domenica 26 agosto 2012

Eunuchi, croce e delizia del Regno di Sicilia

Da Wikipedia: Eunuco bianco del XVIII secolo
 
Le rivolte che insanguinarono il governo di Guglielmo il Malo ebbero molti responsabili; tra questi, un posto di rilievo spetta agli eunuchi di corte, figure trasportate nel Regno dalla bisecolare dominazione araba in Sicilia. D’altra parte, in un Regno così variegato, multietnico, multiculturale, multitutto, un po’ godereccio e molto dinamico, già avviato alla modernità, non potevano mancare questi personaggi particolarmente “originali”. Volendoli definire, si potrebbe dire che gli  eunuchi erano il concentrato del meglio e del peggio dell’intera società: fedeli, devoti, affidabili, responsabili, seri, divertenti, traditori, prepotenti, pettegoli, linguacciuti, intriganti, impiccioni, intrallazzatori, maliziosi, imbroglioni, astiosi, vendicativi, e chi più ne ha più ne metta, quasi come se una doppia natura vivesse in loro: quella persa e quella acquisita. 
Con loro il Regno di Sicilia brillava di vita, spumeggiava di gaiezza, frizzava di leggerezza e vivacità. Nulla aveva a che fare con la pesante e tetra vita di altre realtà, quella del Sacro Romano Impero per intenderci, che invece era come un pasto indigesto che si piazza sullo stomaco. 
Qualsiasi cosa di buono o di male succedeva, loro, gli eunuchi, c’erano sempre a rinvigorire l’accaduto.  

Ma chi erano esattamente questi personaggi? Perché erano così presenti nel Regno di Sicilia?

Figure nate nelle culture orientali e africane, gli eunuchi li troviamo già in tempi antichissimi. Il loro ruolo fondamentale era quello di custodi dei ginecei ed è esattamente quello che il nome significa in greco: custodisco il letto
Nelle  culture particolarmente repressive nei confronti della donna, in cui vigeva l’usanza di tenere le donne ben separate dagli uomini, si creò ben presto la necessità di affidare il gineceo a figure altamente affidabili. E siccome queste figure non esistevano, si crearono. 
Ebbe così inizio la pratica dell’evirazione dell’uomo in modo da distruggere in lui qualsiasi traccia di sensualità che potesse rappresentare una tentazione per le donne e per lo stesso custode. 
L’evirazione dell’apparato genitale poteva essere più o meno estesa e condurre l’uomo all’ impotentia generandi, impossibilità di generare, o  all’ impotenzia coeundi, impossibilità di copulare. La pratica dell’evirazione avveniva in due specifici periodi della crescita: durante l’infanzia e durante la piena adolescenza. 
L’ evirazione su soggetti ancora in puerizia  comprometteva lo sviluppo psico-fisico per cui l’eunuco risultava un soggetto fisicamente debole e il suo valore sul mercato era basso;  in secoli più recenti,  l’evirazione in puerizia veniva praticata per sfruttare in teatro la loro “voce bianca”
L’evirazione in età adolescenziale, quando cioè lo sviluppo psico-fisico era già avvenuto, comportava un notevole aumento di valore sul mercato. Nella cultura araba, gli eunuchi erano il normale corredo dei califfi che alla loro custodia affidavano gli harem.

In questa veste di custodi degli harem, gli eunuchi giunsero in Sicilia al seguito dei loro signori. Vi rimasero anche durante la dominazione dei re normanni che molto presero  dai costumi e dalle usanze arabe e a cui non dispiaceva circondarsi di concubine. 
Gli eunuchi saraceni non solo divennero i custodi dei ginecei reali, ma divennero anche il mezzo per combattere il nepotismo, quella sgradevole pratica che favorisce il familiare o il protetto, a discapito di chi ha evidenti capacità. 
Grazie alla loro fedeltà e alla loro dedizione, occuparono le più alte cariche  della gerarchia amministrativa del Regno. 
Tuttavia,  il fatto di aver evirato un uomo, non significava averlo privato di sentimenti, anzi,  proprio i sentimenti si rivelavano un’arma a doppio taglio. La dedizione ad una particolare persona si trasformava necessariamente in odio per il suo nemico, oppure la strenua difesa della carica occupata produceva una feroce lotta intestina che non escludeva colpi. 
E’ quello che accadde all’eunuco Pietro, maestro camerario di palazzo e vice ammiraglio, fedelissimo della regina Margherita di Navarra, che, per fedeltà alla sua sovrana, si trovò coinvolto nella rivolta di Palermo e fu poi costretto a fuggire in Africa. O come l’odio tra l’eunuco Riccardo e l’eunuco Sedutto, perché il Cancelliere Stefano, succeduto a Majone, favoriva l’uno piuttosto che l’altro. O ancora come l’eunuco Martino, governatore di Palermo in assenza di re Guglielmo, che perpetrava ogni sorta di abusi ed estorsioni ai danni dei palermitani, sentendosi simile al sovrano.  O come l’eunuco Gallo (o  Gaito) che per viltà  fuggi con la flotta dalle acque di Mebdia.

La storia del Regno di Sicilia è piena di queste figure, decine e decine di nomi che si rincorrono nelle pagine dei volumi: Pietro, Filippo, Eutropio, Narsete, Martino, Andrea, Ioario, Oreste, Niceforo, persone che  sono state usate e abusate e a loro volta hanno usato e abusato; persone che sono state osannate o trucidate per nulla e che, nel bene e nel male, hanno lasciato le loro tracce, rendendo il Regno di Sicilia sicuramente non migliore, ma certamente unico.
c.d.l.


Alcuni testi consultati

Amari Michele – Storia dei Musulmani di Sicilia – vol. 3 – Firenze,  1868
Capecelatro Francesco – Storia del Regno di Napoli – Napoli, 1840
Di Blasi Giovanni E. – Storia di Sicilia – vol. 3 – Palermo, 1847
Di Costanzo Angelo – Storia del Regno di Napoli – Napoli, 1839
Fazello Tommaso – Historia di Sicilia – Venezia, 1573
Moisè Filippo – Storia dei domini stranieri in Italia – vol. 4 -  Firenze, 1841
Pecchia carlo – Storia civile e politica del Regno di Napoli – vol. I – Napoli, 1778
Summonte Giovanni A. – Dell’historia della città e del regno di Napoli - Napoli, 1675










mercoledì 22 agosto 2012

La fine del Principato di Capua


Abbazia benedettina di S. Angelo in Formis (CE) - affresco

Le continue rivolte dei baroni contro re Guglielmo I costarono la vita al Principato di Capua ed al suo principe, Roberto II, che fu prima accecato e poi incarcerato. La sua morte segnò la fine della dinastia normanna di Aversa, di cui Roberto fu l'ultimo discendente.   
Spina nel fianco di re Ruggiero prima e di suo figlio  Guglielmo poi, il Principato fu definitivamente assorbito dal Regno di Sicilia di cui, da allora in poi, condivise le sorti. 
In questa svolta politico-amministrativa non era estraneo papa Adriano IV, al secolo Nicholas Breakspear, l’unico papa inglese che la storia ricordi, e che, come tanti pontefici del passato, aveva più vocazione politica che spirituale. A lui, più che ad altri, si deve la fine del Principato di Capua che aveva sempre vissuto un rapporto privilegiato con il Papato. E fu proprio questo a  decretarne la fine.
I conflitti tra Adriano IV e Guglielmo I cominciarono da subito, appena dopo l’incoronazione a re di Guglielmo. 

Nel 1154 Guglielmo si era fatto incoronare re senza il consenso papale per cui il papa non lo riconosceva come tale. Quando nel 1155 Guglielmo  venne a Salerno, Adriano gli inviò come suo Legato il cardinale Arrigo e nelle lettere che gli scrisse lo chiamava semplicemente “Signore di Sicilia”. Guglielmo, arrabbiato,  non volle ricevere il Legato pontificio e lo cacciò fuori del Regno, poi ordinò ad Ugone, arcivescovo di Catania suo cancelliere, di invadere le terre del papa e conquistare quante più "castella" era possibile. Dati questi ordini, se ne tornò a Palermo insieme a Majone

Ugone eseguì gli ordini ed invase il territorio di Benevento che però non riuscì a sottomettere per la strenua resistenza dei beneventani. Si rivolse allora ad altri luoghi della campagna di Roma: Cepperano, Aquino e altri paesi di Montecassino e li devastò

La reazione di papa Adriano fu immediata: scomunicò Guglielmo e istigò i baroni di Puglia, che mal sopportavano gli abusi di potere di Majone, a ribellarsi al sovrano, sostenendone anche la famosa rivolta di Palermo guidata da  Matteo Bonello e di cui si è parlato in precedenza. Intanto Roberto, principe di Capua, il quale era stato mandato fuori dal Regno da re Ruggiero, visto come si erano messe le cose, ritornò a Capua e divenne uno dei sostenitori più convinti di papa Adriano.


Dal canto suo, per fare maggior dispetto a Guglielmo, il papa allacciò rapporti diplomatici con i due più acerrimi nemici del Regno, avvalendosi dei loro aiuti militari: l’imperatore bizantino Manuele I Comneno  e l’imperatore del Sacro Romano Impero Federico Barbarossa. I due, come falchi, aspettavano solo l'occasione propizia per impadronirsi dei territori del Regno e papa Adriano gliela stava offrendo su un vassoio d'argento. 

Forti di questi aiuti militari, Roberto di Capua e Roberto di Loritello, cugino del re, attaccarono e conquistarono molte città della Puglia che finì tutta in loro mano. 
Dopo aver sedato una rivolta in Sicilia, re Guglielmo iniziò una violenta repressione dei ribelli, portando l’esercito in Puglia.  Attaccò Brindisi dove sconfisse i bizantini e fece diversi prigionieri, poi passò a Bari e la rase al suolo. Si diresse dunque alla volta di Benevento, dove si era asserragliato papa Adriano con molti baroni, e cinse d’assedio la città. Roberto di Capua cercò di fuggire dal Regno ma, passando il Garigliano, fu preso da Riccardo II di Fondi, suo vassallo, e consegnato al re per guadagnarsene il perdono. 
Con la cattura di Roberto di Capua, papa Adriano perse il suo maggior alleato e allora si decise a fare la pace con Guglielmo, riconoscendolo finalmente re. 

La pace tra i due comportò diversi accordi di natura ecclesiastica e politica, raccolti nel cosiddetto Concordato di Benevento: spettava al papa consacrare i vescovi, così come spettava al papa spostare i vescovi da una diocesi all’altra secondo il bisogno; spettava sempre al papa ordinare le visite pontificie nelle città di  Puglia, Calabria e Sicilia tranne in quelle città in cui fosse presente, al momento, la persona del re; i Legati pontifici potevano entrare liberamente nel Regno, ma non potevano fare man bassa dei beni delle chiese; i chierici, riuniti in Capitolo, potevano eleggere i prelati tra coloro ritenuti più degni, ma questa elezione doveva poi essere notificata al re per l’approvazione, perché senza l’approvazione reale nessuna elezione era valida; i baroni che avevano preso le armi contro il re potevano liberamente uscire dal Regno, ultima postilla voluta dal pontefice, rimasto molto turbato per la sorte di Roberto di Capua.  Questo valse a salvare la vita a Roberto di Loritello e Andrea di Rupecanina che poterono esulare in Abruzzo.

In cambio della pace e di questi privilegi, Adriano IV fu  costretto a cedere a re Guglielmo il Principato di Capua che egli affidò a suo figlio Enrico dal 1166 in poi, anno della sua morte. Il territorio capuano, persa ogni possibilità di autonomia, divenne parte integrante del Regno di Sicilia sotto il diretto controllo del re. Firmata la pace con papa Adriano, re Guglielmo  se ne ritornò a Palermo, portandosi dietro l’ormai accecato Roberto, principe di Capua, per trarlo nelle  prigioni palermitane, dove poco tempo dopo, il poveretto morì. La stessa infelice sorte toccò a Goffredo di Montescaglioso, anche lui ribelle contro il re.
Ma le vendette di Guglielmo non erano ancora terminate. Guardandosi bene dall'organizzare una spedizione punitiva contro il fortissimo Barbarossa, Guglielmo spedì invece una numerosissima flotta contro quella bizantina e la sbaragliò.  Molte città del Peloponneso caddero in sua mano, costringendo alla resa anche Manuele I Comneno che accettò una pace trentennale.

Come abbiamo visto, il conte di Carinola durante questo tumultuoso periodo di transizione, fu Gionata, direttamente coinvolto nelle rivolte, e di cui nè il Salernitano, né il Falcando ci raccontano la fine. Chi fosse  invece il vescovo alla guida della diocesi di Carinola, che con Gionata condivise quel momento storico, non è chiaro. 

Al tempo, i documenti non erano ancora ben definiti e quelli a disposizione possono essere tranquillamente dei falsi. Inoltre, la conflittualità tra il potere politico di re Guglielmo e quello temporale di papa Adriano, potrebbe aver determinato la dispersione di molti documenti nelle piccole diocesi. Sappiamo di un vescovo, Bertramo, che nel 1134 era alla guida di Carinola, ma non sappiamo se visse abbastanza a lungo da passare per questi accadimenti. In verità, sembrerebbe alquanto improbabile. Solo con il pontificato di Alessandro III, che nel 1174 confermò la suffraganeità della diocesi di Carinola dall’ arcivescovado di Capua,  le cose cominciano ad essere meglio definite.  

c.d.l.
Alcuni testi consultati
Brodella don Amato – Storia della Diocesi di Carinola – Marina di Minturno, 2005 
Csns - Potere, società e popolo nell'età dei due Guglielmi. Atti delle 4/e Giornate – Bari, 1981
Di Meo Alessandro - Apparato Cronologico agli Annali del Regno di Napoli – Napoli, 1785
Muratori  L. A. – Rerum Italicarum scriptores – vol. 28 – Bologna 1976 
Pagano Filippo - Istoria del regno di Napoli – Palermo, 1835
Romualdo Guarna Salernitano – Cronica - in G. del Re:  Cronisti e scrittori sincroni- vol. 1 – Napoli, 1845
Timoteo da Termine – Breve et universale cronistoria del mondo fino all’anno di salute 1668 –  Na, 1669
Troyli Placido – Historia generale del reame di Napoli – vol. 4 -Napoli, 1751
Ugone Falcando – Historia -  in G. del Re:  Cronisti e scrittori sincroni- vol. 1 – Napoli, 1845
Vivenzio Nicola – Delle antiche province del Regno di Napoli – Napoli, 1808

giovedì 2 agosto 2012

La rivolta di Matteo Bonello

 Caccamo (PA) - panorama notturno - dal sito: www.fotografieitalia.it

Con l’uccisone di Majone, Matteo Bonello si fece molti nemici: tutti coloro l’Ammiraglio aveva sistemato a corte o  favorito per tenerli dalla sua parte.   
Re Guglielmo lo aveva in antipatia più di tutti, non solo perché aveva ammazzato il suo capace braccio destro, ma perché era stato acclamato e festeggiato dalla popolazione palermitana come un vero sovrano. E questo aveva suscitato la sua gelosia. 
Ad inasprire l’animo del re, ci pensavano la regina Margherita e gli eunuchi di palazzo, croce e delizia del Regno, che essendo stati parte delle trame di Majone, ora cominciavano a temere per la propria vita e la proprio posizione. 
Raccontavano al re che Majone era innocente e che era stato ingiustamente ucciso da una congiura; che la fama e l’autorità del Bonello cresceva sempre più tra i sudditi e che i baroni si sottomettevano alla sua volontà; che egli, il Bonello, si era talmente insuperbito che era possibile una nuova rivolta per spodestare lui, Guglielmo, come re e metterci il Bonello. Insomma, tutte le chiacchiere più malevoli uscivano dalle loro bocche e il debole Guglielmo cominciò a dar retta a questi suoi consiglieri. 
Non volendo ancora far imprigionare il Bonello, così acclamato dalle turbe palermitane, il re cambiò strategia. Gli mandò a dire di saldare, ora che non aveva più la protezione di Majone, la somma di sessantamila tarì, ossia cinquemila scudi, che doveva alla Curia reale. Come se non bastasse, al Bonello fu riferito che Adenolfo, camerlano di corte e uno dei maggiori collaboratori di Majone, era stato visto girare in città con uomini armati e dirigersi a casa sua.

Un campanello di allarme suonò nella mente di Matteo che capì che i giorni dei congiurati erano contati e che prima che il re eliminasse loro, loro dovevano eliminare il re. 
Mandò allora ambascerie ai baroni rivoltosi ed ordì una nuova congiura  per imprigionare il re e deporlo. Al suo posto sarebbe stato fatto re il Duca Ruggiero, figlio giovinetto di Guglielmo che,  al momento, aveva tredici anni.

I congiurati si ritrovarono tutti nel castello di Caccamo e prepararono minuziosamente la rivolta, che sarebbe iniziata al ritorno del Bonello da Mistretta, dove egli sarebbe andato per organizzare aiuti militari e vettovagliamenti in vista di una guerra. 
I maggiori congiurati furono Tancredi, conte di Lecce e futuro re, chiamato “il bastardo” perché figlio naturale di Ruggiero III di Puglia e  cugino di re Guglielmo, e Simone principe di Taranto, fratello bastardo del re,  tenuto a corte  in stato di semi-libertà fino a tarda età, per paura di pretese sulla successione al trono.

Ma le cose non andarono esattamente come era stato pianificato: uno dei congiurati ebbe l’imprudenza di raccontare ad un suo amico tutta la congiura con l’intento di tirarlo in essa. Costui andò a rapportare ogni cosa e allora fu necessario agire immediatamente, per non veder sfumare il tutto, senza aspettare il ritorno di Matteo Bonello

I congiurati, guidati da Tancredi e Simone, si diressero a palazzo per occuparlo e prendere prigioniero il re. Fu proprio grazie a Simone, cresciuto a palazzo e di cui conosceva tutti gli anfratti, che essi riuscirono ad arrivare al re e a farlo prigioniero con tutta la sua famiglia. 

La rivolta scoppiò violenta: per tre giorni il palazzo fu saccheggiato da una folla inferocita contro il re, diversi membri della corte furono ammazzati, molte dame abusate. Si scatenò la caccia agli eunuchi, considerati i maggiori responsabili perché cattivi consiglieri del re, i quali a decine vennero massacrati. I Saraceni, che avevano le loro botteghe ed interessi intorno al palazzo, furono costretti a lasciare le loro case e botteghe per nascondersi nei posti più oscuri di Palermo, dove si scontrarono con i Cristiani
Il Duca Ruggiero, primogenito del deposto re, fu acclamato come nuovo sovrano e fatto girare a cavallo tra la folla osannante. Si aspettava solo la venuta del Bonello  da Mistretta per incoronarlo re. Ma il Bonello non arrivava e la folla, sotto l’ istigazione di personaggi di corte, ebbe tutto il tempo di elaborare l’accaduto e l’esito della rivolta. L’anarchia che regnava nella città di Palermo inasprì ancora di più  gli animi e gli istigatori ebbero campo fertile per seminare il seme del malcontento e della delusione.

Quattro vescovi, saggiato l’umore della folla, cominciarono a richiedere la liberazione del re: Romualdo, arcivescovo di Palermo che scrisse poi la sua cronaca; Roberto, arcivescovo di Messina; Giustino, vescovo di Mazara e Riccardo, vescovo di Siracusa.  E così, per un imprudente ritardo, i rivoltosi persero il consenso popolare. A gran voce fu chiesta la liberazione del re  e la folla cominciò di nuovo ad assaltare il palazzo. I pochi congiurati chiusi nell’edificio, realizzando che non avrebbero mai potuto difendersi e contenere quella folla inferocita,  furono costretti a liberare il re.

Re Guglielmo, molto provato dagli avvenimenti e dalla morte del figlioletto Ruggiero, ucciso nel tafferuglio da una freccia (qualche storico scrive che fu ucciso da un calcio del padre), non ebbe la forza di reagire, anzi in un primo momento, si dimostrò molto comprensivo verso i congiurati e disposti a perdonarli. Perdonò suo cugino Tancredi che si era rifugiato a Butera da Ruggero Sclavo, ma lo mandò in esilio a Costantinopoli, dove rimase fino al 1166.
Poi, la sua vendetta non si fece attendere: radunato un fortissimo esercito, diede inizio alla punizione dei ribelli. Matteo Bonello fu preso e accecato. Gli furono tagliati i tendini dei talloni in modo che non poteva più stare in piedi. Il poveretto mori  in breve tempo nel suo castello di Caccamo. 

Tolto di mezzo il Bonello, re Guglielmo oltrepassò lo Stretto di Messina e si diresse in Puglia e in Calabria per punire Roberto, conte di Loritello, fuggito presso il Barbarossa,  e Costanza, contessa di Taverna, che aveva appoggiato i rivoltosi. Fuggiti erano anche  Gionata di Carinola e Conza, Riccardo di Fondi, il conte di Acerra e tutti gli altri. Bari fu rasa al suolo dall’esercito reale e la stessa sorte spettava a Salerno e alle altre città, ma queste, temendo la distruzione, si affrettarono a far atto di sottomissione al re. 
Solo quando tutte le città furono di nuovo ridotte all'obbedienza sotto il suo controllo, il re fece ritorno a Palermo, dove ritornò alle sue mollezze.
 c.d.l


Alcuni Testi Consultati
AA.  VV .– Potere, società  e popolo nell’età dei due Guglielmi   Csns -  Bari, 1981
AA. VV.–  Potere, società e storia tra età normanna e età sveva – Csns - Bari, 1983
Bertini Carlo -  I re di Napoli – Palermo, 1846
Bonaventura  Benevenuti – Rerum italico rum scriptores – Firenze, 1748
Capecelatro Francesco -  Storia del Regno di Napoli – Napoli, 1840
Carta Francesco – Storia del Reame delle Due Sicilie – Napoli. 1848
Di Blasi Giovanni E. – Storia del Regno di Sicilia – vol. 2 – Palermo, 1846
Di Costanzo Angelo – Storia del Regno di Napoli – Cosenza, 1839
Fazello Tommaso – Della storia di Sicilia – vol. 3 - Palermo , 1817
Fazello Tommaso – Historia di Sicilia – Venezia,  1573
Giannone Pietro – Istoria civile del Regno di Napoli –  Vol. 2 -  Palmyra,  1762
Romualdo Guarna di Salerno -  Cronica – in G. del Re:  Cronisti e scrittori sincroni- vol. 1 – Napoli, 1845
Sanfilippo Pietro – Compendio della storia di Sicilia – Palermo, 1840
Ugo Falcando – Storia - in G. del Re:  Cronisti e scrittori sincroni - vol. 1 – Napoli, 1845