giovedì 2 agosto 2012

La rivolta di Matteo Bonello

 Caccamo (PA) - panorama notturno - dal sito: www.fotografieitalia.it

Con l’uccisone di Majone, Matteo Bonello si fece molti nemici: tutti coloro l’Ammiraglio aveva sistemato a corte o  favorito per tenerli dalla sua parte.   
Re Guglielmo lo aveva in antipatia più di tutti, non solo perché aveva ammazzato il suo capace braccio destro, ma perché era stato acclamato e festeggiato dalla popolazione palermitana come un vero sovrano. E questo aveva suscitato la sua gelosia. 
Ad inasprire l’animo del re, ci pensavano la regina Margherita e gli eunuchi di palazzo, croce e delizia del Regno, che essendo stati parte delle trame di Majone, ora cominciavano a temere per la propria vita e la proprio posizione. 
Raccontavano al re che Majone era innocente e che era stato ingiustamente ucciso da una congiura; che la fama e l’autorità del Bonello cresceva sempre più tra i sudditi e che i baroni si sottomettevano alla sua volontà; che egli, il Bonello, si era talmente insuperbito che era possibile una nuova rivolta per spodestare lui, Guglielmo, come re e metterci il Bonello. Insomma, tutte le chiacchiere più malevoli uscivano dalle loro bocche e il debole Guglielmo cominciò a dar retta a questi suoi consiglieri. 
Non volendo ancora far imprigionare il Bonello, così acclamato dalle turbe palermitane, il re cambiò strategia. Gli mandò a dire di saldare, ora che non aveva più la protezione di Majone, la somma di sessantamila tarì, ossia cinquemila scudi, che doveva alla Curia reale. Come se non bastasse, al Bonello fu riferito che Adenolfo, camerlano di corte e uno dei maggiori collaboratori di Majone, era stato visto girare in città con uomini armati e dirigersi a casa sua.

Un campanello di allarme suonò nella mente di Matteo che capì che i giorni dei congiurati erano contati e che prima che il re eliminasse loro, loro dovevano eliminare il re. 
Mandò allora ambascerie ai baroni rivoltosi ed ordì una nuova congiura  per imprigionare il re e deporlo. Al suo posto sarebbe stato fatto re il Duca Ruggiero, figlio giovinetto di Guglielmo che,  al momento, aveva tredici anni.

I congiurati si ritrovarono tutti nel castello di Caccamo e prepararono minuziosamente la rivolta, che sarebbe iniziata al ritorno del Bonello da Mistretta, dove egli sarebbe andato per organizzare aiuti militari e vettovagliamenti in vista di una guerra. 
I maggiori congiurati furono Tancredi, conte di Lecce e futuro re, chiamato “il bastardo” perché figlio naturale di Ruggiero III di Puglia e  cugino di re Guglielmo, e Simone principe di Taranto, fratello bastardo del re,  tenuto a corte  in stato di semi-libertà fino a tarda età, per paura di pretese sulla successione al trono.

Ma le cose non andarono esattamente come era stato pianificato: uno dei congiurati ebbe l’imprudenza di raccontare ad un suo amico tutta la congiura con l’intento di tirarlo in essa. Costui andò a rapportare ogni cosa e allora fu necessario agire immediatamente, per non veder sfumare il tutto, senza aspettare il ritorno di Matteo Bonello

I congiurati, guidati da Tancredi e Simone, si diressero a palazzo per occuparlo e prendere prigioniero il re. Fu proprio grazie a Simone, cresciuto a palazzo e di cui conosceva tutti gli anfratti, che essi riuscirono ad arrivare al re e a farlo prigioniero con tutta la sua famiglia. 

La rivolta scoppiò violenta: per tre giorni il palazzo fu saccheggiato da una folla inferocita contro il re, diversi membri della corte furono ammazzati, molte dame abusate. Si scatenò la caccia agli eunuchi, considerati i maggiori responsabili perché cattivi consiglieri del re, i quali a decine vennero massacrati. I Saraceni, che avevano le loro botteghe ed interessi intorno al palazzo, furono costretti a lasciare le loro case e botteghe per nascondersi nei posti più oscuri di Palermo, dove si scontrarono con i Cristiani
Il Duca Ruggiero, primogenito del deposto re, fu acclamato come nuovo sovrano e fatto girare a cavallo tra la folla osannante. Si aspettava solo la venuta del Bonello  da Mistretta per incoronarlo re. Ma il Bonello non arrivava e la folla, sotto l’ istigazione di personaggi di corte, ebbe tutto il tempo di elaborare l’accaduto e l’esito della rivolta. L’anarchia che regnava nella città di Palermo inasprì ancora di più  gli animi e gli istigatori ebbero campo fertile per seminare il seme del malcontento e della delusione.

Quattro vescovi, saggiato l’umore della folla, cominciarono a richiedere la liberazione del re: Romualdo, arcivescovo di Palermo che scrisse poi la sua cronaca; Roberto, arcivescovo di Messina; Giustino, vescovo di Mazara e Riccardo, vescovo di Siracusa.  E così, per un imprudente ritardo, i rivoltosi persero il consenso popolare. A gran voce fu chiesta la liberazione del re  e la folla cominciò di nuovo ad assaltare il palazzo. I pochi congiurati chiusi nell’edificio, realizzando che non avrebbero mai potuto difendersi e contenere quella folla inferocita,  furono costretti a liberare il re.

Re Guglielmo, molto provato dagli avvenimenti e dalla morte del figlioletto Ruggiero, ucciso nel tafferuglio da una freccia (qualche storico scrive che fu ucciso da un calcio del padre), non ebbe la forza di reagire, anzi in un primo momento, si dimostrò molto comprensivo verso i congiurati e disposti a perdonarli. Perdonò suo cugino Tancredi che si era rifugiato a Butera da Ruggero Sclavo, ma lo mandò in esilio a Costantinopoli, dove rimase fino al 1166.
Poi, la sua vendetta non si fece attendere: radunato un fortissimo esercito, diede inizio alla punizione dei ribelli. Matteo Bonello fu preso e accecato. Gli furono tagliati i tendini dei talloni in modo che non poteva più stare in piedi. Il poveretto mori  in breve tempo nel suo castello di Caccamo. 

Tolto di mezzo il Bonello, re Guglielmo oltrepassò lo Stretto di Messina e si diresse in Puglia e in Calabria per punire Roberto, conte di Loritello, fuggito presso il Barbarossa,  e Costanza, contessa di Taverna, che aveva appoggiato i rivoltosi. Fuggiti erano anche  Gionata di Carinola e Conza, Riccardo di Fondi, il conte di Acerra e tutti gli altri. Bari fu rasa al suolo dall’esercito reale e la stessa sorte spettava a Salerno e alle altre città, ma queste, temendo la distruzione, si affrettarono a far atto di sottomissione al re. 
Solo quando tutte le città furono di nuovo ridotte all'obbedienza sotto il suo controllo, il re fece ritorno a Palermo, dove ritornò alle sue mollezze.
 c.d.l


Alcuni Testi Consultati
AA.  VV .– Potere, società  e popolo nell’età dei due Guglielmi   Csns -  Bari, 1981
AA. VV.–  Potere, società e storia tra età normanna e età sveva – Csns - Bari, 1983
Bertini Carlo -  I re di Napoli – Palermo, 1846
Bonaventura  Benevenuti – Rerum italico rum scriptores – Firenze, 1748
Capecelatro Francesco -  Storia del Regno di Napoli – Napoli, 1840
Carta Francesco – Storia del Reame delle Due Sicilie – Napoli. 1848
Di Blasi Giovanni E. – Storia del Regno di Sicilia – vol. 2 – Palermo, 1846
Di Costanzo Angelo – Storia del Regno di Napoli – Cosenza, 1839
Fazello Tommaso – Della storia di Sicilia – vol. 3 - Palermo , 1817
Fazello Tommaso – Historia di Sicilia – Venezia,  1573
Giannone Pietro – Istoria civile del Regno di Napoli –  Vol. 2 -  Palmyra,  1762
Romualdo Guarna di Salerno -  Cronica – in G. del Re:  Cronisti e scrittori sincroni- vol. 1 – Napoli, 1845
Sanfilippo Pietro – Compendio della storia di Sicilia – Palermo, 1840
Ugo Falcando – Storia - in G. del Re:  Cronisti e scrittori sincroni - vol. 1 – Napoli, 1845

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