giovedì 28 giugno 2012

Amyclae città sommersa

Panorama della Piana di Fondi - dal sito www.turismopontino.net




Ancora una volta mi ritrovo a deviare dal tracciato principale e fare un passo indietro nella storia per il piacere degli amici di Fondi e di Mondo Aurunco, lettori di questo blog, che vorrebbero io approfondissi la storia della mitica città di AMYCLAE. Onestamente, non sapevo nulla di questa città della piana di Fondi che la tradizione vuole sommersa dal lago o dal mare, così come la nostra Sinuessa fu sommersa dal mare in seguito a fenomeni di bradisismo. Approfondendo gli studi di molti archeologi inglesi ed americani e quelli di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli, ho scoperto delle cose davvero molto affascinanti, che hanno il carattere della leggenda più che della storia. Tuttavia proprio queste leggende fanno emergere l’importanza di un territorio ancora poco studiato e poco valorizzato.

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Il nome Amyclae  richiama mondi lontani, nel tempo e nello spazio. Mondi leggendari popolati di ninfe dai nomi affascinanti: Amantea, Calypso, Pasifae, divinità minori che gremivano il complesso universo della mitologia greca. E la sensazione di fascino che mi da questo nome non è affatto sbagliata perché tutto ebbe inizio proprio là, nell’antica Grecia, dove un pezzo di Storia, partendo dai monti del Peloponneso, si è staccato e srotolato lungo il Mediterraneo e, diventando leggenda, è approdato sulle coste italiane, nella piana di Fondi…

L’antica Amiclae pre-spartana sorgeva nella Laconia nei pressi del fiume Eurota, in una piana verdeggiante alle falde del monte Taigeto che ad essa apparteneva.   La leggenda vuole che fosse stata fondata intorno al 1485 a.C. da Amiclas, figlio di Lacedemone, che le diede il suo nome.  
Amyclae era molto probabilmente la capitale dei re Achei. Secondo Stesicoro e Simonide (frammento 177) in essa abbondavano monumenti importanti tra cui le tombe di Cassandra ed Agamennone che, secondo una tradizione, regnò su questa città. Amyclae aveva però lo svantaggio di trovarsi troppo vicina alla dorica Sparta (solo venti stadi, circa due miglia e mezzo), allora formata da quattro villaggi (oboi), ma che si accingeva a diventare la potenza militare che, insieme ad Atene, dominò il mondo greco. Si può facilmente capire quanto facesse gola agli spartani la conquista di Amyclae durante l’espansione dorica nella Laconia, di cui Sparta divenne poi la metropoli principale. Non  solo per una questione politica; soprattutto per una questione di prestigio. 
Le altre città micenee (o achee) erano capitolate subito, ma Amyclae resistette a lungo perché tutte le forze achee si concentrarono nella sua difesa e solo per il tradimento di un suo cittadino, Filonomo, si arrese definitivamente agli Spartani. Era il IX secolo a.C. ed era re Teleclo
Pausania, scrittore e geografo del II secolo d.C. scrive: Durante Regno di Teleclo i Lacedemoniani presero Amyclae, Pharis e Gerontrae che erano in possesso degli Achei.  I popoli delle ultime due città furono costernati all'avvicinarsi dei Dori e capitolarono a condizione di avere il permesso di ritirarsi dal Peloponneso. Ma gli Amycleani non furono conquistati al primo assalto, ma solo dopo una lunga resistenza e molti fatti importanti. E i Dori convalidarono l'importanza di  questa vittoria con un trofeo che edificarono sugli Amicleani (il tempio di Giove Tropeo – ndr)".  Amyclae andò così a comporre il quinto villaggio (oba) di Sparta da cui però, nel tempo, guadagnò una certa autonomia amministrativa, ma non l’indipendenza.  

Verso il VI secolo a.C.  un gruppo di greci guidati da Glauco, figlio di Minosse, e dagli stessi Castore e Polluce, protettori di Sparta,  approdò sulle coste tirreniche per fondarvi una colonia. I nuovi venuti rimasero affascinanti da un luogo lungo la costa tirrenica chiamato Valmarino, molto simile al loro territorio d’origine, in cui due piccoli fiumi non avevano sufficiente pendenza per arrivare al mare e le loro foci erano impedite da cumuli di sabbia. Il terreno ne risultava un po’ paludoso proprio per la mancanza di pendenza e dal lago che si formava uscivano due piccoli fiumi che chiamarono Fundano e Amiclano, oggi Canneto e S. Anastasio. Secondo il Galanti, un tempo sul S. Anastasio trafficavano barche di una certa grandezza, mentre il Canneto, più a settentrione, faceva da confine con il tenimento di Terracina. Gli studiosi della Real Accademia di Napoli ritengono che il Canneto, e non il Liri come comunemente si ritiene, potrebbe essere il Verde di cui parla Dante nel  Purgatorio (canto III, vv 103-145). Presso tale fiume sarebbe stato disperso il cadavere del re Manfredi, portato fuori dallo Stato della Chiesa per ordine di Bartolomeo Pignatelli, vescovo di Cosenza, e con il consenso di papa Clemente IV, a candele spente e capovolte, come si conveniva ad uno scomunicato:

Se il pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,
l’ossa del corpo mio sarieno ancora
in co' del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal Regno, quasi lungo ‘l Verde,
dove le trasmutò a lume spento.

Sulla riva del lago che guarda verso il mare sorse la nuova Amyclae (o Amunclae).  
Plinio narra che essa fu distrutta dai serpenti: Amyclae serpentibus deletae (Plinio – Hist. Nat. lib.3, § 9, ver. 6). Ora, si potrebbe anche pensare che in luogo paludoso abbondassero serpenti i quali costrinsero gli abitanti di Amyclae ad abbandonarla, ma sarebbe veramente possibile? In realtà sembra che l’Amyclae fundana fu distrutta dai Volsci, che stanziavano in zona e il cui nome, nella loro  lingua, per un’assonanza, poteva significare serpenti. 
Una spiegazione logica all'affermazione di Plinio tenta di darla Servio Mario Onorato, grammatico e commentatore dell’Eneide di Virgilio. Egli sostiene che gli amiclani fossero seguaci delle dottrine di Pitagora, il quale proibì ai suoi seguaci di mangiare carne perché convinto che l’anima umana potesse migrare in corpi di animali. Per la stessa ragione impose di non ammazzare nessun tipo di animale. Per le loro convinzioni dottrinarie, gli amiclani non uccidevano i serpenti che popolavano i vicini acquitrini ed essi divennero talmente numerosi ed invadenti che costrinsero gli abitanti ad abbandonare la città. 
Un’altra tradizione sostenuta dallo stesso Servio e da altri autori del passato si basa sul "silenzio" di Amyclae quale causa della sua distruzione.
Virgilio nell’Eneide scrive:


Magnanimo Volscente satum, ditissimus agri
Qui fuit Ausonidum, et tacitatis regnavit Amyclis
(Eneide, X, 563)

Alcuni studiosi  ritengono però che Virgilio abbia trasportato una leggenda  dell' Amyclae laconiana all' Amyclae fondana.

E l’ultimo verso del Pervigilium Veneris, anonimo componimento poetico dell'età imperiale, recita:
 “Sic Amiclas, quum tacerent, perdidit silentium” (il silenzio distrusse Amyclae). 

 Silio Italico  invece scrive:

.Sinuessa tepens fluctuque sonorum
Vulturnum, quasque evertere silentia Amyclae
Fundique et regnata Lamo Cajeta domusque
Antiphatae compressa freto.
(Lib. VIII, v. 527)

Due le  opinioni su questo attributo ricorrente di Amyclae: 
1) che ai suoi abitanti fu imposto il silenzio come legge per mettere un freno ai falsi allarmi di attacchi nemici che ogni giorno circolavano e che atterrivano la popolazione.  Quando infine il nemico arrivò sul serio, trovò la città indifesa e la distrusse. 
2) la causa della distruzione di Amyclae va comunque cercata nella dottrina del silenzio di Pitagora di cui gli amiclani erano seguaci, come ritiene Aulo Gellio, giurista e scrittore romano del II secolo d.C. 
A coloro che volevano seguire la sua dottrina, Pitagora imponeva un silenzio totale di cinque anni ed esso  fu la causa della distruzione di Amyclae, perché nessun abitante aprì bocca per dare l’allarme all’arrivo del nemico.


Gli studi più recenti fatti nella piana di Fondi sono quelli di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli, i quali ritengono che l’antica Amyclae fondana fosse sul monte Pianara e non sulla costa. In seguito a minuziose ricerche in zona, hanno trovato e misurato mura che potrebbero essere quelle di un’antica città, apparentemente estesa per 33 ettari, e che potrebbe essere stata attiva tra il VI e IV secolo a. C.

Ma l’ipotesi Pianara  trova delle fiere resistenze tra gli studiosi. Alcuni sostengono che la città trovata dai Quilici sia molto più piccola ed appartenga a popolazioni italiche locali, i Volsci ad esempio; inoltre, la tradizione antica vuole Amyclae fondata sulla costa e non sul monte. Volerla su un monte significherebbe vanificare le informazioni di tanti illustri scrittori e studiosi del passato che ne hanno parlato. Altri ancora sostengono che Amyclae potrebbe non essere mai esistita ed essere solo un’invenzione storiografica, cosa molto diffusa nella nostra penisola.

C’è però ancora un’ultima ipotesi, derivata da una frase di  Pietro Arduino, botanico di Padova del XVIII secolo,  in una nota  a Plinio il Vecchio sui vini:.... "in litorale positae, hodie Sperlonga, unde sinui amyclano nomen".  

La Sperlonga di oggi sarebbe dunque l' antica Amyclae. 

Di quest'ultima intrigante ipotesi nessuno può darcene certezza; probabilmente nemmeno eventuali altri studi e  ricerche. Ma mi piace credere che l’affascinante leggenda di Amyclae abbia in essa la sua base storica che l’ha conservata, sebbene trasformata, fino ai nostri giorni.
c.d.l.


Alcuni testi consultati
 
Cramer John Anthony – A  geographical and historical description of ancient Italy – vol. II – Oxford, 1826
Desiderius Erasmus – R.A.B. Minors – Adages – vol. 3-  Toronto, 1989
Galanti Giuseppe Maria – Della descrizione geografica e politica delle Sicilie – Napoli 1793
Kennel Nigel M. – The Gymnasium of Virtue: Education and Culture in ancient Sparta-  The University of North Carolina Press, 1995
Lempriere John –  A classical dictionary – London, 1801
Muller Karl O. -  The history of antiquities of the Doric race – vol. 1 – Oxford, 1830
Nibby  Antonio – Elementi di archeologia – Roma, 1828
Publio Virgilio Marone – Eneide – Ed. Scolastiche Mondadori, 1972
Quilici Lorenzo e Quilici Gigli Stefania – La forma della città e del territorio, vol. 3 – Roma, 2006
Reale Accademia di Napoli – Rendiconto delle tornate e dei lavori della Reale Accademia di Napoli – Napoli, 1867

3 commenti:

  1. Grazie Concetta per esserti interessata e pubblicato questa pagina su Amyclae - a mia volta l'ho pubblicata su il mio sito www.lacittadifondi.it nel reparto MondoAurunco - Fondi: http://www.lacittadifondi.it/modules.php?name=MondoAurunco&page=fondi.html

    Beniamino Feula

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  2. Risposte
    1. Grazie a voi per avermi dato l'opportunità di conoscere ed approfondire questa stupenda pagina storica del nostro territorio. Sempre a disposizione per ulteriori approfondimenti.

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