altro valido condottiero, Braccio da Montone, e, inoltre, tutti i baroni del Regno parteggiavano per gli
angioini. Giovanna si trovò ad affrontare una situazione molto critica e
rischiava di perdere il regno. In un simile frangente, nel 1420 Giovanna decise
di chiedere aiuto al re di Sicilia Alfonso V d’Aragona, a cui promise
l’adozione e la successione al trono, innescando quell’altalena di adozioni e annullamenti tra l’angioino e l’aragonese, con
relativi scontri tra i due, che costarono ai francesi la definitiva perdita del
regno.
Alfonso non si fece scappare
l’occasione di riunire di nuovo le due parti del regno sotto di lui e corse in
aiuto di Giovanna. Sconfisse gli
angioini e grazie a una cospicua somma di denaro fece passare dalla parte della
regina Braccio da Montone. Prese poi dimora a Castelnuovo (la corte di Giovanna dimorava allora a Castelcapuano), cominciando a
comportarsi già come un re e facendo imprigionare il favorito della regina,
Sergianni, che gli dava fastidio.
Giovanna riebbe il suo favorito solo grazie
ad uno scambio di prigionieri con l’aragonese, ma ormai era una sessantenne
stanca e disillusa. Nel 1424 aveva perso anche l’aiuto di Attendolo Sforza,
morto annegato mentre guadava il fiume Aterno per portare aiuto alla città
dell’Aquila, assediata dall’aragonese che ora era in rotta con lei perché
aveva annullato l’adozione a favore dell’angioino. E nello stesso assedio era
morto anche Braccio da Montone che invece era passato al soldo
dell’aragonese.
Forte della sua influenza
sulla regina, Sergianni chiedeva invece sempre di più per la sua famiglia e
quando arrivò ad insultare Giovanna, che non volle concedergli il Principato di
Salerno per il suo unico figlio maschio, Troiano, firmò la sua condanna a morte.
A convincere la regina a far
arrestare Sergianni fu sua cugina Covella Ruffo, una donna che conosceremo
meglio più avanti perché madre di Marino Marzano, la quale odiava a morte
Sergianni proprio per il potere che questi aveva sulla regina a discapito del
suo. Covella raccontò alla regina che Sergianni stava progettando di
spodestarla e formare un triumvirato insieme al condottiero Giacomo Caldora e al
Principe di Taranto, con cui spartirsi poi il regno. A sostegno di ciò che
diceva, Covella portò ad esempio le imminente nozze del figlio di Sergianni con
la figlia di Caldora, che avrebbero sancito il patto tra i due.
Convinta delle ragioni che le
portava la cugina, la regina firmò l’ordine di arresto di Sergianni. Ma i
congiurati, conoscendo la pericolosità del Caracciolo, non si accontentarono dell’arresto: ne vollero
la morte.
Ritiratosi nelle sue stanze di
Castelcapuano dopo una serata mondana, Sergianni fu svegliato all’improvviso da
grida concitate fuori della sua porta che gli dicevano che la regina si era
sentita male e chiedeva la sua presenza. Appena aprì la porta, l’ignaro fu
trafitto a morte dai congiurati. Alla regina fu invece detto che Sergianni
aveva opposto resistenza armata all’arresto ed era rimasto ucciso nello
scontro.
Due anni dopo la morte di
Sergianni, il 2 febbraio del 1435, anche Giovanna morì, lasciando come erede e
successore, nel suo testamento, Renato d’Angiò, fratello minore di Luigi III,
morto pochi mesi prima.
Alfonso non accettò le ultime
volontà della regina e cominciò una dura lotta con l’angioino, lotta che durò sette
anni. Infine, il 2 giugno del 1442 gli aragonesi riuscirono a prendere la città
di Napoli e a sconfiggere gli angioini. Dieci giorni dopo, Renato d’Angiò e la
sua guarnigione francese lasciarono per sempre Napoli, mettendo la parola fine
alla dominazione angioina. Cominciava per il Regno di Napoli un nuovo periodo, quello
aragonese.
cdl
Testi consultati
Archivio storico italiano, Volume
1;Volume 13
Agnese Palumbo - Maurizio Ponticelli: Il giro di Napoli in 501 luoghi - Roma, 2014
Angelo di Costanzo: Storia del regno di Napoli – Cosenza, 1839
Archivio Storico Napoletano – tomo 13 – Firenze 1861
Francesco Capecelatro: Storia del regno di Napoli – Napoli,
1840
Filippo M. Pagano; Saggio istorico sul Regno di Napoli - Napoli, 1824
G.B. Crollalanza (diretto da): Giornale araldico genealogico diplomatico –
Vol. 1-2, Fermo, 1873-4
Giovanni Antonio Summonte; Dell’historia della città e regno di Napoli- vol. 4 – Napoli, 1675
Giovanni Bausilio: Storie antiche di una Napoli antica –
Frosinone, 2016