sabato 2 marzo 2013

I Pugliesi a Ceperan non furon bugiardi…



Gustave Dorè -  Illustrazione del canto terzo del Purgatorio - Dante incontra Manfredi


La tragica vicenda  di re Manfredi, caduto nella battaglia di Benevento del 1266, ha bollato per sempre i baroni meridionali come traditori; come coloro che lo abbandonarono sul campo di battaglia, primo fra tutto Riccardo di Caserta e signore di Carinola che di Manfredi era cognato.  
Ma le cose andarono proprio come raccontano i cronisti del tempo? C’è un margine di dubbio su come effettivamente siano andate le cose e che possa scagionare i baroni del Regno dall’ infamante accusa?


Uno studio del 1952 molto interessante, custodito presso l’Archivio Storico Pugliese, ce lo fornisce Pasquale Cafaro, che sviscera e analizza l'episodio  alla luce di nuove conoscenze e nuove ricerche, superando la disonorevole posizione storica in cui i baroni, soprattutto Riccardo di Caserta, sono stati collocati e dimostrando che le cose non andarono affatto così come ci sono state raccontate dai cronisti medievali. Le bugie raccontateci dai cronisti del tempo, tutti guelfi, sono state abbondantemente spazzate via da una severa analisi moderna che ridà all’ avvenimento una dimensione più veritiera.


I primi cronisti che scrissero la cronaca riguardante la fine di Manfredi e del periodo svevo furono Ricordano Malespini (1220-1290), cronista  di parte guelfa, e Saba Malaspina (stessa casata di Ricordano)  vescovo e storico, anch'egli di parte guelfa, ma espositore dei fatti molto più obiettivo  del suo parente. Sulle notizie riportate dai due, Giovanni Villani  impiantò la sua Nova Cronica, a cui attinsero gli storici posteriori ed anche Dante Alighieri per la sua Commedia.


Come raccontano i Malaspina, quando Carlo d’Angiò si preparò ad invadere il Regno di Sicilia, lo fece dal passo di Ceprano, attraversando il ponte sul Liri. Essendo il passo una delle uniche due vie d’accesso al Regno, Carlo lo temeva perché lo riteneva ben presidiato. Invece lo trovò sprovvisto di guarnigioni e poté passare liberamente, dirigendosi verso Benevento. Questa mancanza di presidio in un luogo d’accesso cosi importante fece nascere la storia del tradimento di Riccardo di Caserta a cui era affidato il comando della guardia del passo.  Per giustificare il tradimento del conte casertano, Giovanni Villani inventa una brutta storia di amore incestuoso tra Manfredi e sua sorella Violante, moglie di Riccardo, proprio nel momento in cui Riccardo era impegnato a combattere per  la difesa del Regno. Avvertito della cosa, Riccardo si vendicò del cognato, lasciandogli il passo incustodito e permettendo al d’Angiò l’entrata nel Regno. 

A parte il fatto che è alquanto improbabile che, in momento così tragico per il suo Regno, Manfredi pensasse a soddisfare le sue lussurie e per di più con la sua sorellastra, inoltre il Villani non considerò o non sapeva che Violante era già morta da diversi anni e che Riccardo si era risposato nel 1261 con Gherardesca del Duca
Fole pretestuose quelle del Villani che però facevano molto effetto sulla gente del tempo e perciò venivano usate spesso. Storie simili le ritroviamo di nuovo due secoli dopo a giustificare il tradimento di Marino Marzano nei riguardi di Ferrante d’Aragona, così come le ritroviamo anche in Inghilterra per giustificare l’assassinio di Anna Bolena voluto da suo marito Enrico VIII.  
D’altra parte, i cronisti guelfi non avevano mano leggera con  Manfredi. Pur di metterlo in cattiva luce ne dicevano di tutti i colori contro di lui che, invece, era considerato dagli storici e dai letterati un vero esempio di cavalier cortese. Lo avevano già accusato di aver soffocato con un cuscino il padre morente, Federico II, e di aver velocizzato la morte del fratellastro Corrado, pur di impadronirsi del Regno. Ora lo accusavano di nuovo di un' azione tra le più orribili.

Sulla sconfitta di Manfredi a Benevento, Ricordano Malespini insiste sul tradimento di Riccardo di Caserta, che lasciò incustodito il ponte e abbandonò il campo di battaglia. In realtà,  quando Carlo d’Angiò entrò nel Regno, il “traditore” Riccardo era a difendere San Germano  insieme a Giordano d’Anglona, ma i due non ci riuscirono perché le loro forze erano inferiori a quelle dell’angioino, che riuscì a prendere sia San Germano che Rocca d’Arce. 


Cosa era dunque successo? Perché le forze sveve non erano all’altezza di quelle dell’angioino? 


Due erano allora le strade d’accesso al Regno: la prima più a ovest, era quella ai piedi dei monti Lepini e Aurunci, e che lungo Sezze e Priverno (la zona dell’Appia era completamente impaludata) portava a Capua; la seconda, più all’interno, era quella che immetteva nel Regno a Ceprano e che, lungo la valle del Liri prima e del Volturno poi, portava a Benevento. Manfredi, non sapendo quali delle due strade avrebbe preso l’angioino, divise le sue forze tra Capua e Benevento. 

Il più credibile Saba Malaspina, nella sua cronaca, afferma che Manfredi lasciò incustodito il passo di Ceprano di proposito, per poter attirare il nemico in campo aperto e poter colpire “l’uccello che da se stesso era venuto a mettersi in gabbia”(1), secondo l’espressione dello stesso Manfredi. 

La conferma di quest’azione strategica la troviamo anche negli Annali Genovesi, negli Annali Piacentini Ghibellini e in altre cronache del tempo, come ci dice il Cafaro, ma in nessuna di queste cronache si parla di un tradimento. 
La Cronaca d’Asti e gli Annali di Modena ci parlano di una piccola schermaglia sul ponte sul Liri, ma ancora una volta non si parla di tradimento, isolando così l’affermazione del Malespini e quella di Villani che da lui attinse. E’ ancora il Cafaro che scrive, “…il Burman nella Descrizione della vittoria di Carlo I, non fa alcun cenno di difesa del passo di Ceprano, molto meno di tradimento, che avrebbe certamente messo in evidenza, se ci fosse stato,  per più vituperare il nemico vinto(Cafaro, pag. 245).

Anche l’accusa fatta dal Villani al conte di Caserta cade. Secondo il Villani, Riccardo, dopo il tradimento si ritirò nei suoi possessi e non lo si vide più. Lui stesso cade però in contraddizione quando ripresenta Riccardo il 10 febbraio ancora fuggiasco a San Germano. Ma a dare il colpo di grazia alla sua bugia ci pensa una lettera di papa Clemente IV del 25 marzo 1266, scritta al cardinale di S. Adriano, in cui si raccontano le operazioni militari di Carlo (Capasso, pag. 240 ). Nella lettera il papa cita il conte Riccardo al comando della fortezza caduta il 12 febbraio 1266 (2 ), e dice ancora che, dopo la battaglia di Benevento, il conte di Caserta e il conte d’Aquino, i due cognati di Manfredi, “pacem cum rege fecerunt”. Fecero la pace con il re Carlo d'Angiò dopo la battaglia di Benevento, quando Manfredi era già morto e la causa sveva perduta, non prima!


Ma cosa avvenne dunque a  Benevento?


Caduta  San Gemano nelle mani di Carlo I, Manfredi si portò nella piana di Benevento dove attese il nemico in campo aperto, ma gli arcieri saraceni furono subito sbaragliati  e, al sopraggiungere della cavalleria sveva, i francesi, non tenendo conto delle norme  di guerra, colpirono al ventre i cavalli, facendo cadere i cavalieri che furono uccisi ad uno ad uno. Il terzo scaglione svevo, costituito dalle milizie feudali al comando dei baroni pugliesi, non intervenne nel combattimento. Perché? Secondo un’accurata e verosimile ricostruzione della battaglia, quando Manfredi si rese conto che tutto era perduto nel rapido scontro, si gettò nella mischia pronunciando le famose parole: malo hodie mori rex in acie quam vivere exul et calamitosus, (meglio morire oggi da re in combattimento che vivere esule e miserabile). 

Il terzo scaglione non volle o non poté intervenire nel combattimento perché già accerchiato dai francesi? Probabilmente ritenne inutile intervenire in una battaglia già definita per la rapida morte di re Manfredi  E questo mancato intervento da parte dei baroni ha fatto nascere nei cronisti il sospetto del tradimento.

Ma tre giorni dopo, quando infine  si trovò il cadavere di Manfredi e fu portato nella tenda di Carlo, a riconoscerlo furono chiamati proprio Riccardo di Caserta e Giordano d’Anglona che erano tenuti, come scrive il Morghen, in stato di “prigionieri” e non in condizione di “fedeli di Carlo” come questi scriverà al papa. Nel riconoscere il cadavere del loro re, scrive Saba Malaspina, i due baroni si piegarono in accorato pianto. I due chiesero poi a Carlo di concedere a Manfredi onorata sepoltura, come si conveniva ad un re morto da eroe, e Carlo rispose che non poteva far seppellire il corpo di uno scomunicato in luogo santo. Lo fece però seppellire nei presi del ponte di Benevento e tutti i soldati, vincitori e vinti, onorarono il caduto re, mettendo sulla sua sepoltura un sasso, dando origine cosi alla “grave mora”, il pesante mucchio di pietre, di cui parla Dante nel terzo canto del Purgatorio

Finì così l’avventura umana di re Manfredi che anche da morto fu oggetto della rancorosa politica guelfa. Papa Clemente IV, per il timore che la sua tomba diventasse meta di pellegrinaggio ghibellino e ne mantenesse viva la fiamma, ordinò che i resti di Manfredi fossero rimossi e sepolti fuori dal Regno, si pensa lungo il Liri. Ma anche su questa ipotesi c'è molto da discutere.

E finì anche l’avventura umana di Riccardo di Caserta, primo sospettato, che morì di crepacuore pochi mesi dopo. La storia, per ora, non è in grado di dirci se in Riccardo avesse realmente attecchito l’onta del tradimento o se egli fosse solo la principale vittima dei cronisti di parte guelfa, fatto è che la sua casata, con l'arrivo in Italia di Corradino,  continuò a combattere per la causa sveva fino ad essere completamente annientata. 

Se un debito ci fu da parte di Riccardo verso Manfredi, quel debito fu abbondantemente pagato da suo figlio Corradello le cui gesta vedremo nel prossimo articolo. 
E se tradimento ci fu, esso va imputato in primis ai ghibellini del centro-nord che, per corruzione e per convenienza, lasciarono passare l'esercito francese senza fermarlo, determinando la tragica situazione che spazzò via per sempre la casata più illuminata del Regno di Sicilia.
cdl




Alcuni Testi consultati
Bergher E. – Les Registres d’Innocent IV – vol. II –Paris, 1887
Cafaro Pasquale – Se i Pugliesi furono bugiardi a Ceprano – studio in pdf
Capasso Bartolommeo – Historia diplomatica Regni Siciliae – Battipaglia (SA), 2009 (ristampa)
Colasanti  G. – Il passo di Ceprano sotto gli ultimi Hohenstaufen (1912) – Ceprano, 2003 (ristampa)
Del Giudice Giuseppe  - La famiglia di re Manfredi - Napoli, 1880
Di Cesare Giuseppe – Storia di Manfredi  re di Sicilia e di Puglia – vol. 1 – Napoli, 1837
Jamsilla Nicolaus - Historia de rebus gestis Friderici II imperatoris, in L.A. Muratori in  Rerum. Italicarum  Scriptores,  vol. VIII, Mediolani 1726, 
Malaspina Saba –  Rerum Sicularum Historia (1250-1285), in G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani, II, Cronisti e scrittori sincroni della dominazione normanna nel Regno di Puglia e di Sicilia, Napoli 1868
Malespini Ricordano – Istoria Fiorentina coll’aggiunta di Giachetto Malespini e la Cronica di Giovanni Morelli – Firenze, 1718 (ristampa)
Morghen Raffaello – Il tramonto della potenza sveva in Italia -1250-1266 -  Milano-Roma

(1) velut avis in cavea!

(2) “cum Carolus…Roccam Arcis..,obtinuisset villa S.Germani invadens, quam Casertanus et Jordanus comitem cum multis Teutonici set Lombardi et Saracenis  munierant… manuali congressu violenter intravit…(Capasso , Historia, pag. 317, n.520)

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