domenica 20 novembre 2016

Alfonso I d'Aragona. La tattica militare di G. A. Marzano per la causa aragonese

Alfonso I d'Aragona
I napoletani, ormai fedeli agli Angioini, non amarono il cambiamento né i nuovi dominatori aragonesi, ritenendoli responsabili delle loro sfortune, ma dovettero ben presto ricredersi su Alfonso, tanto che si meritò l’appellativo di Magnanimo. Alfonso aveva 27 anni ed era già il quinto re d’Aragona, quando divenne il primo re aragonese di Napoli. Il nuovo re fece il suo ingresso in città il 26 Febbraio 1443 dal Carmine e per permettere il passaggio del corteo reale fu necessario abbattere circa 18 metri di mura. Accanto a lui erano i baroni che avevano sostenuto la sua causa, tra cui Giovan Antonio Marzano, duca di Sessa e conte di Carinola.
Alfonso si rese subito conto che lo aspettava un’impresa ciclopica, ma non si demoralizzò. Le condizioni del Regno erano pessime, sia in campo politico che in campo economico. I baroni non obbedivano più all’autorità centrale da cui si erano sempre più distaccati, acquisendo una propria autonomia. Essi eludevano gli obblighi del vassallaggio, non pagando i dovuti censi  e non mandando i propri soldati al servizio dell’esercito reale, per cui il sovrano doveva ricorrere sempre più a mercenari, con notevole spreco di denaro. Molti baroni erano apertamente  ribelli al re da cui avevano dichiarato l’autonomia. Da un punto di vista economico la situazione non era migliore. Le finanze dello stato erano inesistenti grazie alle continue guerre intraprese dai sovrani durazzeschi e l’intero regno era ridotto in miseria perché le guerre avevano provocato il declino del commercio, il ristagno dell’artigianato e l’abbandono dell’agricoltura. La stessa città di Napoli, capitale del regno, era un cumulo di macerie e la popolazione, nonostante le ripetute pestilenze, aumentava sempre più; la cinta muraria non era sufficiente a contenerla tutta ed andava assolutamente ampliata.
Alfonso spese somme enormi per dare un aspetto più decoroso alla città e al regno, intervenendo sulla maggior parte dei palazzi pubblici e sulle strade. Chi credeva che fosse un rozzo catalano, dovette ben presto ricredersi: Alfonso era un uomo colto ed erudito e fu  un vero mecenate; si circondò di poeti e letterati dando al Regno un’impronta nuova che attirò numerose personalità artistiche e letterarie. Di lui si dice, e non a torto, che fu il sovrano che diede inizio al Rinascimento napoletano. Di lui avremo modo di parlare ancora nei pezzi successivi e conoscere meglio la sua notevole personalità.

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Quando gli Angioini lasciarono il passo agli Aragonesi, i Marzano erano già signori di Sessa dal 1362. Facendo il punto della situazione, ricordiamo che il Ducato di Sessa ebbe inizio con Tommaso Marzano che comprò Sessa dalla regina Giovanna I per 25.000 fiorini.  Inoltre, la regina fregiò Tommaso del titolo di Duca di Sessa,  facendolo  il secondo Duca di sangue non reale, dopo Francesco del Balzo che era stato il primo. 
Goffredo Marzano, fratello di Tommaso, comprò invece Teano e Carinola per 13.000 fiorini e i Marzano, originari di Capua,  si stanziarono nelle nostre zone.

La Tommasino, nel suo interessantissimo studio “Sessa Aurunca nel periodo aragonese”, fa risalire l’inizio del ducato di Sessa al 1360 con Francesco del Balzo che ne era allora proprietario, ma volendo essere pignoli, è opportuno chiarire che Francesco del Balzo era stato insignito del titolo di Duca d’Andria e non di Sessa. Poi, scontrandosi con la regina, Giovanna gli confiscò le terre e le vendette per far fronte alle spese militari, tra cui Sessa e Teano ai due Marzano.

Alla morte di Giacomo Marzano, Ladislao confermò al figlio, il piccolo Giovan Antonio Marzano, il ducato di Sessa, ma non gli restuì tutte le terre, che gli furono poi restituite dalla regina Giovanna II nel 1416.  Al fratello di Giacomo, Goffredo, già conte di Alife, Ladislao restituì le contee di Teano e Carinola. Goffredo ebbe da sua moglie Ceccarella di Gianvilla un’unica figlia, anche lei di nome Maria,  che andò sposa a Rinaldo, figlio naturale di Ladislao e principe di Capua, ma questo matrimonio fu sciolto quando Ladislao si accorse del voltafaccia dei Marzano. Alla morte di costei, tutte le proprietà ereditate dal padre, tra cui Carinola, passarono al giovane cugino Giovannantonio (1423?).
Da questo momento, le sorti della Contea di Carinola sono strettamente legate a quelle del Ducato di Sessa e alla potente famiglia Marzano.

La grandezza e il potere di una famiglia è sempre direttamente proporzionale all’adesione alla causa del sovrano di turno. Questo i baroni lo sapevano bene e  sceglievano oculatamente da che parte stare. Non era certo l’amore per questo o per quel sovrano a determinare le azioni del baronaggio, ma la convenienza che poteva venirne per la famiglia. Le scelte oculate  della famiglia Marzano ne determinarono il grande potere decisionale nell’ambito del Regno: fu infatti l’adesione alla causa angioino-durazzesca prima e alla causa aragonese dopo, a permettere alla famiglia Marzano di ingrandirsi sempre più, fino al tracollo definitivo del 1465 causato dall’ azzardato comportamento di Marino Marzano.

Giovan Antonio Marzano, nella lotta tra la Regina Giovanna II   e Alfonso d’Aragona per la conquista del Regno di Napoli, scelse di stare dalla parte dell’aragonese, abbandonando l’appoggio bisecolare della sua famiglia agli angioini. Il Marzano valutò sicuramente le forze e gli appoggi militari dei due e la grande quantità di denaro da profondere nella causa e che favoriva l’aragonese, già re d’Aragona e di molti altri regni. Nella valutazione del Marzano, la causa durezzesca era ormai persa e per Napoli si apriva una nuova era, quella aragonese.

Per questo motivo Giovanni Antonio, Grande Ammiraglio del Regno, fu da subito dalla parte dell’aragonese, e quando Alfonso gli mandò i cavalieri Caraffello Carrafa e Raimondo Bojl per chiedergli notizie sugli umori degli altri baroni e consigli su come muoversi prima di combattere Giovanna II, Giovan Antonio mandò a dire all’aragonese che molti baroni erano rimasti indignati dal testamento della  Regina Giovanna ed erano pronti ad appoggiarlo, qualora decideva di muoversi. Giovan Antonio stesso aveva un piano per favorire Alfonso.
Dopo intese con altri baroni, Cristoforo Gaetani conte di Fondi, Bernardino e Ruggero Gaetani conti di Traetto, Francesco e Rinaldo D’Aquino conti di Loreto,  il Marzano iniziò il suo piano a favore di Alfonso, ossia l’occupazione di Capua.

Giovan Antonio Marzano riuscì a prendere Capua senza colpo ferire perché, da buon barone, usò l’arma del suo potere combinata a un po’ di corruzione. Castellano di Capua era un suo vassallo, Giovanni Caramanico, il quale promise al duca che lo avrebbe aiutato ad occupare Capua, ma c’era una difficoltà: bisognava passare il fiume Volturno per entrare in Capua. Se il duca e i suoi soldati avessero cercato di passare dall’altra parte del fiume, sarebbero stati subito fermati dalle truppe  angioine che alloggiavano a Santa Maria di Capua e nelle zone circostanti. C’era dunque bisogno di guadagnarsi  il favore di chi stava a guardia delle torri di controllo. Il Caramanico, molto audacemente, chiese a un suo amico di cedere le torri agli uomini del Duca di Sessa,  quando toccava a lui fare la guardia, promettendogli grande ricompensa. L'uomo accettò e i due, insieme, architettarono un astuto piano per far occupare le torri dagli uomini del Marzano. 

Una notte che costui era di guardia, calò una fune dalla torre in cui si trovava e fece salire tre dei più valenti cavalieri del duca, poi chiamando ad una ad una le guardie delle altre torri, le fece salire sopra con una scusa e le imprigionò nella stanza più alta della torre, controllate dai tre cavalieri del duca perché non gridassero. Poi suonando il corno, diede il segnale al Caramanico che le torri erano state occupate. Ma il piano non era ancora completo: ora bisognava neutralizzare il capitano Cittadino (di nome), al servizio del conte di Nola, che con quattrocento cavalieri aveva la responsabilità della guardia della città ed era inoltre capitano di giustizia. Ora, il capitano, essendo venuto in contesa con due importanti capuani in lite tra loro, li aveva mandati entrambi in carcere nelle torri.

La guardia corrotta mandò dunque  a chiamare il capitano facendogli dire che i due capuani volevano infine riappacificarsi e che era bene egli venisse subito. Il capitano andò alle torri e fu fatto salire da solo, escludendo gli altri cavalieri venuti con lui. Appena salito, fu messo in prigione anche lui insieme agli altri. A questo punto il Caramanico mandò a chiamare il Duca di Sessa che con suoi soldati e fuoriusciti capuani entrò in Capua e la occupò. I soldati a guardia di Capua, rimasti senza il loro capitano, uscirono dall’altra porta e raggiunsero il campo angioino.

Presa Capua, il Marzano mandò subito Rinaldo d’Aquino a Messina da re Alfonso, facendogli dire di venire subito perché Capua era presa, ma bisognava mantenerla. Se egli, il Marzano, era stato in grado di prenderla con le sue forze private, non era certo in grado di mantenerla, perché il Caldora e gli altri capitani della regina l’avrebbero sicuramente assediata con un nutrito esercito. Alfonso non se lo fece dire due volte e partì subito da Messina con sette galere, lasciando a suo fratello Pietro l’incombenza di raggiungerlo con il resto dell’esercito. E perché la regina non sapesse della sua venuta, Alfonso non andò a Napoli con le sue navi, ma fece rotta verso Ponza dove si fermò. Mandò il solito Carafello Caraffa dal duca a comunicargli la sua venuta e a dirgli che, poiché era stata presa Capua, gli sembrava opportuno prendere anche Gaeta per avere più opportunità e spazio per le sue forze marittime. Ma il Marzano non fu d’accordo; vedendo gli animi dei capuani, egli dedusse che questi avrebbero aperto le porte al Caldora per non avere problemi e gli Aragonesi avrebbero perso anche Capua senza prendere Gaeta. Poi mandò a dire al re di decidere un luogo in cui i baroni potevano andare ad omaggiarlo.

Alfonso capì perfettamente il punto di vista del Marzano e lo condivise. Allora sbarcò sulla marina di Sessa e si diresse personalmente verso la città per farsi omaggiare, dimorando nel castello di Sessa quale ospite  del  Marzano. La prese di Gaeta era stata però solo rimandata.
cdl

Alcuni testi consultati

Bartolomeo Facio: Fatti d'Alfonso d'Aragona, primo ne di Napoli di questo mome, Venezia, 1580

Gioviano Pontano;  Il Principe eroe- Napoli, 1786

Enrico de Rosa: Alfonso I D’Aragona, l’uomo che ha fatto il Rinascimento a Napoli, 2007

Pietro Giannone: Istoria civile del Regno di Napoli , Milano, 1833

G.A. Summonte, Historia della città e Regno di Napoli, in Napoli 1601-1602.Filippo Maria Pagano: Saggio Istorico sul Regno di Napoli, Napoli 1824

Angelo Di Costanzo:  Historia del regno di Napoli, Nell’Aquila, 1582

Carlo de Lellis Discorsi sulle famiglie nobili del Regno di Napoli, Napoli, 1654

B. Croce, Storia del Regno di Napoli, a cura di G. Galasso, Milano 1992.

Ferrante Della Marra - Discorsi delle famiglie estinte – Napoli, 1641

Attilia Tommasino: Sessa Aurunca nel periodo aragonese – Ferrara, Roma, 1997

Tommaso  De Masi: Memorie Istoriche degli Aurunci, Napoli, 1761

Incerto autore: Istoria del regno di Napolmi in Giovanni Gravier- Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno ... Napoli, 1769

N.F. Faraglia: Storia della lotta tra Alfonso V d’Aragona e Renato d’Angiò, Lanciano, 1908

Mario del Treppo: Storiografia del Mezzogiorno – Napoli, 2006

Giuseppe Reccho: Notizie di Famiglie Nobili e illustri della città e Regno di Napoli -  Napoli, 1717