domenica 27 maggio 2012

Turris de Garigliano e Turris ad Mare


Da Wikipedia: Turris ad Mare di Pandolfo Capodiferro prima della distruzione

Per capire  la pagina di storia carinolese che seguirà, è necessaria una piccola premessa che aiuti il lettore a fare gli opportuni collegamenti.

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Grazie alle donazioni medievali, l’Abbazia di Montecassino divenne gradualmente proprietaria di un territorio di circa ottomila ettari di terreno che, insieme ai tanti castra edificati su di essi, costituivano la Terra Sancti Benedicti (la Terra di S. Benedetto). I terreni venivano lavorati dagli stessi monaci e da contadini che prestavano annualmente un numero fisso di giornate lavorative, le angariae

Montecassino, oltre ad essere quel meraviglioso centro di cultura che tutti conosciamo, era una specie di azienda latifondista medievale che dava lavoro ad un sostanzioso numero di persone, per cui la sua influenza sul territorio era enorme. Ma le ricchezze dell'Abbazia e di tanti altri monasteri della zona e del Monte Massico, facevano gola alla colonia di Saraceni di stanza a Traetto (Minturno), i quali non perdevano occasione per attaccarla. I monaci vivevano in una situazione di continua allerta contro quella grossa banda di predoni, da cui non sapevano più come difendersi. Era una colonia di circa 40,000 Saraceni che non avevano terre da coltivare, ne sapevano coltivarle. Per sfamare una simile moltitudine di persone erano costretti a razziare e portare via tutte le scorte alimentari che potevano trovare soprattutto nelle abbazie e nei monasteri.

Ma perché una colonia di 40.000 persone si trovava a Traetto, sulle sponde del Garigliano?...

... Gli Arabi avevano occupato la Sicilia dall'827 in poi e lentamente erano sbarcati anche nel continente, dove molti signorotti li assoldavano per le loro guerricciole contro i nemici. Forti delle loro capacità guerriere, si spingevano sempre più a nord fino ad arrivare a Gaeta, nell' 870, dove era prefetto Docibile I.
Docibile fu catturato dai Saraceni e fatto prigioniero. Fu liberato dagli Amalfitani e dopo questa spiacevole avventura venne a patti con i Saraceni: non avrebbero dovuto più attaccare Gaeta.
Questo non piacque al papa Giovanni VIII che lo scomunicò e gli tolse il controllo del territorio di Traetto, dandolo a Pandolfo di Capua. 
Pandolfo vide in questa nomina l'occasione per ingrandirsi e cominciò ad attaccare Gaeta per impadronirsene. 
Docibile, a questo punto, per ritorsione contro il papa che aveva commesso un'enorme sbaglio,  fece venire da Agropoli un nutrito gruppo di Saraceni e li scatenò contro il territorio di Fondi.
Il papa, pentito della sua mossa avventata, estromise Pandolfo di Capua e ridiede il territorio di Traetto a Docibile, che confinò tutti i Saraceni lungo le rive del Garigliano per meglio tenerli sotto controllo.
Ma i Saraceni erano una moltitudine e, per sfamarsi, razziavano le scorte alimentari là dove erano sicuri di trovarle sempre: nelle abbazie e nei monasteri.

Nel X secolo, in seguito alle continue scorrerie di questi predoni che distrussero l'abazia di Montecassino, i monaci furono costretti a ritirarsi a Capua e vi rimasero una quarantina d’anni, fino a quando Papa Giovanni X, impaurito dall'avanzare verso nord dei Saraceni, organizzò una Lega Cristiana contro di loro, che erano ormai diventati una vera e propria minaccia per tutta l’Italia centro-meridionale. Da Minturno, loro roccaforte, essi si erano infatti spinti più a nord ed avevano occupato Narni e Tivoli, cadute sotto il loro dominio. Si stavano avvicinando troppo a Roma che contavano di conquistare.

 Alla Lega Cristiana aderirono tutti i condottieri del sud Italia, sia longobardi che bizantini: Landolfo I di Benevento e suo fratello Atenolfo, Giovanni I duca di Gaeta e suo figlio Docibile II, Guaimario di Salerno, Gregorio IV di Napoli e suo figlio Giovanni. Anche altri condottieri risposero all’ appello del Papa: Berengario, marchese del Friuli e re d’Italia, e l’Impero Romano d’Oriente, che mandarono le loro forze militari in supporto della Lega. Dopo varie battaglie combattute nel Lazio settentrionale ed in cui i cristiani ebbero la meglio, i Saraceni furono accerchiati nella loro roccaforte e definitivamente sconfitti nella Battaglia del Garigliano nel 915.

A ricordo di questa importante battaglia  e vittoria cristiana furono edificate due torri nel basso corso del Garigliano, le quali andarono a far parte di un esteso sistema di torri edificate lungo tutta la costa, per il controllo del mare. Oltre alla funzione di monitoraggio marittimo, le torri avevano anche quella di segnalare un pericolo alle popolazioni stanziate più all'interno mediante accensione di fuochi sulla loro sommità o segnali acustici.

La più antica, la Turris de Garigliano, si trovava sulla riva destra del fiume, nei pressi delle rovine dell’antica Minturnae, dove i viandanti sulla via Appia dovevano attraversare il fiume con una barca. La torre era infatti parte di una struttura più grande dove stanziava un corpo di guardia che aveva funzione di controllo fiscale oltre che di custodire e proteggere le barche per l'attraversamento, Questa torre fu eretta  tra il 906 e il 933  da Giovanni I, Duca di Gaeta, e da lui ricostruita dopo la battaglia e poi donata a suo figlio Docibile II, come si ritrova in un’iscrizione più tardi usata per la costruzione del Duomo di Gaeta. La torre era sotto il controllo dell’Abbazia di Montecassino e fu demolita nel 1828 per la costruzione dell’attuale ponte sul Garigliano.




La seconda torre, la Turris ad Mare,  fu edificata sulla riva sinistra del fiume dal principe Pandolfo I Capodiferro, tra il 961 e il 981,(altre fonti dicono tra il 930 e il 960), con materiale di spoglio dell’antica Minturnae. Riccardo I principe di Capua e suo figlio Giordano I la offrirono all’abate Desiderio nel 1066. L’edificazione di questa torre da parte di Pandolfo è attestata da due cippi ora murati nel campanile del duomo di Gaeta. La torre fu distrutta dalle truppe tedesche nell’ottobre del 1943 per frenare l'avanzata delle truppe di liberazione anglo-americane. 
 
Da Wikipedia: Torre di Pandolfo vista dal Garigliano

Scacciati definitivamente i Saraceni e tornati i monaci nella loro abbazia, nel 967 il principe Pandolfo concesse all’abate di Montecassino lo jus munitionis, ossia il diritto di fortificare. Grazie a questo diritto, i monaci iniziarono a riorganizzare i terreni, a ripopolare il territorio con le prime famiglie di coloni e a fortificare gli agglomerati civici; nacquero così i primi castra che occuparono tutta la valle del Garigliano. Sotto l’abate Desiderio, i possedimenti dell’abbazia cassinese  si ingrandirono ulteriormente di altri castella e si spinsero fino al mare con Suio e la Turris ad Mare di Pandolfo Capodiferro.
 c.d.l.


Bibliografia
 
Artifoni Enrico – Storia Medievale – Roma, 2003
Bloch Herbert - Montecassino in the Middle Ages – vol. 2 – Cambridge, Mass -1988
De Rosa Gabriele - Età Medievale - Bergamo, 1994
Gesualdo Erasmo – Osservazioni critiche – Napoli, 1754
Giovanni Battista Federici -  Degli antichi duchi o consoli o ipati della città di Gaeta - google books
Gurioli Enrico – Torri costiere del Mediterraneo – Milano, 2011
Kempf Friedrick – Storia della Chiesa – vol. 4 – Milano, 1972
Leone Marsicano – Cronaca di Montecassino  (cura di F. Aceto e V. Lucherini)- Milano, 2001
Penco Gregorio – Storia del monachesimo in Italia dalle origini alla fine del medioevo – Milano, 1983
Peter Partner – The Land of St.Peter: the papal State in the Middle Ages- University of California Press, 1972 
Tosti Luigi – Storia della Badia di Montecassino – Napoli, 1843


giovedì 24 maggio 2012

L' incastellamento di Carinola e il suo ruolo difensivo


Francesco Cassiano de Silva - Incastellamento di Carinola -1705

Dopo la deviazione su San Bernardo, la diocesi di Carinola,   alcuni suoi vescovi  e l’intervento sulla riapertura al culto dell’episcopio di Ventaroli, ritorno  sul tracciato storico principale per riprendere la narrazione dal punto in cui l’ho lasciata. 
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Quando si parla di "incastellamento" non ci si riferisce solo all’ edificazione di un castello nell’ambito di un territorio urbano, ma ad un fenomeno molto più complesso, che si manifestò soprattutto tra il IX e l' XI secolo. Si tratta più che altro della nascita di centri fortificati intorno ad un castello, che cambiarono notevolmente l’assetto  paesaggistico italiano. 
Con l'incastellamento scompaiono le case isolate dei piccoli proprietari, difese da palizzate di legno e  fossati,  e si fa posto ad un agglomerato urbano, più o meno grande, protetto tutt’intorno da una solida cinta muraria: il castrum.  
La necessità di fortificare gli agglomerati urbani è legata soprattutto a esigenze difensive contro le scorrerie di  bande particolarmente aggressive come gli Ungari e i Saraceni, o contro le lotte tra gli  stessi irrequieti signorotti territoriali, ma anche  al profondo bisogno di sicurezza e di protezione che circolava in un periodo storico molto turbolento e insicuro. 
Il castello diventa il simbolo visibile del potere territoriale del signore che governava sul luogo, dei suoi rapporti politici ed economici con la popolazione, ma diventa anche  il simbolo della protezione che il signore garantiva ai suoi cittadini. 
Sebbene  BizantiniLongobardi avessero già sentito l’esigenza di fortificare le loro proprietà, usando più che altro il legno come materiale, furono i Normanni a concretizzare una vera e propria opera ingegneristica di fortificazione dei centri urbani, che assunse il nome di incastellamento.”

L'incastellamento normanno è prevalentemente di matrice militare-feudale e fa della fortezza il centro di potere del signore territoriale, a cui però vanno affiancati una serie di obblighi e prestazioni militari. E’ chiaro, come già detto più volte, che una realtà estesa e complessa quale era il Regno di Sicilia aveva bisogno dell’apporto di tutti i feudatari per la sua difesa, quindi nessun conte poteva esimersi dall'offrire i propri servizi militari al re. Se al signore feudale normanno veniva concessa una notevole autonomia nella gestione del suo territorio, egli aveva comunque l'obbligo di contribuire alla difesa del Regno. 

Non esistono ancora degli studi esaurienti sul castello di Carinola o sulla Rocca di Mondragone, ma da quello che finora sappiamo, possiamo azzardare delle ipotesi in grado di chiarirci il ruolo difensivo della Contea di Carinola
Le fonti finora consultate, non primarie, dicono che il castello di Carinola fu costruito dal conte Riccardo intorno al 1134.
L’anno sembra compatibile poiché, subito dopo la costituzione del Regno di Sicilia, nel 1130, re Ruggiero diede il via ad una colossale opera di incastellamento di tutti i centri strategici per garantire al suo Regno la difesa necessaria. Da nord a sud del Regno, dalla costa tirrenica a quella adriatica, non un lembo di terra rimase senza difesa. Nel  Principato di Capua, per la sua importanza, l’opera d’incastellamento fu molto minuziosa e ogni centro fu fornito di cinta muraria e di castello. Venafro, Riardo, Castelforte, Sessa, Teano, Carinola, Francolise, Rocca di Mondragone, Castelvolturno, sono solo alcuni dei centri incastellati che, da est a ovest del Principato capuano, formavano una solida ragnatela difensiva lungo il confine settentrionale; ragnatela che si estendeva e si allargava continuamente con altri centri incastellati man mano si scendeva verso sud, quasi a formare un susseguirsi di barriere ad intreccio contro l'avanzata di un nemico molto probabile. Ma il nemico non arrivava solo da terra; poteva arrivare anche dal mare, per cui le coste venivano controllate continuamente dai centri adibiti a quella funzione, tra cui Carinola.

Il castello di Carinola sarebbe sorto su una struttura preesistente sulla quale anche i Longobardi avrebbero messo mano. Si parla di una “torre di Catilina”, una struttura romana che potrebbe essere stata un avamposto di Foro Popilio e dove avrebbe trovato rifugio Catilina nel 63 a. C., alla scoperta della famosa congiura da parte di Cicerone. Ma sebbene la tradizione orale sia spesso annuncio di storia, non possiamo ritenerla storia a pieno titolo senza il sostegno di documenti. Finora non siamo a conoscenza di documenti né di ricerche che possano provare la presenza di un avamposto romano sul luogo,  né la presenza di Catilina in esso. Tutto è da verificare.

In mancanza di documenti, anche l’incastellamento di Carinola produce solo speculazioni sul suo ruolo difensivo all’interno del Regno. Qual era esattamente il ruolo difensivo di Carinola? Ugualmente dobbiamo, per il momento, affidarci un po’all’intuito  e un po’ alle investigazioni del territorio fatte recentemente dai soci degli archeoclub di Carinola e Falciano, visto che non  esistono studi specifici sull’argomento. 

Carinola aveva il ruolo del controllo della vicinissima Appia  e quello del "monitoraggio" della costa. Lo attesta l' esistenza di una struttura normanna, a ovest di Carinola, situata subito fuori l’antica cinta muraria e su di una piccola altura, che oggi i carinolesi chiamano semplicemente “castelluccio”. La struttura altro non era che una torre di avvistamento, allora alta almeno il doppio di quanto lo sia oggi, per il continuo monitoraggio del territorio e della costa. 
Non dimentichiamo che a Minturno c’era una numerosa colonia di Saraceni e che essi vivevano attaccando e depredando chiese, monasteri e città vicine. Le loro incursioni erano tanto frequenti quanto disastrose. 
Qualora  fossero state  avvistate all’orizzonte navi saracene, Carinola aveva il compito di correre in aiuto di Mondragone dove,  sulla Rocca stanziavano permanentemente dei guerrieri.
Non dimentichiamo neanche che Mondragone era possedimento della Contea di Carinola e che quest'ultima, correndo in difesa di Mondragone, difendeva se stessa.
 
                    c.d.l


 Alcuni Testi consultati

AA. VV - Atti del 2° Congresso Nazionale di Archeologia Medievale – Firenze, 2000
Artifoni  Enrico – Storia Medievale – Roma, 1998
Cundari Cesare e Carnevali Laura (a cura di) – Carinola e il suo territorio -  Roma, 2003
Gleijeses Vittorio – Castelli in Campania – Napoli, 1977
Licinio Raffaele – Castelli medievali – Bari, 1994
Maglio Gianfranco – Lezioni di Storia medievale: Dalle origini all’anno mille –  Verona, 2004
Musca  Giosuè –Terra e uomini nel Mezzogiorno normanno-svevo -  Bari, 1987
Pugliese Carratelli Giovanni – Storia e Civiltà della Campania: il Medievo – Napoli, 1996
Ruggiero Romano – Paese Italia:  venti secoli di identità – Roma, 1997
Toubert  Pierre – Dalla terra ai castelli – Torino, 1997


domenica 6 maggio 2012

Santa Maria de Episcopio restituita ai carinolesi


Episcopio di Ventaroli - La scritta ai piedi della Vergine in trono











    Ieri, sabato 5 maggio 2012, ho avuto l'onore di fare un piccollo intervento storico durante la cerimonia di riapertura al culto della Basilica di Foro Claudio, dopo circa cinque anni di restauro. Per gli amici che non hanno potuto essere presenti, ecco l'intervento storico che possono leggere con calma.
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    Padre Michele Piccirillo, archeologo francescano di Terra Santa per chi non lo conoscesse, diceva sempre che le pietre, per essere importanti devono parlare, devono raccontare qualcosa. E per tutta la vita egli stesso è andato in cerca delle pietre che parlano, come le chiamava lui. Padre Michele amava molto questa basilica proprio perché qui le pietre parlano e raccontano la Storia, non solo la piccola storia locale, ma quella con la S maiuscola. Dalle pietre di questa basilica, inglobate nella facciata, sappiamo che essa era già piedi nel V secolo e questo ci viene confermato da documenti storici della Chiesa. Prima del 499 era infatti vescovo di Foro Claudio GAUDENZIO, che si sottoscrisse al concilio romano di Papa Felice. Nel 499  e 500 era invece vescovo COLONO o COLONIO, che intervenne al primo e al secondo sinodo di papa Simmaco. Non abbiamo informazioni per qualche secolo e saltiamo direttamente al 1071, anno in cui era vescovo GIOVANNI   che intervenne alla consacrazione della chiesa di Montecassino. Giovanni fu il diretto predecessore di San Bernardo.

  Ma un pezzo di storia importantissimo è celato nella grande scritta presente ai piedi della Madonna, nell’abside. La scritta, ricostruita nelle parti mancanti dal dott. Ugo Zannini,  è divisa in due parti. La prima è un’invocazione allo Spirito: SPIRITUS IN CELIS NOS QUESUMUS UT TUEARIS - Lo Spirito in cielo noi invochiamo affinché ci protegga. La seconda parte è una supplica di intercessione alla Vergine affinché Pietro non sia  rinchiuso in un carcere buio: VIRGO, PREBE PETRO NON CLAUDI IN CARCERE TETRO - Vergine, fa che Pietro non sia rinchiuso in un carcere tenebroso.

      Questa scritta è molto intrigante: chi è questo personaggio di nome PIETRO che ha meritato una scritta così centrale nell’abside? Doveva essere sicuramente un personaggio molto importante e molto conosciuto.  Io credo di aver trovato chi è il Pietro citato nella scritta, ma è chiaramente ancora un’ipotesi di ricerca che va verificata, anche se sono convinta al 99% che sia lui. 

       Pietro, frate cistercense, fu vescovo di Carinola nella prima metà del XIII secolo (1200),  in un periodo molto critico della storia europea; il periodo in cui si svolgeva l’aspra lotta tra i due poteri predominanti del tempo, Papato e Impero, che divise l’Italia in Guelfi e Ghibellini. Le due personalità che rappresentavano questi due poteri furono il papa Gregorio IX soprattutto, e l’imperatore e re di Sicilia Federico II

       Papa Gregorio IX  scomunicò l’imperatore per ben due volte: la prima volta nel 1227 perché Federico non aveva mantenuto la promessa di organizzare la sesta crociata. La seconda volta lo scomunicò la Domenica delle Palme del 1239 perché Federico aveva sfidato apertamente l’autorità papale, impedendo le nomine dei vescovi, cercando di sobillare la Curia romana contro il pontefice, imprigionando molti cardinali e esiliando fuori dal regno di Sicilia tutti i vescovi fedeli al papa. 

      In tutto questo c’entra anche il nostro vescovo carinolese. Pietro di Carinola fu uno dei vescovi più colpiti da Federico. L’ imperatore gli fece ammazzare il fratello, forse di nome Odoardo, mandandolo alla forca con l’accusa di alto tradimento e lui lo mandò in esilio fuori dal Regno. La notizia la troviamo nella Cronaca di Riccardo da San Germano.

      Nel 1241 l’inflessibile Gregorio IX morì e gli successe il più moderato Innocenzo IV. Ma le cose tra Papato e Impero  non cambiarono di molto, perché papa Innocenzo era determinato a difendere gli interessi della Chiesa e a riprendersi tutti i territori dello Stato Pontificio che Federico aveva sottratto. Tra uno screzio e l’altro, nel 1245  il papa convocò un  Concilio a Lione per decidere il da farsi con Federico II. E il nostro Pietro vi partecipò.

     Al Concilio di Lione, l’imperatore era rappresentato da Taddeo da Sessa, suo maggior fiduciario, il quale offrì la restituzione dei territori sottratti pur di evitare la terza scomunica che  avrebbe significato la destituzione  di Federico come imperatore. Ma papa Innocenzo non si lasciò intenerire e non accettò. Durante il Concilio, Pietro di Carinola fu l’unico vescovo che si alzò  contro l’imperatore e lo accusò di essere un eretico, di non credere né al Cristo né alla Chiesa, di avere più mogli contemporaneamente e di convivere in concubinato con donne saracene. Insomma, ne disse di tutti i colori. Le accuse di Pietro a Federico furono confermate anche da un vescovo spagnolo.  
  
      Taddeo da Sessa cercò di salvare il salvabile, accusando a sua volta Pietro di Carinola di parlare per odio personale  nei confronti dell’imperatore, ma il suo tentativo non andò in porto. Federico fu scomunicato per la terza volta e deposto come imperatore del Sacro Romano Impero. A seguito della scomunica, papa Innocenzo emanò un proclama ai sudditi imperiali dicendo che potevano considerarsi sciolti dal giuramento di fedeltà all’imperatore e potevano scegliersi un nuovo imperatore.    

     La vendetta di Federico non si fece attendere. Pietro fu arrestato e rinchiuso nella Rocca di Arce.  A MIO PARERE, A QUESTO PERIODO APPARTIENE LA FAMOSA SCRITTA DELL’ABSIDE e a questo periodo appartengono anche i tre affreschi di San Leonardo, presenti in questa basilica. Come gli esperti sanno, San Leonardo era protettore dei fabbri ferrai, ma anche dei carcerati. In questo caso, io credo che sia stato raffigurato più come protettore dei carcerati che dei fabbri e lo prova il fatto che sia stato raffigurato con i ceppi dei carcerati ben visibili tra le mani,  più che con gli arnesi del mestiere. La mia ipotesi è che questi affreschi siano stati commissionati da persone molto vicine al vescovo Pietro, forse suoi familiari o suoi confratelli o anche i fedeli di Carinola, che intendevano così assicurargli la protezione di San Leonardo. Infatti si credeva che la protezione di San Leonardo fosse così potente che bastava invocarlo perché le catene si spezzavano e le porte dei carceri si aprivano. Ed è in effetti quello che successe a Pietro. Fu liberato.   
            
   Qualche storico della Chiesa, come Ferdinando Ughelli, ritiene che Pietro morì in carcere, ma probabilmente ha fatto confusione,  uno scambio di persona, tra il vescovo di Carinola e quello di Venafro, che effettivamente  morì in carcere. Pietro fu invece nominato da Innocenzo IV  arcivescovo di Sorrento nel 1250 e lo fu  fino al 1258, quando commise una sciocchezza imperdonabile. Infatti, il 10 agosto del 1258 era a Palermo all’incoronazione di Manfredi, figlio di Federico, incoronazione che non fu riconosciuta dal nuovo papa Alessandro IV che riteneva Manfredi un usurpatore.  A seguito di questa sua presenza a Palermo, papa Alessandro privò Pietro  della dignità episcopale e lo ridusse a semplice sacerdote.  Non sappiamo ancora i motivi del comportamento di Pietro che gli attirò il castigo del papa, ma più tardi fu comunque perdonato dal papa e rimesso al suo posto come arcivescovo di Sorrento.

    Questa è il pezzo di Storia che, nella mia opinione, è raccontato da quella scritta. Come ho detto precedentemente, sono sicura al 99% che il Pietro nominato in quella scritta sia il vescovo di Carinola che partecipò al Concilio di Lione. Ma per essere sicuri bisognerebbe eliminare anche quell’un per cento di dubbio che ancora rimane. Come si potrebbe fare? Con un semplice esame epigrafico, ossia con l’esame delle lettere che compongono la scritta. Se esse appartengono al periodo svevo, che poi è un periodo storico abbastanza ristretto, anche quell’1% scompare  e si raggiunge la certezza che QUEL Pietro è proprio il vescovo di Carinola del periodo svevo. Questo ulteriore esame porterebbe la nostra basilica un gradino più in alto sulla scala dell’importanza storico-artistica.

c.d.l.