martedì 29 gennaio 2013

Riccardo, conte di Caserta e signore di Carinola, traditore di Manfredi? - parte I


La Battaglia di Benevento - miniatura della Nuova Cronaca di G. Villani
Quando ho trovato le notizie sui nuovi signori di Carinola ed in particolare quelle riportate nel presente articolo, non nego di essermi molto commossa.  Scoprire come il nostro piccolo territorio abbia avuto, tramite i suoi signori, un ruolo così rilevante nella Storia nazionale è stata un’emozione non da poco. A sua volta, vedere come quel ruolo sia stato vanificato da una continua indifferenza ha destato in me un sommovimento di rabbia. Molto meriterebbe questo territorio, ma soprattutto meriterebbe la guida di chi lo sappia davvero rispettare e far rispettare,  rivalutare e valorizzare per ridargli quella dignità  che gli appartiene di diritto.
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Come ho accennato nell’articolo precedente, Tommaso, conte di Caserta e signore di Carinola, lasciò suo figlio Riccardo come ostaggio quando dovette uscire dal Regno di Sicilia perché espulso da Federico II
Riccardo era appena un ragazzo e Federico diede ordine che egli fosse allevato nel rispetto e nella fedeltà all’imperatore allo scopo di trasformare un potenziale nemico in un fedele servitore del re.  
Quando morì suo padre Tommaso, la sua tutela di Riccardo passò alla madre Siffridina e dal 1240 in poi Federico divenne “valletto” del re presso la corte reale di Capua. Grazie alle sue indubbie virtù e capacità divenne ben presto capitano del re e gli vennero affidati compiti di un certo rilievo, come la custodia di importanti prigionieri e il comando di un reparto nell’assedio di Viterbo del 1243. Quello stesso anno fu vicario generale della Tuscia e poi della Marca anconetana e di Spoleto.  Fu lui a svelare a Federico, forse su suggerimento della madre, la congiura che si stava preparando contro di lui. 
Sposò Violante, la figlia di Federico, e da lei ebbe il figlio Corrado, chiamato familiarmente Corradello. L’imperatore si servì di lui per gli incarichi più delicati. Era in Sicilia contro i Saraceni che poi si arresero e furono mandati a Lucera. Nel 1248 fu incaricato di ricevere in Sicilia re Luigi di Francia che andava verso la Terra Santa. 
L’anno dopo, nel 1249, fu incaricato di sondare gli umori del Regno e sicuramente non fu estraneo all’indagine che portò alla condanna di Pier delle Vigne. Infine, Riccardo risulta tra i testimoni che firmarono il testamento dell’ imperatore nel 1250, pochi giorni prima che questi  morisse. Nel testamento, Federico lasciò il Regno al suo secondogenito Corrado e a Manfredi la reggenza di esso  fino all’arrivo di Corrado che era impegnato in Germania a farsi riconoscere imperatore.


Alla morte di Federico, come era prevedibile, scoppiò la rivolta tra i baroni per la successione: chi voleva Corrado figlio primogenito di Federico e chi preferiva Manfredi. La rivolta era fomentata anche da papa Innocenzo IV che nel 1251,  da Lione, inviò una lettera al legato pontificio nel Regno di Sicilia dove lo incitava ad attirare, con promesse varie, nell’orbita  del Papato il conte di Caserta ed altri conti. Non contento, il papa scrisse una lettera personale a Siffridina,  di cui gli era nota l’amore per la Chiesa, dicendole di indurre il figlio a ritornare “alla grazia di Dio e alla fedeltà della Sede Apostolica” (1).   
Riccardo, sebbene rimanesse fedele a Manfredi, da buon cristiano e forse sotto pressante consiglio materno, chiese al Pontefice la conferma della sua contea  e di tutti i beni ricevuti dall’imperatore dopo il 1240. La lettera di conferma papale, datata Genova 17 giugno 1251, è un documento di fondamentale importanza perché chiarisce quali fossero i possedimenti del conte casertano. Esso dice: “… ed è per questo che noi, propensi alle tue suppliche, confermiamo a te e ai tuoi successori, con autorità apostolica, la contea di Caserta, la città di Carinola, a te pertinenti, come asserisci, per diritto ereditario, e il Castello di Scafati e Castellammare, come pure Caiazzo, Montoro, la Rocca di Mondragone, la diocesi Capuana, Napoletana, Salernitana e Carinolese, che al momento proponi di possedere  pacificamente, con tutti i diritti, gli onori e pertinenze delle predette contee, città e castelli, e col presente scritto assicuriamo protezione a chiunque voglia salvaguardare questo diritto” (2).

Alla venuta di Corrado in Italia nel 1251, Napoli e Capua furono le prime città  a ribellarsi. I capuani, aiutati da Riccardo di Caserta e Tommaso d’Aquino conte di Acerra, ambedue cognati di Manfredi e a lui favorevoli, fecero un’ incursione a Sessa, fedele a Corrado, per rapire le donne da usare come merce di scambio, s’impossessarono della città e la misero contro Corrado.  Ma giunto a Sessa, Corrado rimise le cose a posto e, venuto poi a Carinola, i carinolesi lo fecero passare senza opposizione e  obbedirono ai suoi ordini (Cronicon suessanum). In altre parole, Carinola divenne un possesso di Corrado.
 
Corrado, al fianco del suo fratellastro Manfredi,  di cui comunque poco si fidava e a cui ridimensionò molto del suo potere,  scese verso Palermo riducendo all’ obbedienza reale tutte le contee che si erano ribellate, soprattutto le turbolenti contee di Caserta ed Acerra e sottomise  anche Capua e Napoli che per prime gli si erano ribellate. Ma Corrado visse ben poco e nel 1254 morì di malaria lasciando come erede suo figlio Corradino che aveva solo due anni e si trovava in Germania e che, alla morte del padre, fu posto sotto la tutela del papa.   
Manfredi poté continuare la reggenza di Sicilia senza opposizione. 


Quello stesso 1254 morì anche papa Innocenzo e gli successe Alessandro IV
Riccardo non si dimostrò nemico del nuovo papa né della Curia romana e non è da escludere che la sua  simpatia per il Papato fosse una chiara mossa politica per riavere indietro i territori che Corrado gli aveva sottratto, ossia Carinola.  Comunque fosse, rispondendo all’ opportunismo politico  di Riccardo con una mossa altrettanto opportunistica, il nuovo papa favorì Riccardo, sicuramente per attirarlo dalla sua parte. 
Con una lettera datata  Napoli 29 gennaio 1255  invitò l’Università di Carinola a prestare giuramento di fedeltà al conte casertano, esprimendosi in questi termini:  "al nostro diletto figlio, il nobile Riccardo conte Casertano a noi fedele, con il consiglio e il pieno consenso dei nostri fratelli, avremo restituito il possesso della città di Carinola che un tempo apparteneva al fu Corrado, figlio del fu Federico imperatore ei Romani che, si dice, gli avesse tolto  per suo capriccio e che la stessa città fosse appartenuta a lui e ai suoi progenitori, come si sa, e a lui e ai suoi eredi nuovamente avremo concesso per particolare grazia, come è previsto dal privilegio apostolico ottenuto a maggioranza….” (3)


Quando poi Manfredi nel 1255-56 riprese il potere, fu molto magnanimo con le città che si erano ribellate a Corrado e a suo cognato Riccardo “ conte di Caserta e signore di Carinola”, che pur si era messo sotto la protezione del papa, nel 1257 regalò  il castello di Pescofalconara e gli restituì quello di Civitavecchia d’Arpino con la terra d’Arpino che già gli erano appartenute in passato.   
La risposta del papa a questo nuovo cambiamento di situazione non si fece attendere.  Nel 1259, un anno dopo l’incoronazione di Manfredi, il papa lanciò l’interdetto (ossia il divieto di accedere in luoghi sacri e  di celebrare  funzioni religiose) contro le città e i luoghi che accoglievano Manfredi, contro i conti di Caserta, di Acerra e contro Galvano e Federico Lancia, zii di Manfredi, e che lo avevano aiutato contro Corrado a riprendersi il Regno di Sicilia.


Questo altalenante comportamento del Conte di Caserta e signore di Carinola, una volta fedele a Manfredi una volta fedele al Papato, potrebbe far pensare che egli fosse predisposto al tradimento di suo cognato. Non è invece così. Riccardo, uomo del medioevo, adottò un comportamento comune a tutti i baroni del tempo per salvare i suoi possedimenti in un momento di poca chiarezza governativa. 
Molto c’e ancora da sapere su questo nostro signore  a cui la Storia ha  ingiustamente regalato il marchio dell’infamia.

cdl


(   (1)…ad Dei gratiam et fidelitatem Sedis Apostolicae.


 (2) Hinc est quod nos, tuis supplicationibus inclinati, comitatum Caserte, civitatem Caleni, ad te ut asseris jure ereditario pertinentes, ac castrum Skifati et castrum ad Mare, nec non et Cajaciam, Montorum, roccam Montis Dragonis, Capuane, Neapolitane et Calinenses Diocesum, que ad presens te pacifice possidere proponis, cum omnibus juribus, honoribus et pertinentiis predictorum comitatus, civitatum et castrorum, tibi tuisque successoribus actoritate apostolica confirmamum et presentis scripti patrocinio communimus, cujuslibet in eis alterius jure salvo.


 (3)  ... Cum nos dilect filio nobili viro Riccardo comiti Casertano fideli nostro possessionem civitatis Calensis (leggi Calinensis), qua quondam Conradus natus Frederici olim Romanorum imperatoris ipsum pro suo libito destituisse dicitur, de fratrum nostro rum consilio et assensu plenarie restituerimus, ac insuper civitatem eadem sicut eam ipse suique progenitores habuisse noscuntur ei et heredibus ejus de novo concesserimus de gratia speciali, prout in apostolico privilegio super hoc obtento plenius continetur…




Alcuni Testi Consultati  

Bergher E. – Les Registres d’Innocent IV – vol. II –Paris, 1887
Capasso Bartolommeo – Historia diplomatic Regni Siciliae – Battipaglia (SA), 2009 (ristampa)
Colasanti  G. – Il passo di Ceprano sotto gli ultimi Hohenstaufen (1912) – Ceprano, 2003 (ristampa)
Del Giudice Giuseppe  - La famiglia di re Manfredi - Napoli, 1880
Di Cesare Giuseppe – Storia di Manfredi  re di Sicilia e di Puglia – vol.1 – Napoli, 1837
Morghen Raffaello – Il tramonto della potenza sveva in Italia -1250-1266 -  Milano-Roma, 1930
Muratori Ludovica A. – Rerum italica rum scriptores – vol. 16 – Milano, 1730
Pelliccia Alessio Aurelio – Cronicon suessanum in Raccolta di varie cronache ecc. – Tomo I - Napoli, 1780
Salvati Catello  (a cura di) – Le pergamene dell’Archivio Vescovile di Caiazzo – Napoli 1984
Villani Giovanni – Nuova Cronica – Tomo I - Firenze, 1844 (ristampa)




 

martedì 22 gennaio 2013

Tommaso di Carinola contro Federico II

Il borgo medievale di Casertavecchia


Il secondo signore di Carinola appartenente alla famiglia di Lauro-Sanseverino fu Tommaso, figlio di Roberto e Adelagia. 
Da un documento del 1221 risulta che Adelagia e suo figlio Tommaso donarono alla chiesa di S. Spirito, in territorio di Carinola, in loco ubi Farralis dicitur… una starciam de Rapidella et casam Mauri et Farrale et molendinum et venam… de Picrone cum aquis et piscariis et viis et cum omnibus et pertintentiis suis tam de demanio quam de feudi et tenimentis(Tescione, pag. 57)


Tommaso non era solo conte di Caserta e di Carinola, ma di tantissime altre contee ereditate dal padre, tra cui Sessa e Teano, e questo  gli dava un peso decisionale di rilievo. 
Sposò Siffridina (chiamata anche Manfredina) che qualche studioso vuole della famiglia dei conti Gentile (Stroffolini), altri della famiglia Borrello (Capecelatro), in realtà non si sa di preciso da quale famiglia provenisse. Tuttavia quel nome cosi unico di “Siffridina” potrebbe portare a quel  ferrigno Diopoldo che fu capitano di Enrico VI ed il cui fratello  Siffrido, conte di Alife, nel 1221 consegnò la sua contea alle forze imperiali. 
Un caso o Siffridina potrebbe essere nipote di Diopoldo e figlia di Siffrido? In questo caso sarebbe cugina dello stesso Tommaso. La ricerca è ancora aperta.


Quando Federico II tornò nel Regno di Sicilia dalla Germania dopo otto anni di assenza, mise subito mano alla riforma del Regno appena giunto a Capua, dove iniziò la sua azione legislativa.  
Con  la legge De Regnantis Privilegis strappò ai baroni molta della loro forza, togliendo loro rocche e castelli  che andarono a far parte dei domini reali.  
Con tale legge, i baroni furono considerati in base ai servizi resi al re e non più in base alle terre possedute. Questo non piacque a quei baroni che, come il nostro Tommaso, basavano la loro forza sulle immense proprietà che possedevano e che ora, nonostante esse, vedevano diminuirsi nettamente il loro potere. 
Ribellarsi al nuovo re e imperatore e preferire l’altro candidato che era stato escluso dal papa, ossia Ottone IV, fu una naturale conseguenza di questa legge.


Ma Federico, nonostante la giovane età, non era certo uno sciocco. Capì subito che doveva liberarsi di Tommaso di Caserta,  di Ruggiero dell’Aquila, conte di Fondi, e Giacomo Sanseverinoconte di Tricarico che erano i più agguerriti contro di lui e cercavano di  sollevare altre contee.  
Federico non perse tempo e corse subito ai ripari. Come primo atto, in base alla legge da lui emanata in quello stesso 1220, tolse la Rocca di Monte Dragone (Mondragone) a Ruggiero di Fondi che la teneva e la inserì nei domini reali. Tre anni più tardi, nel 1223 convocò in Sicilia,  per la lotta contro i Saraceni,  Tommaso di Caserta, Ruggiero di Fondi, Giacomo di Sanseverinoconte di Tricarico.
Quando essi giunsero in Sicilia, Federico li fece arrestare ed incarcerare, sbarazzandosi in un solo colpo dei feudatari più turbolenti e sospetti del Regno. 
L’anno dopo, nel 1224, i tre conti furono liberati per l’intervento di papa Onorio III. Furono  però mandati in esilio e le loro proprietà confiscate. Uscirono quindi dal Regno, lasciando in ostaggio i propri familiari, figli o nipoti. 
Tommaso di Caserta lasciò nelle mani del re suo figlio Riccardo.


Da un documento federiciano di una concessione feudale in Lauro ad un certo Gervasio Francigena risulta che Tommaso fosse morto prima del 1231. 
Che cosa  sia accaduto alle varie contee tenute da Tommaso dopo il suo esilio  non è facile saperlo. 
Probabilmente alla sua morte, molte contee, non tutte, furono restituite ai legittimi proprietari, perché, nel 1232, Siffridina e suo figlio Riccardo vengono chiamati nuovamente “contessa e conte di Caserta” in una sentenza della Magna Curia di Melfi (Pagano, pag. 179).   
D’altra parte non poteva essere che così, perché Riccardo, il figlio di Tommaso, da ostaggio nelle mani del suo nemico, divenne uno dei più validi collaboratori di Federico, fino al punto da sposarne la figlia naturale, Violante, e diventarne genero
Ma questo sarà argomento del prossimo articolo. 
cdl






Alcuni testi consulti


Ammirato Scipione – Delle famiglie nobili napoletane – vol. 1 –Firenze, 1580

Archivio - storico per le province napoletane -  vol. 3 –Napoli, 1878

Capecelatro Francesco – Storia del Regno di Napoli – Napoli, 1840

Garruccio Giovanni – Napoli e sue vicende storiche – Napoli, 1849

De Burigny Jean Levesque – Storia generale di Sicilia –Valenza, 1788

Esperti Crescenzio – Memorie istoriche ed ecclesiastiche della città di Caserta  in Historiae urbium et regionum Italiae rariores – vol. 145 – Napoli 1773-75

Martucci Ettore – Romano Anna Maria – Caserta la città reale - Napoli, 1993

Pagano Francesco Mario – Considerazioni sul processo criminale – Napoli, 1787

Stroffolini Giacomo – Contea di Capua – Napoli, 1885

Tescione Giuseppe – Caserta Medievale e i suoi conti e signori –Caserta, 1990

venerdì 11 gennaio 2013

Pietro di Carinola, un vescovo perseguitato

Cattedrale di Carinola - San Giovanni Battista

* aggiornato al 26 agosto 2023
* aggiornato al 19 giugno 2024



Nella basilica medievale di Ventaroli, sopra e sotto il grande affresco absidale, si snoda una scritta molto intrigante, di difficile interpretazione a causa della mancanza di documenti. Essa recita: “SPIRITUS IN CELIS NOS QUESUMUS UT TUEARIS - VIRGO, PREBE PETRO NON CLAUDI IN CARCERE TETRO – VOS HIC DEPICTI PIETATEM POSCITE CHRISTI”

O Spirito nei cieli noi ti preghiamo affinché tu ci protegga. O Vergine, concedi a Pietro di non essere rinchiuso in un tetro carcere. Voi qui raffigurati implorate la pietà di Cristo.

I versi leonini (rima sullo stesso verso) ci rimando al XIII secolo, ma chi era questo Pietro citato nella scritta e quale difficile situazione stava vivendo? Doveva essere un personaggio molto importante se meritò un’iscrizione così accorata nell’abside centrale dell’Episcopio. Qualcuno pensava potesse essere un conte di Carinola, ma l’unico Pietro conte di Carinola, longobardo, della famiglia di Landone, è documentato nel 1065. Non c’è concordanza con l’affresco che invece risale alla prima metà del XIII secolo.

Ebbene, ho impiegato 10 anni e più a ricercare in testi antichi, pergamene, cronache medievali e documenti vari, ma alla fine sono riuscita a fare un quadro abbastanza veritiero di questo personaggio così importante.

Pietro fu semplicemente il vescovo di Carinola dal 1239 circa al 1252 e visse sulla propria pelle, e forse anche per sua causa, la difficile situazione che animava l’Italia nella prima metà del XIII secolo, ossia l’aspra lotta tra Papato e Impero, che vide protagonisti vari papi e Federico II e che divise il paese in Guelfi e Ghibellini.
 
Nell’elenco dei vescovi d’Italia approntato nel XIX secolo da Giuseppe Cappelletti, studioso di Storia della Chiesa, Pietro di Carinola viene citato semplicemente come anonimous il cui nome inizia con la lettera P. Perché questo anonimato?

Perché Pietro era stato nominato vescovo di Carinola da Federico II, come per quasi tutti i vescovi del Regno di Sicilia, e non da papa Gregorio IX. Tutti i vescovi nominati dall’imperatore non venivano riconosciuti dal papa e venivano registrati semplicemente come anonimous, condannandoli all’oblio perpetuo.

È quello che è successo al nostro vescovo Pietro.

Le notizie su di lui, riportate da vari storici del passato, si confondono e si accavallano con quelle di altri vescovi con cui viene scambiato ma, alla fine, mi è stato possibile fare un quadro abbastanza veritiero di questo vescovo calinense, grazie anche all’aiuto dello studioso Francesco Capecelatro, storico aversano del XVI-XVII secolo, che molto ha parlato della sua vicenda, e di Hubert Houben che lo cita nel suo testo “I cistercensi nel mezzogiorno d’Italia”.

Pietro di Carinola, era dunque monaco cistercense proveniente dall'Abazia S, Maria della Ferraria di Vairano Patenora, in cui era probabilmente abate. Da Federico II fu fatto vescovo di Carinola in un periodo che va dal 1233 al 1239, ma poi qualcosa cambiò nella vita di questo prelato e si schierò dalla parte del papa, abbandonando Federico II. Il voltafaccia all’imperatore e la neo fedeltà al papa costò a Pietro dapprima il carcere nella Rocca di Arce e poi l’esilio, oltre alla persecuzione della sua famiglia e la confisca dei beni. Suo fratello, probabilmente di nome Odoardo, fu perseguitato e impiccato per alto tradimento. Questo fa pensare che nel tradimento nei confronti dell’imperatore fosse coinvolta l’intera famiglia del vescovo.
La grave situazione politica che interessò i rapporti tra Impero e Papato portò al Concilio di Lione del 1245, indetto dal nuovo papa Innocenzo IV che, tra le altre cose, intese stabilire cosa fare con quell’imperatore così “ribelle” che non ubbidiva al papa e usurpava tutti i beni della Chiesa.

Durante il Concilio, molto illegale, il vescovo Pietro non perse l’occasione di vendicarsi di Federico II. Si alzò in piedi, unico a farlo, e cominciò a raccontare i moltissimi errori dell'imperatore, sottolineando che egli, l'imperatore, non credeva né a Dio né ai Santi; che viveva in concubinato con più donne; che favoriva i Saraceni con le cui donne peccava di lussuria; che faceva sempre sue le parole di Averroè, filosofo arabo del tempo, il quale asseriva che tre persone avevano ingannato tutto il mondo: Gesù Cristo i Cristiani, Mosè gli Ebrei e Maometto gli Arabi. Dopo l'intervento del vescovo di Carinola, anche un arcivescovo spagnolo confermò tutte le accuse fatte dal suo confratello, aggiungendone anche altre.

A difesa di Federico si alzò solo l'inviato imperiale Taddeo da Sessa, presente al Concilio insieme a Pier delle Vigne, il quale accusò a sua volta il vescovo di Carinola, dicendogli che non per zelo o per giustizia parlava così contro il re, ma per odio particolare, essendo stati, lui e suo fratello, convenientemente puniti dal re per i loro delitti. Quindi pregò il Pontefice di rimandare per la terza volta il Concilio, perché Federico, ormai giunto a Torino, sarebbe venuto di persona a difendersi dalle ingiuste accuse. Pier delle Vigne, a differenza dell'ardente difesa di Taddeo da Sessa, non proferì parola a favore del suo re e non si lasciò impegolare nella sua difesa. In seguito a questa mancata difesa del suo signore, Pier delle Vigne perse i favori e la fiducia di Federico, che cominciò a sospettarlo di tradimento. Come se non bastasse, il conte di Caserta e signore di Carinola Riccardo rivelò al re che Pier delle Vigne era invischiato in una congiura contro di lui. L'esito di questa triste storia per Pier delle Vigne lo conosciamo grazie al Canto XIII dell'Inferno nella Divina Commedia di Dante Alighieri, ma la verità della sua innocenza o della sua colpevolezza non è mai stata soddisfatta.

Il Pontefice diede retta a Taddeo da Sessa e rimandò il Concilio di altre due settimane, con la speranza che Federico, citato come reo, venisse a riconoscere i suoi errori e a riappacificarsi con lui. Ma Federico, non riconoscendo legale il Concilio e non riconoscendosi colpevole di nulla, non si presentò. Allora, radunati di nuovo i prelati, il Papa pronunciò la sentenza contro Federico: lo scomunicò per la terza volta e lo depose, privandolo dell’Impero e di tutti gli altri suoi Stati per sospetto di eresia, spergiuro, nemico e persecutore della Chiesa e sciogliendo i sudditi dal giuramento di fedeltà all’imperatore.

Dopo il Concilio, la lotta tra Papato e Impero continuò dura e aspra fino alla morte di Federico, avvenuta improvvisamente nel 1250 a Fiorentino di Puglia, non senza il sospetto che egli fosse stato avvelenato o soffocato da suo figlio, spinto a questo dal Pontefice, come lasciano intendere le cronache guelfe del tempo. Quanto possano essere però attendibili le cronache dei nemici dell'imperatore, è tutto da dimostrare. Cosa accadde invece al vescovo di Carinola lo recuperiamo in vari testi antichi.

Dal 1252 ritroviamo Pietro a Sorrento come arcivescovo; sicuramente il pontefice intese premiarlo della sua fedeltà alla Chiesa e delle persecuzioni subite per volere di Federico. Ma sembra che il nostro vescovo non avesse imparato la lezione perché lo ritroviamo a Palermo nel 1258, insieme all’abate di Montecassino, dove fu uno dei quattro vescovi a consacrare Manfredi, figlio di Federico II, re di Sicilia. Tale elezione non venne riconosciuta dal papa Alessandro IV che riteneva Manfredi un usurpatore ai danni di Corradino, ritenuto il vero erede al trono di Sicilia.
La presenza del Vescovo di Carinola e dell’abate di Montecassino all’incoronazione di Manfredi non piacque al papa che li rimosse entrambi dalle loro chiese. Questa punizione dovette essere comunque temporanea perché Pietro fu assolto dalla sua colpa dal nuovo papa Clemente IV e rimesso al governo della sua diocesi, poiché nei registri, che si conservano nel Grande Archivio del Regno si trova, che ai 28 Marzo e 3 giugno del 1270 XlII indizione, egli era ancora Arcivescovo di Sorrento.

La vicenda di Pietro di Carinola è molto emblematica: è quella di un uomo in balia degli eventi storici che riesce persino a dominare, per quel che gli è possibile, diventandone egli stesso protagonista, ma poi viene ripreso dalla forza vorticosa degli eventi.
L' ovvia domanda che ne deriva e a cui è difficile dare una risposta è: sono gli uomini a fare la Storia o è la Storia a fare gli uomini? Qualunque possa essere la risposta che ognuno elabora, la verità per noi carinolesi è una e lampante: questa drammatica e complessa vicenda storica di uomini medievali è stata per sempre fermata sui muri dell’Episcopio di Ventaroli e noi, uomini di oggi, abbiamo il dovere di esserne i custodi per riconsegnarla intatta agli uomini di domani.

cdl

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 Alcuni testi consultati

 
Camera Matteo – Annali delle Due Sicilie – Napoli, 1841-
Capasso Bartolo – Memorie storiche della Chiesa sorrentina – Napoli, 1834
Capecelatro Francesco – Storia del Regno di Napoli – Napoli, 1840
Hubert Huben e Vetere Benedetto ( a cura di)  I cistercensi nel Mezzogiorno medievale - Lecce, 1994
Riccardo da San Germano – Cronica – Cassino, 1995
Tanner Norman P. – I Concili della Chiesa – Milano, 1999