Gustave Dorè - Illustrazione del canto terzo del Purgatorio - Dante incontra Manfredi |
La tragica vicenda di re Manfredi, caduto nella battaglia di Benevento del 1266, ha
bollato per sempre i baroni meridionali come traditori; come coloro che lo
abbandonarono sul campo di battaglia, primo fra tutto Riccardo di Caserta e
signore di Carinola che di Manfredi era cognato.
Ma le cose andarono proprio come raccontano i cronisti del tempo? C’è un margine di dubbio su come effettivamente siano andate le cose e che possa scagionare i baroni del Regno dall’ infamante accusa?
Ma le cose andarono proprio come raccontano i cronisti del tempo? C’è un margine di dubbio su come effettivamente siano andate le cose e che possa scagionare i baroni del Regno dall’ infamante accusa?
Uno studio del 1952 molto interessante, custodito presso l’Archivio Storico Pugliese, ce lo
fornisce Pasquale Cafaro, che sviscera e analizza
l'episodio alla luce di nuove conoscenze e nuove ricerche, superando la disonorevole
posizione storica in cui i baroni, soprattutto Riccardo di Caserta, sono stati collocati
e dimostrando che le cose non andarono affatto così come ci sono state
raccontate dai cronisti medievali. Le bugie raccontateci dai cronisti del
tempo, tutti guelfi, sono state abbondantemente spazzate via da una severa
analisi moderna che ridà all’ avvenimento una dimensione più veritiera.
I primi cronisti che scrissero la
cronaca riguardante la fine di Manfredi e del periodo svevo furono Ricordano Malespini (1220-1290),
cronista di parte guelfa, e Saba Malaspina (stessa casata di
Ricordano) vescovo e storico, anch'egli di parte guelfa, ma espositore dei fatti
molto più obiettivo del suo parente.
Sulle notizie riportate dai due, Giovanni
Villani impiantò la sua Nova
Cronica, a cui attinsero gli storici posteriori ed anche Dante Alighieri per la sua Commedia.
Come raccontano i Malaspina,
quando Carlo d’Angiò si preparò ad invadere il Regno di Sicilia, lo fece dal
passo di Ceprano, attraversando il ponte sul Liri. Essendo il passo una delle
uniche due vie d’accesso al Regno, Carlo lo temeva perché lo riteneva ben
presidiato. Invece lo trovò sprovvisto di guarnigioni e poté passare
liberamente, dirigendosi verso Benevento. Questa mancanza di presidio in un luogo
d’accesso cosi importante fece nascere la storia del tradimento di Riccardo di
Caserta a cui era affidato il comando della guardia del passo. Per giustificare il tradimento del conte
casertano, Giovanni Villani inventa una brutta storia di amore incestuoso tra
Manfredi e sua sorella Violante, moglie di Riccardo, proprio nel momento in cui Riccardo era
impegnato a combattere per la difesa del
Regno. Avvertito della cosa, Riccardo si vendicò del cognato, lasciandogli il
passo incustodito e permettendo al d’Angiò l’entrata nel Regno.
A parte il fatto che è alquanto improbabile che, in momento così tragico per il suo Regno, Manfredi pensasse a soddisfare le sue lussurie e per di più con la sua sorellastra, inoltre il Villani non
considerò o non sapeva che Violante era già morta da diversi anni e che
Riccardo si era risposato nel 1261 con Gherardesca
del Duca.
Fole pretestuose quelle del Villani che però facevano molto effetto sulla gente del tempo e perciò venivano usate spesso. Storie simili le ritroviamo di nuovo due secoli dopo a giustificare il tradimento di Marino Marzano nei riguardi di Ferrante d’Aragona, così come le ritroviamo anche in Inghilterra per giustificare l’assassinio di Anna Bolena voluto da suo marito Enrico VIII.
D’altra parte, i cronisti guelfi non avevano mano leggera con Manfredi. Pur di metterlo in cattiva luce ne dicevano di tutti i colori contro di lui che, invece, era considerato dagli storici e dai letterati un vero esempio di cavalier cortese. Lo avevano già accusato di aver soffocato con un cuscino il padre morente, Federico II, e di aver velocizzato la morte del fratellastro Corrado, pur di impadronirsi del Regno. Ora lo accusavano di nuovo di un' azione tra le più orribili.
Fole pretestuose quelle del Villani che però facevano molto effetto sulla gente del tempo e perciò venivano usate spesso. Storie simili le ritroviamo di nuovo due secoli dopo a giustificare il tradimento di Marino Marzano nei riguardi di Ferrante d’Aragona, così come le ritroviamo anche in Inghilterra per giustificare l’assassinio di Anna Bolena voluto da suo marito Enrico VIII.
D’altra parte, i cronisti guelfi non avevano mano leggera con Manfredi. Pur di metterlo in cattiva luce ne dicevano di tutti i colori contro di lui che, invece, era considerato dagli storici e dai letterati un vero esempio di cavalier cortese. Lo avevano già accusato di aver soffocato con un cuscino il padre morente, Federico II, e di aver velocizzato la morte del fratellastro Corrado, pur di impadronirsi del Regno. Ora lo accusavano di nuovo di un' azione tra le più orribili.
Sulla sconfitta di Manfredi a Benevento, Ricordano Malespini insiste sul
tradimento di Riccardo di Caserta, che lasciò incustodito il ponte e abbandonò il campo di battaglia. In realtà, quando Carlo d’Angiò entrò nel
Regno, il “traditore” Riccardo era a difendere San Germano insieme a Giordano d’Anglona, ma i due non ci riuscirono perché le loro forze erano inferiori a quelle dell’angioino, che riuscì a prendere sia San Germano
che Rocca d’Arce.
Cosa era dunque successo? Perché
le forze sveve non erano all’altezza di quelle dell’angioino?
Due erano allora le strade
d’accesso al Regno: la prima più a ovest, era quella ai piedi dei monti Lepini e Aurunci, e che lungo Sezze e Priverno (la
zona dell’Appia era completamente impaludata) portava a Capua; la seconda,
più all’interno, era quella che immetteva nel Regno a Ceprano e che, lungo la
valle del Liri prima e del Volturno poi, portava a Benevento. Manfredi, non
sapendo quali delle due strade avrebbe preso l’angioino, divise le sue forze tra
Capua e Benevento.
Il più credibile Saba Malaspina, nella sua cronaca, afferma che Manfredi lasciò incustodito il passo di Ceprano di proposito, per poter attirare il nemico in campo aperto e poter colpire “l’uccello che da se stesso era venuto a mettersi in gabbia”(1), secondo l’espressione dello stesso Manfredi.
La conferma di quest’azione strategica la troviamo anche negli Annali Genovesi, negli Annali Piacentini Ghibellini e in altre cronache del tempo, come ci dice il Cafaro, ma in nessuna di queste cronache si parla di un tradimento.
Il più credibile Saba Malaspina, nella sua cronaca, afferma che Manfredi lasciò incustodito il passo di Ceprano di proposito, per poter attirare il nemico in campo aperto e poter colpire “l’uccello che da se stesso era venuto a mettersi in gabbia”(1), secondo l’espressione dello stesso Manfredi.
La conferma di quest’azione strategica la troviamo anche negli Annali Genovesi, negli Annali Piacentini Ghibellini e in altre cronache del tempo, come ci dice il Cafaro, ma in nessuna di queste cronache si parla di un tradimento.
La Cronaca
d’Asti e gli Annali di Modena ci parlano di una piccola schermaglia sul ponte sul Liri, ma ancora una volta
non si parla di tradimento, isolando così l’affermazione del Malespini e quella
di Villani che da lui attinse. E’ ancora il Cafaro che scrive, “…il Burman nella Descrizione della vittoria di Carlo I, non fa alcun cenno di difesa
del passo di Ceprano, molto meno di tradimento, che avrebbe certamente messo in
evidenza, se ci fosse stato, per più
vituperare il nemico vinto” (Cafaro, pag. 245).
Anche l’accusa fatta dal
Villani al conte di Caserta cade. Secondo il Villani, Riccardo, dopo il
tradimento si ritirò nei suoi possessi e non lo si vide più. Lui stesso cade
però in contraddizione quando ripresenta Riccardo il 10 febbraio ancora fuggiasco a
San Germano. Ma a dare il colpo di grazia alla sua bugia ci pensa una lettera
di papa Clemente IV del 25 marzo
1266, scritta al cardinale di S. Adriano, in cui si raccontano le operazioni militari
di Carlo (Capasso, pag. 240 ). Nella
lettera il papa cita il conte Riccardo al comando della fortezza caduta il 12
febbraio 1266 (2 ), e dice ancora che, dopo la battaglia di Benevento, il conte
di Caserta e il conte d’Aquino, i due cognati di Manfredi, “pacem cum rege fecerunt”. Fecero la pace con il re Carlo d'Angiò dopo la battaglia
di Benevento, quando Manfredi era già morto e la causa sveva perduta, non
prima!
Ma cosa avvenne dunque a Benevento?
Caduta San Gemano nelle mani di Carlo I, Manfredi si
portò nella piana di Benevento dove attese il nemico in campo aperto, ma gli
arcieri saraceni furono subito sbaragliati e, al sopraggiungere della cavalleria sveva, i
francesi, non tenendo conto delle norme
di guerra, colpirono al ventre i cavalli, facendo cadere i cavalieri che
furono uccisi ad uno ad uno. Il terzo scaglione svevo, costituito dalle milizie
feudali al comando dei baroni pugliesi, non intervenne nel combattimento. Perché? Secondo un’accurata e verosimile ricostruzione della
battaglia, quando Manfredi si rese conto che tutto era perduto nel rapido
scontro, si gettò nella mischia pronunciando le famose parole: malo
hodie mori rex in acie quam vivere exul et calamitosus, (meglio morire oggi da
re in combattimento che vivere esule e miserabile).
Il terzo scaglione
non volle o non poté intervenire nel combattimento perché già accerchiato dai francesi? Probabilmente ritenne inutile intervenire in una battaglia già definita per la rapida morte di re Manfredi E questo mancato intervento da parte dei baroni ha
fatto nascere nei cronisti il sospetto del tradimento.
Ma tre giorni dopo, quando infine si trovò il cadavere di Manfredi e fu portato nella tenda di Carlo, a
riconoscerlo furono chiamati proprio Riccardo di Caserta e Giordano d’Anglona
che erano tenuti, come scrive il Morghen, in stato di “prigionieri” e non in condizione
di “fedeli di Carlo” come questi scriverà al papa. Nel riconoscere il cadavere
del loro re, scrive Saba Malaspina, i due baroni si piegarono in accorato pianto. I due
chiesero poi a Carlo di concedere a Manfredi onorata sepoltura, come si conveniva ad un re morto da eroe, e Carlo rispose
che non poteva far seppellire il corpo di uno scomunicato in luogo santo. Lo
fece però seppellire nei presi del ponte di Benevento e tutti i soldati,
vincitori e vinti, onorarono il caduto re, mettendo sulla sua sepoltura un
sasso, dando origine cosi alla “grave mora”, il pesante mucchio di pietre, di
cui parla Dante nel terzo canto del Purgatorio.
Finì così l’avventura umana di
re Manfredi che anche da morto fu oggetto della rancorosa politica guelfa. Papa Clemente IV, per il timore che la sua tomba diventasse meta di pellegrinaggio ghibellino e ne mantenesse viva la fiamma, ordinò che i resti di Manfredi fossero rimossi e sepolti fuori dal Regno, si pensa lungo il Liri. Ma anche su questa ipotesi c'è molto da discutere.
E finì anche l’avventura umana di Riccardo di Caserta, primo sospettato, che morì di crepacuore pochi mesi dopo. La storia, per ora, non è in grado di dirci se in Riccardo avesse realmente attecchito l’onta del tradimento o se egli fosse solo la principale vittima dei cronisti di parte guelfa, fatto è che la sua casata, con l'arrivo in Italia di Corradino, continuò a combattere per la causa sveva fino ad essere completamente annientata.
Se un debito ci fu da parte di Riccardo verso Manfredi, quel debito fu abbondantemente pagato da suo figlio Corradello le cui gesta vedremo nel prossimo articolo.
E se tradimento ci fu, esso va imputato in primis ai ghibellini del centro-nord che, per corruzione e per convenienza, lasciarono passare l'esercito francese senza fermarlo, determinando la tragica situazione che spazzò via per sempre la casata più illuminata del Regno di Sicilia.
E finì anche l’avventura umana di Riccardo di Caserta, primo sospettato, che morì di crepacuore pochi mesi dopo. La storia, per ora, non è in grado di dirci se in Riccardo avesse realmente attecchito l’onta del tradimento o se egli fosse solo la principale vittima dei cronisti di parte guelfa, fatto è che la sua casata, con l'arrivo in Italia di Corradino, continuò a combattere per la causa sveva fino ad essere completamente annientata.
Se un debito ci fu da parte di Riccardo verso Manfredi, quel debito fu abbondantemente pagato da suo figlio Corradello le cui gesta vedremo nel prossimo articolo.
E se tradimento ci fu, esso va imputato in primis ai ghibellini del centro-nord che, per corruzione e per convenienza, lasciarono passare l'esercito francese senza fermarlo, determinando la tragica situazione che spazzò via per sempre la casata più illuminata del Regno di Sicilia.
cdl
Alcuni Testi consultati
Bergher
E. – Les Registres d’Innocent IV –
vol. II –Paris, 1887
Cafaro
Pasquale – Se i Pugliesi furono bugiardi
a Ceprano – studio in pdf
Capasso
Bartolommeo – Historia diplomatica Regni
Siciliae – Battipaglia (SA), 2009 (ristampa)
Colasanti G. – Il
passo di Ceprano sotto gli ultimi Hohenstaufen (1912) – Ceprano, 2003
(ristampa)
Del
Giudice Giuseppe - La famiglia di re Manfredi - Napoli, 1880
Di
Cesare Giuseppe – Storia di Manfredi re di Sicilia e di Puglia – vol. 1 –
Napoli, 1837
Jamsilla
Nicolaus - Historia de
rebus gestis Friderici II imperatoris, in L.A. Muratori in Rerum. Italicarum Scriptores, vol. VIII, Mediolani 1726,
Malaspina
Saba – Rerum
Sicularum Historia (1250-1285), in G. Del Re, Cronisti
e scrittori sincroni napoletani, II, Cronisti e scrittori sincroni
della dominazione normanna nel Regno di Puglia e di Sicilia, Napoli 1868
Malespini Ricordano – Istoria Fiorentina coll’aggiunta di
Giachetto Malespini e la Cronica di Giovanni Morelli – Firenze, 1718
(ristampa)
Morghen
Raffaello – Il tramonto della potenza
sveva in Italia -1250-1266 -
Milano-Roma
(1) velut avis in cavea!
(2)
“cum Carolus…Roccam Arcis..,obtinuisset villa S.Germani invadens, quam
Casertanus et Jordanus comitem cum multis Teutonici set Lombardi et
Saracenis munierant… manuali congressu
violenter intravit…(Capasso , Historia, pag. 317, n.520)
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