domenica 25 marzo 2012

Il vescovo Bernardo e la Diocesi di Carinola

Cattedrale di Carinola - Sarcofago con i resti di S. Bernardo

La Diocesi di Carinola iniziò la sua vita nel 1100, quando il vescovo Bernardo  spostò  la sede vescovile da Foro Claudio, ormai quasi disabitata, a Carinola. Prima, in vista del cambiamento, Bernardo aveva fatto costruire una cattedrale degna del ruolo  che veniva a ricoprire. In questa non facile impresa, Bernardo ebbe l’aiuto del conte Gionata, il primo, che regalò il terreno per la costruzione della nuova chiesa, ma non gli nascose le difficoltà economiche che l’impresa trascinava con sé. Ma a Bernardo le difficoltà economiche non facevano paura e pensò ad ovviarle personalmente. Stupenda è l’immagine del Santo che, a cavallo di un somarello, batteva tutte le campagne di Carinola in lungo e in largo per racimolare offerte.

Iniziò così, o forse continuò perché già iniziato, lo spoglio dell’antica e distrutta Foro Popilio che, come una cava a cielo aperto, fornì pietre belle e pronte per la costruzione della cattedrale, spoglio che si è protratto nei secoli per edificare ed abbellire le case di Carinola.
Bernardo riuscì nella difficile impresa grazie sicuramente alla sua forza di volontà, ma soprattutto grazie al potere che aveva presso i Principi  di Capua, Riccardo I (di cui Gionata era figlio), Giordano e Riccardo II.

Chi era dunque Bernardo vescovo di Carinola?

Secondo il canonico e storico capuano Gabriele Jannelli, Beroardo, nome di chiara matrice longobarda diventato poi Bernardo, nacque a Capua nel 1040 dalla nobile famiglia dei Raimondi. Quando i normanni divennero Principi di Capua nel 1058, il giovane Bernardo fu accolto nel palazzo, dove divenne chierico palatino, come comprova un diploma di Riccardo I scritto il 23 agosto del 1059 in cui Bernardo firma: ego Bernardus Clericus, qui interfui, hoc firmo.

Il Principe Riccardo II,  detto il Calvo, che dal 1080 aveva affiancato suo padre Giordano alla guida del Principato capuano, volle Bernardo come suo personale consigliere e cappellano perché  colpito dalle sue virtù, specialmente  dalla sua indiscussa castità. L'influenza di Bernardo su di lui fu determinante: dopo pochi anni di principato, Riccardo entrò in convento e vi rimase fino alla morte.
Le virtù di Bernardo ebbero un decisivo riconoscimento quando, per mano del pontefice Vittore III (Desiderio, abate di Montecasssino), la Domenica delle Palme del 21 marzo del 1087 fu consacrato vescovo di Foro Claudio nella Cattedrale di Capua.

Ci viene da chiedere: cosa ci faceva il Pontefice a Capua la Domenica delle Palme del 1087? 

E' opportuno spiegare che Papa Vittore III altri non era che Desiderio, abate di Montecassino, il quale più volte aveva rifiutato la tiara pontificia per timore di essere ucciso. I tempi erano quelli che erano e i nemici erano tanti, i quali non avevano remore ad ammazzare per loro convenienza chi assurgeva a una posizione di potere. Desiderio, non era immune alla lusinga di diventare papa, ma alla sua vita ci teneva. Eccome!  L'unico modo per salvare capra e cavoli, ossia salvarsi la vita e diventare papa, era quello di assicurarsi la protezione dei principi normanni di Capua, temuti e rispettati da tutti. Desiderio indisse allora un concilio a Capua e una volta assicuratosi la protezione dei principi normanni, accettò la corona pontificia proprio la Domenica della Palme del 21 marzo e divenne Papa Vittore III.
  
Alla consacrazione del nuovo pontefice, oltre alla nobiltà capuana, era presente la nobiltà romana, tutti vescovi e i cardinali della Chiesa, compresi quelli di Londra, Marsiglia e Dax in Francia. La prima azione pastorale del nuovo papa, avvenuta quello stesso giorno e in quello stesso luogo,  fu proprio la consacrazione di Bernardo a vescovo di Carinola, un atto concordato forse precedentemente con il principe capuano o semplicemente un atto di riconoscimento verso il suo pupillo benedettino.  Qualche giorno dopo, in pompa magna e con milizie al seguito, il principe di Capua accompagnò il nuovo papa nella sua abbazia di Montecassino e poi a  Roma. Questo atto bastò come avvertimento per qualsiasi malintenzionato.

Nell’anno 1100, Papa Pasquale II concesse a Bernardo di trasferire la sede da Foro Claudio a Carinola, dove era stata edificata la nuova cattedrale dedicata alla SS. Vergine e a San Giovanni Battista.
Le virtù di Bernardo non diminuirono con la sua elezione a vescovo, anzi aumentarono ulteriormente, perché la consapevolezza di essere guida per tante anime da portare a Dio, lo resero ancora più determinato nel conseguimento del  bene, a cominciare dalla sua anima. Come ben sappiamo, fu l’unico che riuscì a strappare il corpo di San Martino a Monte Massico per portarlo, con religioso onore, nella nuova cattedrale. 

Mi piace credere che questo accadde non tanto per il desiderio di Martino di rimanere dove aveva vissuto, ma per l’indiscussa santità e sante intenzioni di colui che andò a prelevarlo per traslarlo in luogo degno. Così come mi piace credere che Martino non acconsenti alla traslazione del suo corpo tentata nel 770  dal Duca  Arechi di Benevento, perché in quest’ultimo  era  principalmente il  desiderio di dare grandiosità umana alla cattedrale beneventana, traslandovi il corpo di un santo.

Ma questa traslazione ci fu veramente? 

C’è chi, come il nostro Ugo Zannini, pone un grosso punto interrogativo su questo avvenimento, mettendo in risalto le “incongruenze storiche" (come le chiama anche il defunto prof. Giuseppe Guadagno), le notevoli contraddizioni e differenze presenti nei tre documenti principali che ne parlano e che potrebbero celare delle falsificazioni. Dubbi più che legittimi, ma che comunque non provano neanche il contrario: ossia, che la traslazione non sia avvenuta.

Al di là di tutte le giuste e opportune  speculazioni storiche che gli studiosi possano fare sugli avvenimenti che riguardano la vita del Santo, resta il fatto che Bernardo ha lasciato ai carinolesi una solida eredità spirituale, che dopo nove secoli rimane intatta. Il perché può essere facile intuirlo. Bernardo, uomo medievale nato e cresciuto nella migliore nobiltà del tempo,  abituato ad avere a che fare giornalmente con il potere dominante, non si lasciò mai condizionare più di tanto da esso, perché non perse mai di vista lo scopo ultimo dell’uomo: il Cielo. 
Questo, e non altro,  volle lasciare in eredità ai suoi figli carinolesi.
c.d.l

Alcuni testi consultati
Baronio Cesare – Annali ecclesiastici – Roma, 1590
Brodella don Amato – Storia della Diocesi di Carinola – Marina di Minturno, 2005
Brodella don Amato – Storia della Sagrestia della Cattedrale di Carinola, Minturno, 1996
De Stasio don Mario e Iannettone Giovanni – Bernardus Episcopus Calinensis in Campania Felice – Napoli, 1988
Jannelli Gabriele – Sacra guida -Napoli, 1858
Menna Luca – Saggio Istorico della città di Carinola – a cura di A. M. Ceraldi - 2002
Michele Monaco – Sanctuarium Capuanum – Napoli, 1630
Pellegrino Camillo – Apparato delle antichità di Capua – vol. secondo – Napoli, 1771
Romanelli Domenico – Antica topografia istorica del regno di Napoli – vol. 3 -  Napoli, 1819
Ugelli Ferdinando – Italia Sacra  - vol. VI –Venezia, 1970
Zannini Ugo-Guadagno Giuseppe – S. Martino e S. Bernardo – Minturno, 1997



domenica 18 marzo 2012

Carinola nel Catalogus Baronum

Cavalieri Normanni - dall' arazzo di Bayeux
Articolo aggiornato il 20 marzo 2012

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Nel 1150, quando fu iniziata la compilazione del Catologus Baronum, era Conte di Carinola Gionata, il secondo, figlio di Riccardo, a sua volta Conte di Carinola e Duca di Gaeta
Essendo un consanguineo di re Ruggiero, Gionata mantenne la Contea che già era stata del padre e non fu sostituito. La bisnonna di Gionata era infatti un' Altavilla,  sorella di Roberto il Guiscardo.
La Contea di Carinola era un feudo quaternato in capite de domino rege, ossia che dipendeva direttamente dal re e a cui annualmente doveva fornire ben 15 cavalieri: Comes Jonathas sicut ipse dixit tenet de Principatu Capue Calenum quod est feudum XV militum (E. Jamison – Catalogus Baronum. pag 150). Gionata, oltre a Carinola, aveva altri feudi: Ayrola, in quel di Benevento, feudo di 5 cavalieri; San Martino (in Valle Caudina) altro feudo di 5 cavalieri. Dai suoi feudi, Gionata poteva fornire XXIII (23) cavalieri con un aumento di XXVII (27) e arrivava complessivamente, in caso di magna expeditio, a 50 cavalieri.

Essere un feudo di 15 cavalieri, voleva dire essere non solo abbastanza grande, ma anche abbastanza ricco. Se poi si pensa che in occasione di una magna expeditio i cavalieri raddoppiavano, si può capire l’importanza della contea di Carinola. La vicina Sessa, territorialmente più grande, non arrivava a tanto: essa era suddivisa in 15 poveri feudi che fornivano si o no un solo cavaliere ciascuno, senza alcun aumento. 

L' importanza di Carinola la si può capire meglio, esaminando il sistema di catalogazione dei feudi normanni.
I feudi registrati nel Catalogus  si distinguono in feudi tenuti in demanio o in capite ed in feudi tenuti semplicemente in servitium.


I feudi in demanio o in capite erano quelli che si possedevano personalmente e dipendevano direttamente dal re o dalla Curia, o da qualche altro feudatario, o da ambedue. Se dipendevano da un altro feudatario avevano bisogno comunque del regio assenso. Più tardi si dissero quaternati perché registrati nei quaderni della Curia o della Dogana dei baroni.


I feudi in servitium erano quelli che il feudatario sub-concedeva ad un altro feudatario minore, il quale aveva l’obbligo di fornire un servizio al feudatario concedente. Anche queste sub-concessioni avevano bisogno dell’assenso regio, quante volte venivano concessi. Questi feudi erano popolarmente detti suffeudi, ma nel linguaggio tecnico del tempo erano detti quaternati secundum quid per distinguiri da quelli concessi dal re che erano detti quaternati sempliciter.


I feudi consistevano in città, castelli, villaggi, terre abitate o disabitate, case, terreni, vigne, selve, mulini, villani, affidati, raccomandati e  chiese; insomma qualsiasi  cosa facesse parte delle regalie del re concesse a titolo di vassallaggio e per le quali si facesse il giuramento di fedeltà.
I feudi potevano essere ottenuti non solo per concessione del re o della Curia, ma anche per successione ed a titolo di dote, per compra-vendita o per effetto di permuta fatta con altri feudatari o con la Curia stessa.
Ma la catalogazione più importante ai fini delle prestazioni militari era quella che divideva i feudi in  integra e non integra, ossia interi e non interi.


Il feudo integra era quello che rendeva tanto da poter dare il servizio militare di un cavaliere, ossia una rendita annuale di 20 once d’oro che era il valore richiesto per la fornitura di un milite. Anche la presenza di un certo numero di villani nel feudo (da 36 a 40 villani o altre volte da 24 a 26) costituivano feudo di un milite. Quando il feudo non rendeva tanto per poter dare un milite, il suo valore veniva calcolato in base a quanto mancava al reddito richiesto. Nel Catalogus è possibile trovare il feudo di mezzo milite, di un quarto, di un terzo, di due terzi di milite e anche di una quinta e settima parte.


I feudi registrati nel Catalogus Baronum sono 3453, per un totale di 8.620 milites e 11.090 servientes e i conseguenti obblighi di servitium. Sei di questi feudi hanno un valore di 20 cavalieri e più. Quattro da 5 a 12 cavalieri, diciassette da 10 a 14, ottanta da 4 a 9 cavalieri. Tutti i rimanenti feudi sono compresi tra quelli che hanno un valore da 4 cavalieri in giù. Ci sono inoltre 47 feudi poverissimi il cui valore non bastava a fornire l’impegno militare.
Nel Catalogus, 21 feudatari hanno più feudi, ad uno dei quali è annesso il titolo di conte, la più alta dignità dello stato. Carinola è tra queste.


Facendo un po’ di conti, in base alle notizie forniteci dallo studioso del XIX secolo Bartolommeo Capasso, possiamo dedurre che Carinola, potendo fornire annualmente XV cavalieri, aveva una rendita annua di 300 e più once d’oro. Il che non era affatto poco per i tempi. Tenendo anche presente che i feudatari non sempre dichiaravano il vero, ci sentiamo autorizzati a ragionare un po' per eccesso.
Lo studioso e ricercatore del CNR Angelo Ferrari ci fornisce invece un’altra interessante chiave di lettura del Catalogus. In un suo studio sui feudi pre-normanni dei Borrello, il Ferrari dice che normalmente veniva fornito al re un cavaliere ogni 24 famiglie chiamate fuochi e per ogni fuoco si potevano contare mediamente  dalle 4 alle 6 anime.


Basandoci su queste premesse, calcoliamo che nel 1150 la Contea di Carinola aveva all’incirca 360 famiglie con una popolazione di circa 1860 anime. Chiaramente i numeri possono mutare in base a tante altre variabili, ma non di molto.
Il quadro che il Catalogus ci fornisce di Carinola è molto interessante perché ci scopre una Contea tra le più benestanti del Regno di Sicilia. Inoltre, essendo affidata ai figli dei principi di Capua poteva usufruire di tanti privilegi e vantaggi. Quello che però il Catalogus non ci dice, sono le continue ribellioni dei baroni meridionali a cui Carinola non fu esente, neppure nel periodo normanno, a cominciare dallo stesso Gionata che nel 1162 volontariamente lasciò la Contea per ribellione contro re Guglielmo.

 c.d.l.
Testi consultati
Jamison Evelyn - Catalogus Baronum - Istituto Storico Italiano – Roma, 1972
Cuozzo Errico – Catalogus Baronum – Commentario – Roma. 1984
Cuozzo Errico - La cavalleria nel regno normanno di Sicila - Avellino, Salerno, 2002
Ferrari Angelo - Feudi prenormanni dei Borrello tra Abruzzo e Molise – Trento, 2007
Capasso Bartolommeo – Sul catalogo dei feudi e dei feudatarii – Napoli, 1870
Del Re Giuseppe – Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi ed inediti – Napoli, 1845

lunedì 12 marzo 2012

La difesa del Regno di Sicilia e il ruolo delle contee

Cavalieri normanni armati alla pesante



E’ chiaro che la priorità di un regno così grande come quello di Sicilia era la difesa; difesa dai nemici esterni, ma anche da quelli interni che male accettavano l’accentramento del potere tutto nelle mani del re, mentre a loro era lasciata solo la giurisdizione più bassa. 
I nemici potevano arrivare  sia da terra che dal mare, in qualsiasi momento,  e siccome era materialmente impossibile indire la leva generale in difesa del Regno in breve tempo, re Ruggiero ideò tre momenti difensivi fondamentali che avrebbero dato il tempo all’esercito regio di compattarsi e correre ad affrontare il nemico. In questi tre momenti, le contee erano determinanti per il ruolo tattico-militare affidato a ciascuna di esse.

Il primo momento era quello della guardia continua sul territorio e dell’osservazione verso le coste per avvistare immediatamente probabili nemici in arrivo dal mare. Tutti i conti, soprattutto quelli le cui contee erano situate in punti strategici e di confine, avevano un proprio ruolo, oltre a quello di controllare le strade e le coste mediante punti di osservazione, che potevano essere torri inglobate nel castello (castrum) o anche costruite appositamente al di fuori delle mura cittadine.


In caso di  nemico in vista, scattava il secondo momento: l’intervento armato da parte dei conti incaricati all’uopo per fermare l’avanzata del nemico, in attesa dell’arrivo dell’esercito regio capitanato dal re. Al conte di Fondi, per esempio, era affidata la difesa del confine nord-occidentale del Regno e aveva il compito di intervenire nella media e bassa valle del Liri e in quella del Garigliano, mentre il conte de Aprutio (Abruzzi) doveva controllare e intervenire in tutta la valle del fiume Tronto.


Il terzo momento era rappresentato dall’arrivo dell’esercito regio in forza alle truppe locali.

Ben presto però ci si rese conto che la strategia militare ideata da 
Ruggiero II presentava un cruciale punto debole: l’infedeltà dei conti. 
Sebbene essi fossero legati al re dal giuramento vassallatico e dalla consanguineità, non esitavano a tradire il loro re. 
Riccardo di Aquila, conte di Fondi, nel 1155 lasciò passare l’esercito pontificio di Adriano IV senza opporre resistenza;  Roberto III, conte  di Loritello e di Conversano, cugino del re,  si ribellò al giovane re Guglielmo; il conte di Taranto favorì, nel 1156, la presa della città da parte dell’esercito bizantino. 
Ben pochi erano i conti di cui il re poteva davvero fidarsi ciecamente e questo spinse i successori di Ruggiero, Guglielmo, Tancredi e Federico II, ad apportare  delle importanti riforme, che vedremo a suo tempo, nel sistema difensivo.

Ma tornando a  re Ruggiero II, egli aveva organizzato il nuovo organismo in modo che tutti i feudatari, piccoli e grandi, dovevano concorrere alla sua difesa. Nelle registrazioni del Catalogus Baronum, accanto al nome del feudatario e lo stato giuridico del feudo, veniva riportata anche la grandezza del feudo stesso, calcolata in base al numero di cavalieri armati alla pesante (milites) o alla leggera (servientes), la fanteria (pedites) o i balestarii che il feudatario doveva fornire annualmente al re. Nessun feudatario poteva esimersi dal prestare il servizio militare dovuto al re, né poteva sostituirlo con una cifra in denaro. Anzi, in caso di una leva generale per la difesa del Regno era proprio il conte che aveva il privilegio di capitanare i suoi cavalieri feudali.  Solo i piccoli suffeudatari potevano dare il servizio militare al proprio feudatario maggiore invece che al re o versare, come gli ecclesiastici, una somma al posto del servizio.

Nel caso di una magna expeditio il feudatario doveva fornire il doppio degli uomini dovuti. Il servizio militare del Regno durava di solito quaranta giorni, ma, nel caso di una magna expeditio o di azioni  difensive  del Regno, esso era legato alla durata dell’azione stessa  e solo il re poteva  prendere decisioni al riguardo, ossia se mandare o non mandare a casa alcuni cavalieri per determinati motivi.
Il mantenimento dei cavalieri nell’esercito regio era a carico del feudatario stesso, che non solo doveva fornire gli uomini, ma provvedere anche al loro mantenimento e a quello dei cavalli.

Dopo queste dovute premesse, vedremo quale ruolo aveva la Contea di Carinola nel sistema difensivo ideato da re Ruggiero.


c.d.l.

Alcuni testi consultati

Cucinotta Giovanni – Ieri e oggi Sicilia -  Cosenza, 1996
Cuozzo Errico -  La cavalleria nel Regno normanno di Sicilia – Avellino,Salerno, 2002
Cuozzo Errico – La Monarchia bipolare- Il regno normanno di Sicilia – Avellino, 2000
Di Mauro Nicola – Normanni- i predoni venuti dal nord – Firenze-Milano, 2003
Dragonetti Giacinto – Origine dei Feudi nei regni di Napoli e Sicilia – Palermo, 1842
Jemison Evelyn – Catalogus Baronum – Istituto Storico Italiano – Roma, 1972
Licinio Raffaele e Violante Francesco (a cura di) - I caratteri originari della conquista normanna –  Centro di studi normanno svevi-  Bari, 2006