Mortte di Manfredi - miniatura |
Prima di affrontare la seconda parte di questo impegnativo articolo, è bene riassumere qualche fondamentale notizia storica per una miglior comprensione. Due sono i ragguagli storici che bisogna tener presente:
- Grazie alle donazioni medievali, il Patrimonium Petri (Regno della Chiesa, poi Stato Pontificio) era diventato un vastissimo territorio la cui parte settentrionale era governata direttamente dalla Curia papale, mentre quella meridionale (Regno di Sicilia) fu concessa “in feudo” prima a Roberto il Guiscardo e poi a tutti i re normanno-svevi che della chiesa erano vassalli. Lo stesso Federico II, che tanti problemi aveva dato al Papato, era stato fatto re e imperatore con il consenso papale. Manfredi fu invece ritenuto un “usurpatore” perché nel 1258, facendosi incoronare re di Sicilia senza il consenso papale, si era impadronito di un territorio non suo, ma della Chiesa.
- - La forza fondamentale del Regno di Sicilia era costituita dai baroni: erano loro che fornivano al re uomini, armi e cavalli per le continue guerre da sostenere. E i baroni, consci della loro forza, accampavano continue pretese per accrescere sempre più il loro potere, a volte fino a superare quello del re stesso. La grandezza di Federico II sta anche nel fatto che era riuscito ad arginare il loro potere, accentrandolo tutto nelle sue mani.
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u Quando nel 1251 Corrado scese nel Regno di Sicilia, per avere i baroni dalla sua parte, restituì loro tutti i privilegi che suo padre, Federico II, aveva loro tolto. Anche in seguito, quando era gravemente ammalato di febbri malariche, Corrado non rispettò il volere di suo padre e nominò reggente del trono di Sicilia per suo figlio Corradino il barone tedesco Bertoldo di Hohenburg invece di suo fratello Manfredi. Questo decisione causò chiaramente una divisione tra Manfredi e Bertoldo, la quale creò non pochi problemi alla causa sveva. Alla morte di Corrado, la situazione politica del Regno non era ben definita e i baroni, per il timore di perdere i loro beni e i loro privilegi, passarono in massa dalla parte del Papato che quei beni e privilegi li aveva confermati tutti. Il Morghen vede in questo passaggio generale al Papato soprattutto una reazione all’aspra lotta tra i Lancia, familiari e sostenitori di Manfredi, e gli Hohenburg che non volevano perdere la posizione raggiunta.
Ma Manfredi non mirava alla reggenza; mirava al Regno. Non poteva e non voleva permettere che il suo amato Regno di Sicilia, in cui era nato e cresciuto e di cui si riteneva un’ intima parte, andasse a finire nelle mani di un avido ed insensibile barone tedesco, o di suo nipote, che nulla poteva sapere delle problematica e degli elementi distintivi del Regno.
Ma Manfredi non mirava alla reggenza; mirava al Regno. Non poteva e non voleva permettere che il suo amato Regno di Sicilia, in cui era nato e cresciuto e di cui si riteneva un’ intima parte, andasse a finire nelle mani di un avido ed insensibile barone tedesco, o di suo nipote, che nulla poteva sapere delle problematica e degli elementi distintivi del Regno.
Con l’aiuto dei suoi zii, Galvano e Federico Lancia, Manfredi si diede a preparare la riconquista del Regno. Egli capì due cose fondamentali: 1) che doveva riappacificarsi con il Papa, neutralizzando così il nemico numero uno; 2) che doveva riconquistare alla sua causa tutti i baroni del Regno per avere la forza militare di cui aveva bisogno. I tentativi di riavvicinamento al Papato fallirono per il rifiuto del papa, ma Manfredi, cominciando dalla fedelissima colonia saracena di Lucera, riuscì a riconquistare alla sua fedeltà, ad una ad una, tutte le contee nonostante le forti opposizioni di potenti baroni, quali Pietro Ruffo di Calabria, che era stato nominato da Corrado vicario di Calabria e di Sicilia, e che era passato poi al Papato alla morte di Corrado. Per la cronaca, Manfredi privò Pietro di tutti i suoi beni,costringendolo all’esilio dove, a Terracina, lo fece assassinare.
Nel 1258, sparsa la falsa notizia della morte di suo nipote Corradino, Manfredi fu incoronato re di Sicilia a Palermo. Inutile dire che papa Alessandro IV non riconobbe l’incoronazione e ritenne Manfredi un usurpatore. Ma la potenza di Manfredi cresceva sempre più, tanto che i Ghibellini di tutta la penisola lo riconobbero loro indiscusso capo. E Manfredi non deluse nessuno, correndo col suo esercito dovunque si combattesse contro i Guelfi. La vittoria di Montaperti, eternata da Dante con i suoi versi, fu opera di Manfredi che divenne così signore assoluto di Firenze e tutti i ghibellini gli resero giuramento di fedeltà. Dopo la vittoria, il papa scomunicò tutti i sostenitori di Manfredi in Toscana, come già aveva scomunicato lo stesso Manfredi nel 1254.
Il crescente potere di Manfredi spaventò papa Alessandro IV che tentò di correre ai ripari, cercando di trascinare inutilmente in una guerra contro gli Hohenstaufen dapprima il re d’Inghilterra e poi quello di Norvegia. La stessa Roma era diventata ghibellina nel 1257 in seguito ai maneggi del ghibellino Brancaleone degli Andalò, senatore e capitano del popolo, e il papa era stato costretto a rifugiarsi a Viterbo dove morì nel 1261.
Il suo successore, Urbano IV, per nulla più docile verso la casata sveva, contattò invece Carlo I d’Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX , offrendogli il trono di Sicilia per liberarsi definitivamente degli svevi e ristabilire il potere guelfo. Carlo, descritto dai cronisti del tempo come uomo crudele ed avido, accettò la proposta. Il papa rinnovò quindi la scomunica a Manfredi e lo dichiarò decaduto dal trono di Sicilia, costringendolo ad una dura reazione: azioni militari volte a catturare ed imprigionare il Papa. Urbano fu costretto a fuggire a Perugia da cui scrisse a Carlo d’Angiò invitandolo ad intervenire al più presto.
La storia ufficiale è nota: la venuta di Carlo I d’Angiò preparò la definitiva sconfitta di Manfredi nella tragica battaglia di Benevento, avvenuta il 26 febbraio del 1266. La perdita delle alleanze ghibelline nell’Italia centro-settentrionale furono fatali per lo svevo perché già da allora, come dice il Morghen, i baroni meridionali cominciarono a pensare di tradirlo. Infatti, l’esercito di Carlo si ingrossò dei guelfi sconfitti a Montaperti e a cui erano stati tolti tutti i beni, oltre a tanti ghibellini che passarono dalla parte del francese perché corrotti dal suo denaro e dalle sue promesse.
Il primo dei baroni meridionali a tradire Manfredi, sempre secondo il Morghen, fu proprio suo cognato Riccardo, conte di Caserta e signore di Carinola, che non solo fece passare i francesi al passo di Ceprano di cui egli aveva il comando della guardia, ma lo abbandonò anche sul campo di battaglia, voltandogli le spalle. Il suo esempio fu seguito da tantissimi altri baroni e il tradimento causò la discesa in campo di Manfredi stesso, il quale volle “morire da re e non vivere da miserabile”, secondo le sue stesse parole.
Questa, in maniera molto stringata, è la storia ufficiale che generò quel mirabile e infamante verso di Dante nel canto XXVIII dell’Inferno "…a Ceperan, là dove fu bugiardo ciascun Pugliese”, (Pugliesi erano chiamati tutti i sudditi del Regno di Sicilia della parte continentale o, se vogliamo dirla con le parole di allora, al di qua del Faro).
Ma come ben sappiamo, la storia viene scritta dai vincitori, che non sempre rispettano l’obiettività della verità storica. C’è quasi sempre una seconda verità, un dubbio, un punto controverso, capace di illuminare le cose con luce diversa. Lo vedremo al prossimo articolo.
cdl
Alcuni testi consultati:
Bergher
E. – Les Registres d’Innocent IV –
vol. II –Paris, 1887
Cafaro
Pasquale – Se i Pugliesi furono bugiardi
a Ceprano – studio in pdf
Capasso
Bartolommeo – Historia diplomatica Regni
Siciliae – Battipaglia (SA), 2009 (ristampa)
Colasanti G. – Il
passo di Ceprano sotto gli ultimi Hohenstaufen (1912) – Ceprano, 2003
(ristampa)
Del
Giudice Giuseppe - La famiglia di re Manfredi - Napoli, 1880
Di
Cesare Giuseppe – Storia di Manfredi re di Sicilia e di Puglia – vol. 1 –
Napoli, 1837
Jamsilla
Nicolaus - Historia de
rebus gestis Friderici II imperatoris, in L.A. Muratori in Rerum. Italicarum Scriptores, vol. VIII, Mediolani 1726,
Malaspina
Saba – Rerum
Sicularum Historia (1250-1285), in G. Del Re, Cronisti
e scrittori sincroni napoletani, II,Cronisti e scrittori sincroni
della dominazione normanna nel Regno di Puglia e di Sicilia, Napoli 1868
Malespini Ricordano – Istoria Fiorentina coll’aggiunta di
Giachetto Malespini e la Cronica di Giovanni Morelli – Firenze, 1718
(ristampa)
Morghen
Raffaello – Il tramonto della potenza
sveva in Italia -1250-1266 -
Milano-Roma, 1930
Muratori
Ludovico A. – Rerum italica rum
scriptores – volumi vari – Milano
Villani
Giovanni – Nuova Cronica – Tomo I -
Firenze, 1844 (ristampa)
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