Caccamo (PA) - panorama notturno - dal sito: www.fotografieitalia.it |
Con l’uccisone di Majone, Matteo Bonello si fece molti nemici:
tutti coloro l’Ammiraglio aveva sistemato a corte o favorito per tenerli dalla sua parte.
Re Guglielmo lo aveva in antipatia più di
tutti, non solo perché aveva ammazzato il suo capace braccio destro, ma perché
era stato acclamato e festeggiato dalla popolazione palermitana come un vero sovrano. E questo aveva suscitato la sua gelosia.
Ad inasprire l’animo del re, ci
pensavano la regina Margherita e gli eunuchi di palazzo, croce e delizia del Regno, che
essendo stati parte delle trame di Majone, ora cominciavano a temere per la
propria vita e la proprio posizione.
Raccontavano al re che Majone era
innocente e che era stato ingiustamente ucciso da una congiura; che la fama e
l’autorità del Bonello cresceva sempre più tra i sudditi e che i baroni si
sottomettevano alla sua volontà; che
egli, il Bonello, si era talmente insuperbito che era possibile una nuova
rivolta per spodestare lui, Guglielmo, come re e metterci il Bonello. Insomma, tutte le chiacchiere più malevoli
uscivano dalle loro bocche e il debole
Guglielmo cominciò a dar retta a questi suoi consiglieri.
Non volendo ancora far imprigionare il Bonello, così acclamato dalle turbe palermitane, il re cambiò strategia. Gli mandò a dire di saldare, ora che non aveva più la protezione di Majone, la somma di sessantamila tarì, ossia cinquemila scudi, che doveva alla Curia reale. Come se non bastasse, al Bonello fu riferito che Adenolfo, camerlano di corte e uno dei maggiori collaboratori di Majone, era stato visto girare in città con uomini armati e dirigersi a casa sua.
Non volendo ancora far imprigionare il Bonello, così acclamato dalle turbe palermitane, il re cambiò strategia. Gli mandò a dire di saldare, ora che non aveva più la protezione di Majone, la somma di sessantamila tarì, ossia cinquemila scudi, che doveva alla Curia reale. Come se non bastasse, al Bonello fu riferito che Adenolfo, camerlano di corte e uno dei maggiori collaboratori di Majone, era stato visto girare in città con uomini armati e dirigersi a casa sua.
Un campanello di allarme suonò nella mente di Matteo che capì
che i giorni dei congiurati erano contati e che prima che il re eliminasse loro,
loro dovevano eliminare il re.
Mandò allora ambascerie ai baroni rivoltosi ed
ordì una nuova congiura per imprigionare
il re e deporlo. Al suo posto sarebbe stato fatto re il Duca Ruggiero, figlio giovinetto di
Guglielmo che, al momento, aveva tredici
anni.
I congiurati si ritrovarono tutti
nel castello di Caccamo e prepararono minuziosamente la rivolta, che sarebbe iniziata
al ritorno del Bonello da Mistretta, dove egli sarebbe andato per organizzare
aiuti militari e vettovagliamenti in vista di una guerra.
I maggiori congiurati
furono Tancredi, conte di Lecce e futuro re, chiamato “il bastardo” perché figlio naturale di
Ruggiero III di Puglia e cugino di re
Guglielmo, e Simone principe di Taranto, fratello bastardo del re, tenuto a corte in stato di semi-libertà fino a tarda età, per paura di pretese sulla successione al trono.
Ma le cose non andarono
esattamente come era stato pianificato: uno dei congiurati ebbe l’imprudenza di
raccontare ad un suo amico tutta la congiura con l’intento di tirarlo in essa. Costui andò a rapportare ogni cosa e allora fu necessario agire immediatamente,
per non veder sfumare il tutto, senza aspettare il ritorno di Matteo Bonello.
I congiurati,
guidati da Tancredi e Simone, si diressero a palazzo per occuparlo e prendere
prigioniero il re. Fu proprio grazie a Simone, cresciuto a palazzo e di cui conosceva
tutti gli anfratti, che essi riuscirono ad arrivare al re e a farlo prigioniero
con tutta la sua famiglia.
La rivolta scoppiò violenta: per tre giorni il
palazzo fu saccheggiato da una folla inferocita contro il re, diversi membri
della corte furono ammazzati, molte dame abusate. Si scatenò la caccia agli eunuchi,
considerati i maggiori responsabili perché cattivi consiglieri del re, i quali
a decine vennero massacrati. I Saraceni, che avevano le loro botteghe ed
interessi intorno al palazzo, furono costretti a lasciare le loro case e
botteghe per nascondersi nei posti più oscuri di Palermo, dove si scontrarono con i Cristiani.
Il Duca Ruggiero, primogenito del deposto re,
fu acclamato come nuovo sovrano e fatto girare a cavallo tra la folla osannante. Si aspettava solo la venuta del Bonello da Mistretta per incoronarlo re. Ma il Bonello
non arrivava e la folla, sotto l’ istigazione di personaggi di corte, ebbe tutto il tempo di elaborare l’accaduto e l’esito
della rivolta. L’anarchia che
regnava nella città di Palermo inasprì ancora di più gli animi e gli istigatori ebbero campo fertile per seminare il seme del malcontento e della delusione.
Quattro vescovi,
saggiato l’umore della folla, cominciarono a richiedere la liberazione del re:
Romualdo, arcivescovo di Palermo che scrisse poi la sua cronaca; Roberto,
arcivescovo di Messina; Giustino, vescovo di Mazara e Riccardo, vescovo di
Siracusa. E così, per un imprudente ritardo,
i rivoltosi persero il consenso popolare. A gran voce fu chiesta la liberazione
del re e la folla cominciò di nuovo ad assaltare il palazzo. I pochi congiurati
chiusi nell’edificio, realizzando che non avrebbero mai potuto difendersi e
contenere quella folla inferocita,
furono costretti a liberare il re.
Re Guglielmo, molto provato dagli avvenimenti e dalla morte
del figlioletto Ruggiero, ucciso nel tafferuglio da una freccia (qualche storico scrive che fu ucciso da un calcio del padre), non ebbe la
forza di reagire, anzi in un primo momento, si dimostrò molto comprensivo verso
i congiurati e disposti a perdonarli. Perdonò suo cugino Tancredi che si era rifugiato a Butera da Ruggero Sclavo, ma lo mandò in esilio a Costantinopoli, dove rimase fino al 1166.
Poi, la sua vendetta non si fece attendere: radunato un fortissimo esercito, diede inizio alla punizione dei ribelli. Matteo Bonello fu preso e accecato. Gli furono tagliati i tendini dei talloni in modo che non poteva più stare in piedi. Il poveretto mori in breve tempo nel suo castello di Caccamo.
Poi, la sua vendetta non si fece attendere: radunato un fortissimo esercito, diede inizio alla punizione dei ribelli. Matteo Bonello fu preso e accecato. Gli furono tagliati i tendini dei talloni in modo che non poteva più stare in piedi. Il poveretto mori in breve tempo nel suo castello di Caccamo.
Tolto di mezzo il Bonello, re Guglielmo oltrepassò lo Stretto di Messina e si diresse in
Puglia e in Calabria per punire Roberto, conte di Loritello, fuggito presso il Barbarossa, e Costanza, contessa di Taverna, che aveva appoggiato i rivoltosi. Fuggiti erano anche Gionata di Carinola e
Conza, Riccardo di Fondi, il conte di Acerra e tutti gli altri. Bari fu rasa al suolo dall’esercito
reale e la stessa sorte spettava a Salerno e alle altre città, ma queste, temendo la distruzione, si affrettarono a far
atto di sottomissione al re.
Solo quando tutte le città furono di nuovo ridotte all'obbedienza sotto
il suo controllo, il re fece ritorno a
Palermo, dove ritornò alle sue mollezze.
c.d.l
Alcuni Testi Consultati
AA. VV .– Potere,
società e popolo nell’età dei due
Guglielmi – Csns - Bari, 1981
AA. VV.– Potere,
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Bertini Carlo - I re di Napoli – Palermo, 1846
Bonaventura
Benevenuti – Rerum italico rum scriptores – Firenze, 1748
Capecelatro Francesco -
Storia del Regno di Napoli – Napoli, 1840
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Napoli. 1848
Di Blasi Giovanni E. – Storia del Regno di Sicilia – vol. 2
– Palermo, 1846
Di Costanzo Angelo – Storia del Regno di Napoli – Cosenza,
1839
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, 1817
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Palmyra, 1762
Romualdo Guarna di Salerno -
Cronica – in G. del Re: Cronisti
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Sanfilippo Pietro – Compendio della storia di Sicilia –
Palermo, 1840
Ugo Falcando – Storia - in G. del Re: Cronisti e scrittori sincroni - vol. 1 –
Napoli, 1845
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