venerdì 11 gennaio 2013

Pietro di Carinola, un vescovo perseguitato

Cattedrale di Carinola - San Giovanni Battista

* aggiornato al 26 agosto 2023
* aggiornato al 19 giugno 2024



Nella basilica medievale di Ventaroli, sopra e sotto il grande affresco absidale, si snoda una scritta molto intrigante, di difficile interpretazione a causa della mancanza di documenti. Essa recita: “SPIRITUS IN CELIS NOS QUESUMUS UT TUEARIS - VIRGO, PREBE PETRO NON CLAUDI IN CARCERE TETRO – VOS HIC DEPICTI PIETATEM POSCITE CHRISTI”

O Spirito nei cieli noi ti preghiamo affinché tu ci protegga. O Vergine, concedi a Pietro di non essere rinchiuso in un tetro carcere. Voi qui raffigurati implorate la pietà di Cristo.

I versi leonini (rima sullo stesso verso) ci rimando al XIII secolo, ma chi era questo Pietro citato nella scritta e quale difficile situazione stava vivendo? Doveva essere un personaggio molto importante se meritò un’iscrizione così accorata nell’abside centrale dell’Episcopio. Qualcuno pensava potesse essere un conte di Carinola, ma l’unico Pietro conte di Carinola, longobardo, della famiglia di Landone, è documentato nel 1065. Non c’è concordanza con l’affresco che invece risale alla prima metà del XIII secolo.

Ebbene, ho impiegato 10 anni e più a ricercare in testi antichi, pergamene, cronache medievali e documenti vari, ma alla fine sono riuscita a fare un quadro abbastanza veritiero di questo personaggio così importante.

Pietro fu semplicemente il vescovo di Carinola dal 1239 circa al 1252 e visse sulla propria pelle, e forse anche per sua causa, la difficile situazione che animava l’Italia nella prima metà del XIII secolo, ossia l’aspra lotta tra Papato e Impero, che vide protagonisti vari papi e Federico II e che divise il paese in Guelfi e Ghibellini.
 
Nell’elenco dei vescovi d’Italia approntato nel XIX secolo da Giuseppe Cappelletti, studioso di Storia della Chiesa, Pietro di Carinola viene citato semplicemente come anonimous il cui nome inizia con la lettera P. Perché questo anonimato?

Perché Pietro era stato nominato vescovo di Carinola da Federico II, come per quasi tutti i vescovi del Regno di Sicilia, e non da papa Gregorio IX. Tutti i vescovi nominati dall’imperatore non venivano riconosciuti dal papa e venivano registrati semplicemente come anonimous, condannandoli all’oblio perpetuo.

È quello che è successo al nostro vescovo Pietro.

Le notizie su di lui, riportate da vari storici del passato, si confondono e si accavallano con quelle di altri vescovi con cui viene scambiato ma, alla fine, mi è stato possibile fare un quadro abbastanza veritiero di questo vescovo calinense, grazie anche all’aiuto dello studioso Francesco Capecelatro, storico aversano del XVI-XVII secolo, che molto ha parlato della sua vicenda, e di Hubert Houben che lo cita nel suo testo “I cistercensi nel mezzogiorno d’Italia”.

Pietro di Carinola, era dunque monaco cistercense proveniente dall'Abazia S, Maria della Ferraria di Vairano Patenora, in cui era probabilmente abate. Da Federico II fu fatto vescovo di Carinola in un periodo che va dal 1233 al 1239, ma poi qualcosa cambiò nella vita di questo prelato e si schierò dalla parte del papa, abbandonando Federico II. Il voltafaccia all’imperatore e la neo fedeltà al papa costò a Pietro dapprima il carcere nella Rocca di Arce e poi l’esilio, oltre alla persecuzione della sua famiglia e la confisca dei beni. Suo fratello, probabilmente di nome Odoardo, fu perseguitato e impiccato per alto tradimento. Questo fa pensare che nel tradimento nei confronti dell’imperatore fosse coinvolta l’intera famiglia del vescovo.
La grave situazione politica che interessò i rapporti tra Impero e Papato portò al Concilio di Lione del 1245, indetto dal nuovo papa Innocenzo IV che, tra le altre cose, intese stabilire cosa fare con quell’imperatore così “ribelle” che non ubbidiva al papa e usurpava tutti i beni della Chiesa.

Durante il Concilio, molto illegale, il vescovo Pietro non perse l’occasione di vendicarsi di Federico II. Si alzò in piedi, unico a farlo, e cominciò a raccontare i moltissimi errori dell'imperatore, sottolineando che egli, l'imperatore, non credeva né a Dio né ai Santi; che viveva in concubinato con più donne; che favoriva i Saraceni con le cui donne peccava di lussuria; che faceva sempre sue le parole di Averroè, filosofo arabo del tempo, il quale asseriva che tre persone avevano ingannato tutto il mondo: Gesù Cristo i Cristiani, Mosè gli Ebrei e Maometto gli Arabi. Dopo l'intervento del vescovo di Carinola, anche un arcivescovo spagnolo confermò tutte le accuse fatte dal suo confratello, aggiungendone anche altre.

A difesa di Federico si alzò solo l'inviato imperiale Taddeo da Sessa, presente al Concilio insieme a Pier delle Vigne, il quale accusò a sua volta il vescovo di Carinola, dicendogli che non per zelo o per giustizia parlava così contro il re, ma per odio particolare, essendo stati, lui e suo fratello, convenientemente puniti dal re per i loro delitti. Quindi pregò il Pontefice di rimandare per la terza volta il Concilio, perché Federico, ormai giunto a Torino, sarebbe venuto di persona a difendersi dalle ingiuste accuse. Pier delle Vigne, a differenza dell'ardente difesa di Taddeo da Sessa, non proferì parola a favore del suo re e non si lasciò impegolare nella sua difesa. In seguito a questa mancata difesa del suo signore, Pier delle Vigne perse i favori e la fiducia di Federico, che cominciò a sospettarlo di tradimento. Come se non bastasse, il conte di Caserta e signore di Carinola Riccardo rivelò al re che Pier delle Vigne era invischiato in una congiura contro di lui. L'esito di questa triste storia per Pier delle Vigne lo conosciamo grazie al Canto XIII dell'Inferno nella Divina Commedia di Dante Alighieri, ma la verità della sua innocenza o della sua colpevolezza non è mai stata soddisfatta.

Il Pontefice diede retta a Taddeo da Sessa e rimandò il Concilio di altre due settimane, con la speranza che Federico, citato come reo, venisse a riconoscere i suoi errori e a riappacificarsi con lui. Ma Federico, non riconoscendo legale il Concilio e non riconoscendosi colpevole di nulla, non si presentò. Allora, radunati di nuovo i prelati, il Papa pronunciò la sentenza contro Federico: lo scomunicò per la terza volta e lo depose, privandolo dell’Impero e di tutti gli altri suoi Stati per sospetto di eresia, spergiuro, nemico e persecutore della Chiesa e sciogliendo i sudditi dal giuramento di fedeltà all’imperatore.

Dopo il Concilio, la lotta tra Papato e Impero continuò dura e aspra fino alla morte di Federico, avvenuta improvvisamente nel 1250 a Fiorentino di Puglia, non senza il sospetto che egli fosse stato avvelenato o soffocato da suo figlio, spinto a questo dal Pontefice, come lasciano intendere le cronache guelfe del tempo. Quanto possano essere però attendibili le cronache dei nemici dell'imperatore, è tutto da dimostrare. Cosa accadde invece al vescovo di Carinola lo recuperiamo in vari testi antichi.

Dal 1252 ritroviamo Pietro a Sorrento come arcivescovo; sicuramente il pontefice intese premiarlo della sua fedeltà alla Chiesa e delle persecuzioni subite per volere di Federico. Ma sembra che il nostro vescovo non avesse imparato la lezione perché lo ritroviamo a Palermo nel 1258, insieme all’abate di Montecassino, dove fu uno dei quattro vescovi a consacrare Manfredi, figlio di Federico II, re di Sicilia. Tale elezione non venne riconosciuta dal papa Alessandro IV che riteneva Manfredi un usurpatore ai danni di Corradino, ritenuto il vero erede al trono di Sicilia.
La presenza del Vescovo di Carinola e dell’abate di Montecassino all’incoronazione di Manfredi non piacque al papa che li rimosse entrambi dalle loro chiese. Questa punizione dovette essere comunque temporanea perché Pietro fu assolto dalla sua colpa dal nuovo papa Clemente IV e rimesso al governo della sua diocesi, poiché nei registri, che si conservano nel Grande Archivio del Regno si trova, che ai 28 Marzo e 3 giugno del 1270 XlII indizione, egli era ancora Arcivescovo di Sorrento.

La vicenda di Pietro di Carinola è molto emblematica: è quella di un uomo in balia degli eventi storici che riesce persino a dominare, per quel che gli è possibile, diventandone egli stesso protagonista, ma poi viene ripreso dalla forza vorticosa degli eventi.
L' ovvia domanda che ne deriva e a cui è difficile dare una risposta è: sono gli uomini a fare la Storia o è la Storia a fare gli uomini? Qualunque possa essere la risposta che ognuno elabora, la verità per noi carinolesi è una e lampante: questa drammatica e complessa vicenda storica di uomini medievali è stata per sempre fermata sui muri dell’Episcopio di Ventaroli e noi, uomini di oggi, abbiamo il dovere di esserne i custodi per riconsegnarla intatta agli uomini di domani.

cdl

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 Alcuni testi consultati

 
Camera Matteo – Annali delle Due Sicilie – Napoli, 1841-
Capasso Bartolo – Memorie storiche della Chiesa sorrentina – Napoli, 1834
Capecelatro Francesco – Storia del Regno di Napoli – Napoli, 1840
Hubert Huben e Vetere Benedetto ( a cura di)  I cistercensi nel Mezzogiorno medievale - Lecce, 1994
Riccardo da San Germano – Cronica – Cassino, 1995
Tanner Norman P. – I Concili della Chiesa – Milano, 1999

2 commenti:

  1. Sto cercando di sapere se effettivamente l'Arcivescovo Pietro (ex Vescovo di Carinola) venne assolto da Clemente IV (non trovo la Bolla di assoluzione) e quando. E inoltre chi disse che morì nel 1270?
    Grazie per l'aiuto
    F. Sepe
    Roma

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    1. Le notizie che cerchi non sono certe, ma le puoi trovare nel libro di Bartolo Capasso da me citato. Te ne aggiungo il pezzo:

      VI. PIETRO II.

      1252-127....

      Era costui Vescevo di Carinola allorchè da Innocenzo IV nel 1250 (Ugh, in Carin.) fu trasferito alla sede Arcivescovile di Sorrento. Con lettera del 1 Aprile 1252 anno IX del suo Pontificato egli lo raccomanda al Capitolo Sorrentino. In seguito essendo il nostro Arcivescovo intervenuto con altri dieci Vescovi del Regno alla coronazione di Manfredi fu dal Papa Alessandro IV scomunicato e deposto dalla sede Arcivescovile, come asserisce l'Ughelli citando il Durando p. 3. Speculum tit. de accusat etc. La qual sentenza fu confermata poi da Clemente IV nel secondo anno del suo Pontificato.

      Secondo un documento dell'Archivio di Girgenti riferito dal Pirro (Sic sac. p. 701) l'Arcivescovo di Sorrento, e l'Abate di Montecassino furono per un tal fatto soltanto amossi dal regime delle loro Chiese, mentre chè il vescovo di Girgenti fu scomunicato e deposto. Degli altri Prelati intervenuti, che ivi si nominano, cioè del Salernitano, del Tarantino, e di quello di Monreale si dice, che si

      presentarono personalmente al Papa nel termine prefisso per essere giudicati. Pare però che in fine Pietro fosse dal Papa assoluto, e rimesso al governo della sua Chiesa (1), imperochè nei registri, che si conservano nel Grande Archivio del Regno si trova, che ai 28 Marzo, e 3 giugno del 1270 XlII indizione esso era tuttora Arcivescovo di Sorrento. (2)

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